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mercoledì 22 giugno 2011

Roxen- Epilogo

– Pronto? Javier sei tu? Ma dove sei?..pronto?-
Doveva essere caduta la linea, forse, perchè alla mia voce rispondeva solo il suono continuo e marcato della cornetta a conversazione finita.
Dannazione! Questa proprio non ci voleva!..ma che cosa voleva dire con quel: non c'è più tempo?
E poi...Javier? Perchè diamine mi avrebbe dovuto telefonare proprio lui? Lui, che, secondo quel che sapevo, sarebbe dovuto essere con Stefano.
Ok, ricapitolando : tante idee e pure confuse!! Strepitoso!
L'unica cosa di cui ero certa è che dovevo andarmene da quell'ospedale...e in fretta, anche.
Soffermandoci un attimo sulla considerazione che avevo già fatto, ribadisco che amo il cinema e per questo dico che, se in questo momento ci fosse un regista ad organizzare il continuamento delle mie azioni , credo che sarebbe J.J.Abrams in “Mission Impossible:II”.
Raccattai velocemente le mie cose dopo essermi tolta i dannati tubicini che mi tenevano attaccata a quel sacchetto contenente chissà quale sostanza. Troppe cose, pensai.Devo decidermi a sitemare un po' in questa borsa.
E fu così che me ne uscii da quella stanzatta del cavolo. Con una borsa e un bel po' di fifa.
Naturalmente calcolai che non mi avrebbero mai fatto uscire dall'ospedale in queste condizioni, si capiva che ero una paziente; mi serviva un camuffamento.
Percorsi così velocemente i corridoi, cercando di dare il meno possibile nell'occhio. Certo che una verniciata a sto' posto no? I muri avevano colori così deprimenti e sbiaditi, che sembravano urlare . Per favore datemi una botta di vernicie!!
Ma, bando all'arredamento casa, il caso volle che in quel momento all'angolo del corridoio spuntò una donna in camice sui trentacinque, altina e con un registro di non so che in mano.
E va bene, sono questi i momenti in cui bisogna prendere delle decisioni, quindi ora o mai più!! Ora!
Non appena l'infermiera mi passò di fianco l'afferrai per un braccio e glielo piegai dietro la schiena in modo che mi dasse le spalle e lì, con la mano libera, le appoggiai sulla bocca e sul naso un asciugamano che avevo trovato in bagno e tenni premuto finchè non sentii il suo peso cadere tra le mie braccia.
OK, lo ammetto, era la prima volta che “ narcotizzavo” qualcuno ( per modo di dire) e ammetto che in quel momento stavo quasi per dare di stomaco oltre al fatto che ero nel panico più totale.
Io , Roxen Burlington, ero in mezzo ad un corridoio di un edificio pubblico, con il 98% di probabilità che quelcuno mi vedesse, ma soprattutto con il corpo di una donna che giaceva tra le mie braccia. E ammetto che l'unica cosa che riuscii a pensare fu : Merda!!!
Per mia fortuna, dopo circa 30 secondi di esame di coscienza riuscii a focalizzare meglio il posto in cui mi trovavo e addocchiai una stanzetta che faceva proprio al caso mio.
Mi avvicinai furtivamente verso la camera e piano piano aprii la porta. All'interno era vuoto e buio.
Non ci pensai due volte. Presi il corpo e lo appoggiai sul pavimento all'internodella stanza, dopodichè tolsi alla donna il camice che indossava e lo appoggiai sopra i miei vestiti abbottonandomi bene fino a che i vestiti che indossavo sotto si vedessero il meno possibile.
Poi richiusi velocemente la porta e sgattaiolai velocemente verso la prima uscita che vidi.
Spinsi il portone a spinta e mi gettai all'aria di città che mi attendeva fuori.
Si!! Missione compiuta!!
Corsi in fretta e furia verso la strada e quasi non fui investita da una taxi..si! Un taxi! Ecco cosa mi serviva!
-Oh! Signora! E faccia attenzione!-mi urlò il taxista.
-Scusi, scusi ma mi servirebbe un passaggio-dissi mentre mi dirigevo verso gli sportelli posteriori dell'auto.
Il viaggio non durò molto e la persona molto sgarbata che siedeva davanti a me si rivelò essere invece un ottimo appassionato di musica di.. come dire.. d'altri tempi.
Infatti il nostro tragitto fu accompagnato da Edvard Grieg con “Il Mattino”. Che, ammetto, era stupenda come musica.
Tempo conque minuti ed ero sotto il portico di casa mia.
Attesi qualche secondo a scendere, mentre l'ansia e la paura si impossessavano sempre di più di me.
Presi un bel respiro, pagai e scesi.
In qusto momento la colonna sonora della mia vita era accompagnata dagli Hurts con “Sunday”.
Aspettai mentre il buio della notte arrivava sempre più incombente.
Dopo un po' però un sospetto incomnciò a prendere parte della mia mente: Javier aveva detto “ a casa tua”, quindi tecnicamente dovevo salire in casa.
In fondo l'avevo sempre saputo, ma ignorato per la troppa paura.
Con coraggio mi fiondai verso il mio pianerottolo facendo gli scalini a due a due.
Una volta arrivata mi bloccai, la porta era aperta e da dentro arrivava solo una flebile luce.
Deglutii.
Spinsi la porta cercando di non fare rumore ed entrai.
Camminai lentamente verso il salotto, quando sentii un rumore.
Mi voltai di scatto.
Stefano.
Stefano era in piedi di fronte a me con una pistola in mano puntata verso il mio viso.
Poco più distante vidi il corpo di Javier a terra, inerte e ricoperto di sangue.
Piccoli fremiti incominciarono a percorrermi la schiena mentre una solitaria lacrima mi rigava il volto.
-Ciao, Roxen- sogghignò Stefano.
Non risposi.
-Umm.. come siamo sgarbati.. adesso non si salutano nenache più i datori di lavoro?-continuò.
Era buio nella stanza il suo corpo era illuminato dalla piccola lampada poco più distante da lui.
Guardai Javier e non potei fare a meno di chiedere :
-Perchè?-
-Perchè? Oh, bè..il perchè è piuttosto semplice. Lui ti amava. E questo era un ostacolo.Ma adesso potrò portare a termine il mio piano...-
Caricò la pistola.
-...senza inconvenienti-
-Ultime parole?-disse.
-Vorrei solo sapere perchè-
-Bè vedi, Roxen, in tutti i tuoi anni di lavoro hai saputo davvero tante cose. Troppe cose. Quindi sei da eliminare. Mi spiego? E comunque tu e quel Luka non sareste mai potuti stare insieme, sai.. lui aveva altri progetti per te.. progetti che non posso dire. D'altronde però c'era anche qualcuno che cercava di sbarazzarsi di lui. Vedi.. è come una grande catena, un po' a effetto domino. Tutti volevano qualcosa da te Roxy cara...ma adesso, tu morirai-disse- Non saprai mai il perchè di tutte queste azioni, quindi.. bye bye Roxen.-
E premette il grilletto.


Driiiiiiiiiiiiinnnnn.
La sevglia.Odio la sveglia. Di solito. Ma non oggi.
Oggi no perchè mi ha fatto risvegliare da uno di quegli incubi strafabtasiosi che non stanno né in cielo né in terra.
Stanotte ho sognato di morire, di finire in un ospedale, di avere un capo porco, di piacere ad un amico...
Troppe cose da digerire il giorno della partenza per le Hawaii. Infatti oggi partirò per le Hawaii per una nuova indagine.. non vedo l'ora!!
Se dovesse succedere qualcosa credo che impazzirei.
A farmi svegliare ancora di più è la canzone che hanno messo alla radio che ho appena accesso, è una di quelle che ascoltano i giovani d'oggi: si chiama “Hey baby” di Pitbull ft. T-Pain.
La cosa negativa è che il sogno mi frulla ancora in testa. Ma è ridicolo! Io non ho frequentato nessuno negli ultimi tempi!
Sono proprio fusa.
Tanto per essere sicura di avere tutto il necessario per partire però , incomincio a controllare nella mia borsa e.. questa che roba sarebbe??
Tiro fuori una bustina arancione mai vista prima. La apro. Dentro c'è un ciondolo a forma di.. mondo??
Che diamine sarebbe?
Ma non è finita. C'è anche un bigliettino. C'è scritto:”è molto più di quel che tu credi...” Poi c'è anche una citazione :
”Sai quel luogo?Quello tra il sonno e la veglia,
in cui ricordi ancora cosa stavi sognando.
Quello è il posto dove ti aspetterò e ti amerò
per sempre.
James Matthew Barrie, Peter Pan”


Il tutto è firmato da : Javier.
Succede tutto molto in fretta: prendo la rubrica e compongo il suo numero.
Aspetto. Aspetto. E poi una voce.
-Pronto, Roxen?-
-Javier? Ciao, senti volevo solo dirti che... dobbiamo parlare-

martedì 21 giugno 2011

Roxen - Cap. 7

Lanciò un'imprecazione e corse verso la porta aperta. Uscì di fretta, inseguendo un'ombra, l'ombra di una persona che l'aveva appena derubato.

Si ritrovò in strada, fissando prima da una e poi dall’altra parte, ma nessuna delle decine di persone che affollavano la via era quella che serviva a lui. Si passò le mani tra i capelli lanciando altre tre o quattro maledizioni e tornò in casa sua.

Ok, aveva trovato quel passaporto. Il nome gli era familiare, ma al momento non diceva niente di utile.

Sapeva che era fondamentale per quel lavoro, sapeva che la donna, la proprietaria di quel documento era in qualche modo la chiave… Ma non riusciva proprio a ricordare il perché.

Tornato in casa si lasciò cadere sul divano e con la testa tra le mani cominciò a pensare e ripensare. Roxen…

Stefano, in una macchina dai vetri oscurati, stringeva il passaporto e respirava ansimando.

- Non ho più l’età per certe follie da film. – disse al ragazzo seduto al posto del conducente. L’altro annuì, continuando a fissare la strada. Stefano finalmente ricominciò a respirare normalmente e si mise a studiare il documento, confrontandolo con un altro.

- Un ottimo lavoro, non c’è che dire. Mi complimento con te, Javier. E io che nemmeno volevo portarti qui in Italia. Ah! Ci vorrebbero più sudamericani esperti di contraffazione, credimi. –

“Certo, così sarebbe ancora più facile scaricare su di noi tutte le vostre colpe.” Pensò Javier mettendo in moto e allontanandosi da quella via.

- Ancora poche ore e finalmente Roxen smetterà di esistere. Ed eccola rimpiazzata da Rosa Bartoli. Nessuna traccia di Roxen, nessuna traccia di me. Giusto Javi? –

- Si signore. – “E non chiamarmi mai più Javi, se non vuoi che ti stampi la faccia nel vetro, idiota.”

Javier guidava un po’ più veloce del consentito, muovendosi agilmente tra le strade siccome era talmente abituato a quella strada da poterla fare bendato.

Roxen. Perché proprio Roxen? Tra tutte le persone che poteva scegliere, Stefano aveva scelto di far sparire lei.

Voleva eliminarla dalle carte, fare in modo che lei non fosse mai esistita, che non avesse mai lavorato per lui. Nascondeva qualcosa, Stefano, qualcosa che non veniva a galla nemmeno nei numerosi momenti in cui l’alcol prendeva il sopravvento sulla sua ragione. E Javier sapeva che erano davvero numerosi.

Ma ora, guidando per le strade piene di gente, poteva pensare solo a Roxen e al rischio che aveva corso nel lasciarle quel biglietto in ospedale, nella stessa stanza dove poco dopo sarebbe entrato Stefano.

Ripensò anche al loro incontro. O meglio, a quando lui aveva incontrato lei in ufficio. Lei gli aveva rivolto il suo solito, gentile, fantastico sorriso, aveva scambiato con lui qualche parola in spagnolo e poi era stata trascinata via da Stefano, lasciando Javier solo con la borsa di lei. E darle quella piccola meraviglia tecnologica era stato l’inizio della silenziosa custodia su Roxen. Javier sapeva che lei era l’obiettivo. Non sapeva il perché, ma era determinato ad impedire che le accadesse qualsiasi cosa.

- Javi, che ne dici se allunghiamo un po’ il giro? Magari se passiamo prima dall’ufficio riesco a iniziare a sistemare queste noiose faccende riguardo la cara Roxen. – Javier sentì un brivido.

- Scusi se mi permetto, ma cosa sta succedendo alla signorina Burlington? Perché è così determinato a farla sparire, da un giorno all’altro? –

Stefano piegò la testa all’indietro e rise fragorosamente.

- Davvero credi di poterci capire qualcosa? Suvvia, Javi, a malapena capisci la nostra lingua, non vorrai farmi perdere tempo a spiegarti cose del genere? Lascia stare, Javi, davvero. –

Javier strinse le mani sul volante e accelerò di scatto. Stefano sussultò e dopo qualche minuto di silenzio, borbottò appena.

- È meglio che certi collegamenti tra Roxen e il sottoscritto non vengano alla luce. –

Arrivarono all’ufficio e scesero assieme dall’auto, cominciarono a percorrere la strada verso l’edificio in silenzio, finchè Stefano con un sorriso iniziò a parlare.

- Dimmi, non è che ti interessa quella ragazza? Oh si, ti interessa. Beh sai che ti dico? Poco prima della sostituzione dell’identità me la prenderò e me la spasserò un pochino. Ovviamente tu potrai approfittarne, in fondo sei stato utile… - Javier non riuscì a fermarsi. Prima che la sua mente finisse di analizzare la frase, il suo pugno si era già abbattuto sulla mascella di Stefano.

Il capo era ora a terra, lo fissava ad occhi spalancati.

- Sei tu! Sei tu il bastardo che ho visto sparire con il chip che conteneva i documenti! La stai aiutando, venduto! Stai aiutando quella pu… - il calcio di Javier si abbatté nuovamente sulla mascella di Stefano. Il ragazzo cominciò poi a correre e comporre un numero nello stesso momento. Dall’altra parte, dopo qualche squillo, una voce conosciuta rispose.

- Roxen, ti devo parlare. Esci subito da quell’ospedale e raggiungimi a casa tua. Non c’è tempo. Non c’è più tempo, Roxen!-

lunedì 20 giugno 2011

Roxen - Cap. 6

Mi ritrovai improvvisamente sola in quell'anonima e disarmante stanza d'ospedale, dalla porta socchiusa penetrava quel forte odore di etere, tipico dei luoghi di dolore dove la sofferenza impera sopra ogni cosa, un odore pungente, da me sempre temuto e che, come suggerivano i ricordi della mia memoria, mi rendeva inerme, paralizzata.
Cercavo disperatamente un segno, un particolare che potesse riavvicinarmi alla realtà, perchè ormai temevo di non essere più in grado di capire cosa fosse vero e cosa no in tutta questa storia.
Mi ritrovai a scandagliare ogni particolare di quella stanza come se i miei occhi avessero percepito un particolare importante ma senza averlo potuto fissare nella mente.
Potevo vedere un comodino, una finestra, una sedia, delle deprimentissime pareti color beige, un vaso di fiori con bigliettino e... Fiori? Bigliettino? Ecco l'elemento che non ero riuscita a fissare, i fiori!
Cercai disperatamente di allungare la mia mano verso quelle magnifiche rose bianche, da sempre i miei fiori preferiti, per poter afferrare il biglietto che vi si trovava di fronte, ma ero debole, le mie mani tremavano dallo sforzo e dopo pochi minuti, che a me parvero secoli, riuscii ad afferrare il biglietto.
Lo aprii e lessi: " Fidati, è stato molto meglio che tu non sia partita, un giorno mi ringrazierai. Cerca di custodire gelosamete ciò che ti lasciai il giorno del nostro incontro senza che tu te ne rendessi conto, controlla bene nel posto dove conservi " il mondo " e troverai la risposta! Sappi che io, per quanto mi è possibile, cerco di farti da angelo custode,cercando di proteggerti. Vedrai riuscirò a sistemare anche il resto, per il momento non posso dirti di più. Un amico ".

" E chi sarà mai questo amico! " pensò Roxen, ormai più confusa che mai!
"E cosa mi lasciò il giorno che ci incontrammo...ma con chi mi incontrai? Conosco un milione di persone e nelle ultime settimane tra feste, meeting di lavoro e quant'altro neanche mi ricordo tutte le persone con cui ho parlato. E poi cosa mi ha lasciato? E dove?
Nel posto dove conservo il mondo? A me questo sembra uno scherzo e anche di cattivo gusto!"

In quel momento entrò un'infermiera che la distolse dai suoi pensieri.

Finalmente l'effetto dei sedativi le sembrò svanito e con la bocca un pò impastata si rivolse all'infermiera:
" Le dispiace se approffitto della sua cortesia e le chiedo se gentilmente potrebbe passarmi la borsa che si trova nell'armadio? Sa com'e', un pò di trucco non guasta mai, devo avere una faccia tremenda dopo quello che ho passato nelle ultime ore!"

l'infermiera si prestò benevolmente ad accontentare la paziente nella sua richiesta e le passò con gentilezza la borsa.

" Fondo tinta, un pò di fard, pennello e dove diamine ho messo il mio rossetto!"
Dopo qualche minuto passato a rovistare in quella borsa equiparabile per contenuto solo ai pantaloncini di Eta Beta, Roxen esclamò: Ah finalmente! eccoti quì!".
Non passò molto tempo prima che Roxen si accorse che quel rossetto non fosse il suo: " Ma che diavolo! Ma di chi è questo rossetto? come ci è finito nella mia borsa'?"
Provò ad aprirlo per verificarne il colore, ma si rese immediatamente conto di essere di fronte ad un oggetto completamente diverso da un rossetto. " Ma che ca... è questo? "



Poche strade più il la, nel cuore pulsante di Milano, Luca nel suo magnifico appartamento, era ancora al telefono con lo sconosciuto: " Devo darti cosa? Di che diavolo stiamo parlando e sopratutto con chi cazzo sto parlando?"
Di sottofondo si poteva udire un'edizione straordinaria del telegiornale dove si annunciava la vittoria di Pisapia come nuovo sindaco di Milano.
In quel preciso istante Luca ebbe un terribile sospetto, ebbe la precisa sensazione che la persona che stava parlando con lui al telefono lo stesse facendo proprio da casa sua, poteva sentire nitidamente lo stesso sottofondo del telegiornare amplificato nel telefono.
I suoi occhi si spalancarono terrorizzati, per un momento rimase immobile, pietrificato, il suo sguardo si posò sullo specchio del corridoio dove vide riflessa l'immagine di un uomo mentre stava sgattaiolando verso la porta, rimasta probabilmente aperta dopo l'uscita di Ester.
Il cervello di Luca iniziò a elaborare l'immagine percepita nello specchio..." non può essere..." eppure si, era proprio lui...
Terselli...Stefano Terselli.

Successivamente gli bastarono pochi minuti per capire che il passaporto di Roxen Burlington era sparito insieme all'ombra riflessa nello specchio.

venerdì 17 giugno 2011

Roxen - Cap. 5

La stanza era inondata di luce naturale che, spavalda, entrava dalle finestre aperte scostando, sinuosamente, le tende che danzavano al ritmo di quella fresca aria mattutina. L’appartamento enorme, all’ultimo piano di quell’edificio, era pieno di vasi di margherite bianche e piccole campanule, candele di varia grandezza e forma, arredavano parte dell’ambiente insieme con pile di libri in ordine confuso e, soprattutto, molto sparso, un grande divano bianco e un televisore al plasma.
Gli piaceva vuoto…il suo posto, il suo spazio, il suo mondo, gli piaceva vuoto, dannatamente, prepotentemente vuoto. Era già piena la sua vita di cose….persone…situazioni…ricordi….di tutto, ma la sua casa, il suo rifugio, lo voleva così…proprio così come si sentiva dentro: VUOTO.
La stanza da letto: un armadio con pochi vestiti tutti dello stesso identico colore, grigio, e le camice, poche e bianche, perfettamente inamidate ed ordinate….nel ripostiglio scarpe nere, non proprio il suo colore preferito, ma ….d’obbligo.
Luca si svegliò nel suo ampio letto matrimoniale ancora una volta solo. In quegli ultimi tre mesi aveva pensato spesso alla sua di situazione….al fatto che avrebbe voluto …..una compagna, una famiglia, una vita più …normale. Già, un pensiero non proprio ricorrente e che durava giusto l’attimo di un respiro, ma che gli dava un senso di casa, un senso di appartenenza, più che altro gli dava un senso. Già un pensiero, un solo pensiero….questo stupido pensiero…dava un senso alla sua vita: assurdo, ma vero.
Chiuse gli occhi, ancora una volta, ed inspirò profondamente, quasi a voler desiderare che quel pensiero potesse divenire desiderio e poi…chissà….magari una realtà…..
Poco dopo sentii la sua di realtà: le chiavi girare nella toppa della blindata e di lì a poco Ester avrebbe fatto la sua comparsa sulla porta della camera da letto, magari preceduta del profumo di caffè e pane fresco…. Ma oggi….niente profumo: forse non era giornata, non era riuscita a trovare il pane fresco e, forse, non si era nemmeno fermata al bar dell’angolo a prendergli il caffè…….-Ester? Ester…sei tu?-
-No, sono io- una voce profonda e maschile che Luca non tardò a riconoscere.
-ah, bene, ti aspettavo- rispose Luca scendendo dal letto ed avviandosi alla porta del bagno.
-eh…quindi?- chiese nuovamente la voce
- quindi…tutto fatto: è stato un gioco da ragazzi….lo sai che ho ancora un certo fascino sulle donne…-
Proprio in quell’istante…la voce di Ester….-Luca? Luca è in casa?-
- Sì Ester, sono nel bagno…esco subito-
-Ma santo cielo…possibile che ….è mai possibile che non riesca a ricordarsi nemmeno di chiudere la porta? Con tutto quello che si sente in giro…..santa pace…quest’uomo finirà per uccidermi…-
- no è che….probabilmente il mio ospite non si è ricordato di chiuderla prima di andarsene, solo questo. Stia tranquilla Ester, tutto a posto-
Ester non lo aveva visto, e questo rassicurava Luca….un problema in meno per Ester….ma come avesse fatto ad uscire lui, senza essere visto…..restava un mistero anche per uno smagato come Luca…..
-il suo ospite eh……-sogghignò Ester-beh…meno male che almeno qualche donna entra in questa casa, non le nego di aver pensato che lei avesse gusti….diciamo …ambigui-
- ma che sta dicendo Ester….nessuna donna….-
- se nessuna donna è stata qui stanotte….e la porta era aperta…..che ci fa questo passaporto di….vediamo…chi sarebbe questa Roxen Burlington???-
-chi???-
- non so…il nome è scritto proprio qui…..Roxen Burlington….però, carina-
-Ester metta giù quel passaporto, subito, ….si vede che il mio …ospite….l’ha dimenticato-
-….già…insieme con la porta…..va beh, farò finta che l’età mi abbia giocato un brutto scherzo e che mi sono sognata tutto: qui, se vuole, c’è caffè e pane…..torno più tardi per le pulizie, buona giornata…Casanova!!!-
Ester lasciò casa richiudendo la porta e Luca uscii dal bagno……raggiungendo l’ingresso: il capo si era dimenticato il passaporto….non era da lui….oppure era stato sorpreso dall’arrivo di Ester?
Comunque….missione terminata!!
Driiing….Dring ..ID sconosciuto…che il capo abbia cambiato numero..meglio rispondere…–sì, pronto-
-a me serve una cosa che hai tu e DEVI darmela-
- si, beh…divertente…..chi parla?-

giovedì 16 giugno 2011

Roxen - Cap. 4

Capitolo 4

- Voglio quel numero di telefono, adesso!
Il suo viso pallido, incorniciato da quei capelli neri portati un po' lunghi, e soprattutto i suoi occhi neri come l'abisso, beh... mi intimidivano.
Diciamo che il casting di questo ipotetico film è stato un po' quello che è stato (a parte ovviamente la protagonista principale – io – che è bellissima e sexxissima), ma in questo caso il nostro finto-medico aveva le physique du role: insomma, era proprio inquietante.
Mentre mi guardava ancor più da vicino, pensai che in effetti con gli occhiali nerissimi prima, e con gli occhi nerissimi contornati da grandi sopracciglia nerissime adesso... beh, non fosse molto diverso, ecco.
E poi pensai immediatamente dopo a quanto fossi “fuori:” questo era lì vicino a me, avrebbe potuto uccidermi se appena lo avesse voluto, dovrei aver avuto una paura fottuta, ed io stavo lì a pensare ai suoi occhiali...
Un balcone al mio confronto è un dilettante al debutto.
- Fino a che non mi dirai dove hai nascosto quel numero, non ti darò pace!
Mi venne ancor più vicino, ed potei così apprezzare la sua carnagione diafana, ed il suo alito...
Ok, lo so, ci sono anche dei bambini che leggono, non parlo dell'alito.
Pensai ”Quasi quasi il bigliettino con il cellulare glielo consegno subito, giusto per levarmelo dai piedi. Ma possibile che negli altri telefilm americani il dottore è sempre un gran pezzo d'uomo, e noi qui abbiamo 'sto qui?”
Piano piano elaborai una strategia: ora chiuderò piano gli occhi, come se a poco a poco perdessi conoscenza.... poi penserò un po' a come venirne fuori.
Silenzio...
Eh eh... se l'è bevuta!... Tsè! Mata-Hari, a me, mi fa un baffo!....
Dunque: facciamo mente locale. Dove ho visto l'ultima volta quel bigliettino maledetto con il numero di Luca? Boh? Eppure l'ho visto di recente.
Tasca dei jeans? Naah!
Frigorifero sotto il magnete di Praga? Naaah!
Specchio del bagno? No, non mi pare...
Scarpiera? Naah...
Agenda? Potrebbe essere lì! Anzi, sì, l'ho visto proprio stamattina, era lì, mentre cercavo il passaporto l'ho visto...
Un profumo non proprio allettante mi trapanò le narici: lui si era avvicinato di nuovo.
- Dì, bambina! Pensavi di fregarmi? Non sono mica nato ieri, veh!
Mi stava urlando nell'orecchio; o almeno, mi parlava da così vicino che sembrava stesse urlando. Strinsi istintivamente le palpebre, evitando di aprire gli occhi.
Ecco forse Mata-Hari non faceva questi errori...
E infatti:
- Guarda che le donne svenute non strizzano le palpebre, sai... Dove è quel biglietto? Dimmelo subito!
Seeh: ma se non posso parlare! Come faccio a “dirtelo subito”? (Anche il copy ha ideato dei colloqui fantastici, eh? Un genio!)
- Mgmmm Gnmmm...
Vabbè, non riesco a parlare. Speriamo non si metta a frugarmi in borsa....
- Senti, bellina! – Ma come si permette? 'Bellina'? A me!? - Apri gli occhietti e mostrami dove è il numero di cellulare che sto cercando! Altrimenti io....
Ommioddio: qui ci vorrebbe...
Click!
Rumore di porta che si apre...
- Permesso... Bu.. Buongiorno dottore... Disturbo?....
Oh, buon vecchio Stefano! Meno male! Aprii gli occhi riconoscente!
L'uomo pallido con i capelli lunghi e neri ebbe un moto di disappunto sul viso, che però colsi solo io, poi si alzò dalla sedia su cui era seduto:
- No,no. Prego. Entri pure.
- Grazie, io non volevo disturbare, e...
- Nessun problema. Lei è un parente, o un conoscente intimo della signorina?
- Si. Sono Stefano Botta, e sono il suo diretto superiore all'ufficio...
Il finto-medico pallido annuì con fare comprensivo, poi aggiunse:
- Venga pure: visite brevi, mi raccomando. Si segga pure qui, dove ero seduto io prima. Io comunque mi sposto un attimo lì a fianco, a controllare gli strumenti di sorveglianza dei parametri vitali...
- Oh, grazie. Troppo gentile...
Stefano, Stefano! E' il cielo che ti manda... Adesso devo solo trovare un modo per farti capire che lui, il finto-medico, in realtà è….
- Ciao, Roxen. Come ti senti?
E come vuoi che mi senta?! Mi hai appena buttato fuori dalla squadra, ho vomitato tutto quello che avevo mangiato da natale scorso fino ai giorni nostri, in più hanno già tentato di uccidermi un paio di volte, quindi come starò?...
- Ti vedo in forma, Roxen!
Eh?! In forma?! Ma.. Ma...
- Ma cosa ti è successo? Dimmi...?
Probabilmente Stefano notò il mio sguardo stupito, perchè poi si voltò verso l'uomo pallido, e gli disse:
- Ma, Dottore, cosa...?
L'umo rispose con un po' di condiscendenza:
- Vede, in questo momento la signorina è sotto l'influsso di alcuni farmaci, e non riesce ad articolare nessun suono...
- Oh, quindi... non riesce a parlare!
- Ecco, detto in parole un po' più povere, è esattamente così.
- Ah! Ecco....
Intuitivo, lo Stefano! Ecco perchè l'avevano messo a capo della struttura...
Tornò a guardarmi, con aria afflitta. Oddio, me ne stavo accorgendo solo ora: il capo doveva avere un tic, perchè il suo sguardo non riusciva a restare a lungo sul mio volto: ogni tre secondi scivolava lungo il collo, fino a insinuarsi nello scollo del camicione verde che mi avevano messo in ospedale. Utili, questi camicioni incrociati e abbottonati davanti: in caso di necessità, con un solo movimento il rianimatore può liberarti il torace e praticarti – chessò – una respirazione bocca a bocca, un massaggio... polmonare, insomma, ecco....cose così.
Chissà perchè invece l'occhio esperto del mio capo sembra nutrire altre speranze, altre immaginazioni.... Non ero proprio tranquilla, con quel suo sguardo addosso....
- Allora, Roxen... - si ridestò - Cosa ti è successo?...
Iniziai a fargli segnali con gli occhi, fissandolo intensamente e indicandogli ripetutamente prima il finto-medico poi la valigia con la roba dell'ufficio che scorgevo
nell'armadio socchiuso. Stefano d'un tratto mi guardò con più attenzione, quasi sembrasse capire cosa gli stavo dicendo. O per lo meno, quello che stavo cercando di dirgli. Poi...
Poi lasciò scivolare gli occhi ancora nella scollatura...
E vabbèhhh... La prossima volta i messaggi importanti te li scrivo lì, ok? Un po' su un po' giù, a seguire l'onda... Così li vedi: è il primo posto dove controlli!
Stefano dovette cogliere un senso di delusione da parte mia, perchè distolse lo sguardo, poi osservò di soppiatto il medico, poi mi si avvicinò e mi disse:
- Sai, Roxy? Posso chiamarti Roxy, vero?
Ma se non posso rispondere! No! No no no no! Mi fa schifo Roxy! Sembra il nome di un bar!!!
- Beh, Roxy: la tua missione, sai, era importante. Stiamo cercando un tipo, piuttosto belloccio, che si chiama Slazic. Luka Slazic. Era lui che avresti dovuto contattare, pedinare, agganciare...
Luka?! Luka... Luca? Quel Luca-Luka che ho incontrato nella macchinetta per le fototessera, e che mi ha lasciato quel numero di cellulare che dovei avere nell'agenda, e che interessa anche all'uomo pallido?
Alt, stop! Sceneggiatore, questa è forte davvero! Ma dai... Ma chi ci crede!...
Però Stefano non si avvide dell'assurdità della situazione, e continuò:
- Guarda, ho qui una foto. Te lo mostro, giusto per farti vedere...
Giusto per farmi capire come sono sfigata ad aver perso questa missione, eh? Cioè, la motivazione verso i sottoposti nel nostro ufficio è una cosa sacra ed inviolabile, eh?
La foto non la guardai molto, tanto lo conoscevo già: era lo stesso tipo che al caffè mi fece pensare che tra noi ci sarebbe potuta essere una remota speranza...
Il capo ricominciò:
- Dicono che sia un terrorista internazionale, ma io... -
Poi si guardò in giro, come se la stanza fosse piena di fantasmi pronti ad ascoltare le sue parole, ignorando completamente che invece l'unica persona presente, quello sullo sfondo e un po' cadaverico, era proprio quello che non avrebbe dovuto sapere proprio un bel nulla...
Finalmente, dopo aver dato l'ennesima sbirciatina fisiologica nel mio decolletè, continuò:
- … ma io ho capito che lui fa il doppio gioco! Eh, già! E' dei nostri...
Oh, bella. Ma se lui non ha nemmeno un decolletè decente, come hai fatto a capirlo, capo?
- Non so perchè, ma lo intuisco... Intuito professionale! Non dirlo a nessuno, eh? Mi raccomando...
Lo fissai esterrefatta. Tra l'altro sarei lievemente impossibilitata a parlare... Lui sorrise soddisfatto, poi abbassò inevitabilmente lo sguardo: una sbirciata ogni tre respiri, dev'essere vitale per lui. Io invece buttai gli occhi al cielo! Se fossi pagata 50 centesimi per ogni occhiata che il mio seno attira, sarei già da tempo milionaria...
Ricominciai disperatamente a fargli segnali con gli occhi, indicandogli ripetutamente prima il finto-medico poi la valigia nell'armadio. Dovevo fargli capire che avevo bisogno di lui, che ero in pericolo di vita, che il mio potenziale assassino era in quella stessa stanza...
- Mmmhh!... Mmmhh!...
Stefano mi guardò incuriosito, poi colse finalmente il mio sguardo che indicava il medico pallido, poi tornò su di me, fece una capatina rapida nella scollatura, poi mi guardò di nuovo negli occhi, ed annuì, compìto.
- Ho capito, Roxy... Va bene!
Poi si alzò, e si rivolse verso il dottore: io lo guardai orgogliosa. Ero riuscita a fargli capire qualcosa, e lui – al di là dell'immagine superficiale che dava, sicuramente solo esteriore – aveva colto il problema, e stava per intervenire ed arrestare il mio aguzzino...
Stefano si rivolse al dottore e disse:
- Dottore, non disturbo oltre la sua paziente. Mi raccomando, abbia cura di lei!
Avevo gli occhi sbarrati.
Lui poi si rivolse a me, e continuò:
- Ciao Roxy! Rimettiti presto. Che magari poi, quando ti sarai rimessa... - lo sguardo scivolò ancora una volta proprio lì, arguisco per salutarle - … magari usciamo a cena. Insieme io e te, eh? Ciao, ciao....
E uscì.
Tutto mi era perfettamente chiaro: Stefano era un imbecille, un deficiente matricolato e patentato.
Ed io ero particolarmente fregata...
Girai esausta lo sguardo verso il finto-medico pallido, con la precisa sensazione che questi sarebbero potuti essere gli ultimi attimi della mia vita...
Ed io non potevo nemmeno urlare!!!
Ma con mio sommo sbalordimento, l'uomo pallido con i capelli neri lunghi e gli occhi neri e le sopracciglia nere nere era... scomparso. 

(segue)

mercoledì 15 giugno 2011

Roxen - Cap. 3

Avevo visto centinaia di film. Il cinema è la mia passione. Mi piace constatare come il regista abbia voluto cercare una determinata immagine, un’inquadratura, un particolare per esprimere un concetto, un colore, un’emozione. Ero specializzata nel “linguaggio non parlato” dei film, se si può dire.

Durante la mia carriera di appassionata incallita di film smielati, di fisici statuari che salvano il mondo ancora una volta, di bellezze che vengono puntualmente smembrate dopo la fatidica frase:-Vado a vedere cosa sta succedendo-, avevo un vasto repertorio di sequenze cinematografiche che annunciavano allo spettatore che il nostro eroe era ormai prossimo al trapasso. Mai mi sarei immaginata che, a dispetto del mio più profondo scetticismo in materia, effettivamente, quando si pensa di stare per morire, si vede una forte luce bianca e la vita scorre velocemente davanti agli occhi.

Questo vedevo mentre il cattivo di questa messinscena che era la mia vita premeva sempre più a fondo la mano sulla mia gola, impedendo alla tanto agognata aria di poter riempire i miei polmoni. Stemmo fermi, io e lui, per un periodo che sembrò interminabile. Io, senza la forza di lottare, sfiancata dalle esperienze che avevo appena subito; lui, inamovibile, con uno sguardo che trasudava interesse, come quello di un bambino che per la prima volta gioca con una lente d’ingrandimento in un prato in un giorno d’estate. Non so perché destassi così tanta curiosità a quell’uomo, ma a quanto pare io ero una formica per lui. E lui aveva la lente d’ingrandimento in pugno.

Improvvisamente l’ambulanza si fermò e la presa si allentò di colpo. L’aria entrò nei polmoni, facendomi tossire. Le porte posteriori del mezzo di soccorso si aprirono, e la luce che vidi fu abbagliante. In controluce, una figura prese la sbarra della barella su cui ero e trascinò il lettino con le ruote fuori dal veicolo. Sentii parole confuse come “saturazione” o “sistolica”, senza comprenderne il significato, forse per il mio scarso interesse nella biologia, forse a causa del fatto che ero ancora sotto shock per il mio mancato passaggio dalla vita alla morte. Fatto sta che il mio decesso non era avvenuto, e che ora ero in una struttura in cui quello strano tipo avrebbe dovuto faticare di più per potermi uccidere. Mentre questi pensieri mi ronzavano in testa, sentii improvvisamente un gran sonno e le palpebre mi si chiusero quasi senza volerlo.

Nel mio buio senza sogni, mi parve di rimanere comunque con una parte di cervello attiva, conscia di ciò che stava succedendo intorno a me: dottori, infermieri e chirurghi andavano e venivano, arrivavano, mi cambiavano una flebo, mi prelevavano qualcosa, e poi via di nuovo. Tutto questo, però, non mi riguardava: io ero addormentata e ciò che potevo percepire era sfocato come il paesaggio visto da una finestra appannata.

Mi svegliai all’improvviso, dopo un numero imprecisato di ore che avevo passato sotto sedativi. La stanza in cui ero era la classica stanza d’ospedale, con un comodino, una finestra ed una sedia. Il tutto contornato da un rilassantissimo ma deprimentissimo colore beige. Se la mia vita è una film, lo sceneggiatore in questa parte non era per niente ispirato. Un clichè dopo l’altro: vaso di fiori freschi, bigliettino anonimo, porta socchiusa da cui filtrano pochi rumori ospedalieri.

Dopo essermi ripresa, decisi di indagare su ciò che era successo. Iniziai a considerare la catena di eventi che mi aveva portato sin lì: dovevo prendere un aereo che avevo perso, quindi ero entrata in un taxi. Lì ho ricevuto la chiamata più brutta della mia vita, che mi annunciava il trasferimento. A causa di ciò, sono stata male e il tassista ha chiamato un’ambulanza. Sull’ambulanza ho ritrovato un uomo che ha tentato di uccidermi, dopo avermi pedinato in aeroporto.

Riassumendo: una giornata decisamente no.

Sentii le guance umide e mi accorsi che stavo piangendo: una reazione del tutto normale, considerando ciò che avevo passato. Non riuscivo ancora a capacitarmi che fosse successo davvero tutto, che la porta si aprì. Due infermiere entrarono nella stanza e, vedendomi sveglia, fecero un cenno ad una persona che, evidentemente, era nel corridoio.

Le due signore mi presero temperatura e pressione, oltre ad aver controllato lo stato della flebo ed aver pronunciato le classiche frasi da ospedale: -Come sta?- -Sente dolori?- -Qual è l’ultima cosa che ricorda?-… insomma, interessate per professione.

Riuscii solo a balbettare qualcosa e a far intendere che volevo bere. Mi porsero un bicchiere colmo d’acqua, con all’interno una cannuccia. Questo piccolo particolare lo ricordo poiché, senza di quella, avrei semplicemente rovesciato tutto il liquido a causa dell’insensibilità della mia bocca.

Una delle due infermiere uscì, l’altra si fermò a darmi qualche indicazione: -Lei sta bene, ora. È consigliabile per lei prendersi una pausa, per smaltire un po’ lo stress accumulato che ha scatenato la crisi. Inoltre non si sforzi troppo a parlare, gli effetti dei sedativi impiegano un po’ a svanire. Ora le faccio entrare il dottore, così potrà discutere con lui dei dettagli.- Detto ciò, uscì dalla porta.

Qualche secondo dopo, entrò il dottore con una cartella in mano. A vederlo, pensai che ciò che supponevo dello sceneggiatore della mia vita era dannatamente vero. Non solo era svogliato, ma cadeva facilmente nel banale.

-Come ha detto l’infermiera, non si sforzi a parlare, in quanto non ci riuscirebbe. Inoltre ho già tagliato i fili che collegano il pulsante che ha a disposizione per le emergenze, quindi siamo solo io e lei.-

L’uomo pallido di sedette sulla sedia che era posta di fronte al mio letto, appoggiò la cartella sulla gambe e mi fissò, a braccia incrociate.

-Dove ha messo quel numero di cellulare?-

martedì 14 giugno 2011

Roxen - Cap. 2

Tornai da Giulia, presi la carta d’imbarco che avevo lasciato sul bancone del check-in e mi diressi verso il posto di polizia dell’aeroporto. Decisi che il mio capo avrebbe aspettato: le brutte notizie… beh, più tardi arrivano, meglio è. Del resto, non ce l’avrebbe mai fatta a mandare nel giro di due ore qualcun altro al posto mio.

Passai l’ora più sconcertante della mia vita a fare la denuncia. Non vedevo l’ora di uscire da quell’ufficio pieno di poliziotti che mi squadravano come se non avessero mai visto una bella ragazza in top e calzoncini in partenza per le Hawaii. E quanto odiai quell’assurdo ometto basso e con gli occhiali che mi faceva un mucchio di domande, digitava lettera per lettera la mia risposta, esitando sulla tastiera, pauroso di spingere fino a fondo i tasti come se fosse una roulette russa e il computer potesse scoppiare in qualunque momento. Alla fine stampò dieci pagine e me le porse con le mani sudaticce e unte, per firmarle. Ringraziai, non solo lui ma anche il cielo, e corsi via verso la stazione dei taxi.

lunedì 13 giugno 2011

Roxen- Incipit

-Carta d'imbarco e passaporto, prego-
Smisi di scrivere con il cellulare e alzai lo sguardo.
La mia visuale si riempì dello sguardo della ragazza del check-in che continuava a gonfiare e sgonfiare il chewingum in bocca con un movimento annoiato e continuo.
Doveva avere circa sui ventidue anni,portava I capelli scuri sciolti in mezzo ai quali spiccava una ciocca ribelle colorata di verde .Sulla targhetta che portava attaccata ad una spilla sulla maglietta c'era scritto “Giulia S.”.
In quel momento..Giulia alzò le sopracciglia fissandomi impaziente.
Ma non era colpa mia se la mia mente non poteva fare a meno di osservare,dedurre ed indagare.
Ovviamente ero conscia del fatto che dietro di me c'erano almeno una sessantina di persone in attesa di fare il check-in per le Hawaii; più precisamente per Pearl Harbor.
Anche per me era un viaggio importante: una nuova indagine mi aspettava, anche se non sapevo ancora bene di cosa si trattava; ma in fondo quello era il mio mestiere,il mestiere di Roxen.
-Certo...-dissi risvegliandomi dai miei pensieri-...Subito-.
E fu così che iniziai ad ispezionare la mia borsa in cerca del passaporto e della carta d'imbarco.
Quindi mi ritrovai in una aeroporto gigante, pieno di negozi con insegne luccicanti (negozi che per altro, trovi solo in aeroporto),ma soprattutto un via vai di gente infinito.
Gente che andava, veniva, litigava, beveva, mangiava, parlava...in poche parole,un incubo.
Il fatto di dover perlustrare la mia borsa, poi, non mi andava proprio a genio; perchè la mia è una Luis Vuitton enorme.
Allora la mia mano incominciò a frugare nel tentativo di trovare I due piccoli oggetti, ma il risultato fu ben diverso.
Trovai un rossetto rosso abbastanza nuovo della Kiko, una ventina di scontrini di negozi e bar differenti tutti stropicciati, il mio cellulare Black Berry che avevo lasciato ricadere nella borsa poco prima, un mini kit di pronto soccorso (per le evenienze, non si sa mai), una scatolina di mentine per l'alito alla menta, una crema idratante per le mani all'aloe vera...
Ma cosa più importante l'agenda:essa è praticamente il mio mondo, senza di lei sarei persa del tutto.
Tengo dentro di tutto: post-it,foglietti, numeri di telefono, impegni, numeri di negozi, fatture, carta d'imbarco...carta d'imbarco??!!Sii, fuori uno!
Ma restava ancora da trovare il passaporto con quell'orribile foto all'interno.
In effetti la storia di quella foto è piuttosto strana...
“Era un martedì pomeriggio, e stavo vagando senza metro lungo Corso Buenos Aires a Milano.
Ma la mia meta non era certo quella, dovevo andare ben oltre per affrontare un colloquio di lavoro per ricevere il mio prossimo incarico.
Mentre mi guardavo intorno osservando le altre persone, il mio sguardo si posò su una di quelle macchinette per fare le foto; e solo lì mi ricordai che dovevo farla per il passaporto avendo perso quello vecchio.
Così, senza pensarci due volte, entrai nella cabina e mi sedetti sullo sgabello, era orribilmente sporco e l'odore che riempiva quel posto di certo non era migliore.
Tirai fuori dal portafogli un po' di monetine per pagare e incominciai a leggere le istruzioni scritte sotto lo schermino per capire bene come procedere.
Una volta riuscita l'impresa prima dello scatto mi diedi un'aggiustatina veloce ai capelli e al trucco, ma il destino volle che non appena stava per scattare la tenda si scostò e una persona mi finì addosso, quindi si può immaginare la mia faccia.
Ma il bello è che quella persona era un uomo che, ad essere sinceri, non era mica male.”
E da qui si capisce no? Siamo finiti a bere un caffé al bar e a furia di chiaccherare direi che forse tra di noi potrebbe esserci una remota speranza.
Ci fu però una cosa quel giorno a farmi paura: mentre l'uomo mi finiva addosso,quando voltai la testa verso di lui, notai grazie alla tendina spostata un uomo molto più in là che ci fissava.
Era di un pallore allarmante e portava scarpe e pantaloni neri, come il giaccone lungo e I suoi capelli; portava un paio di occhiali da sole scurissimi e ci fissava con le mani dritte sui fianchi con un'espressione seria. E fu lì che mi vennero I brividi, specialmente quando gli passò davanti un gruppetto di ragazzi di corsa e una volta spariti dalla mia visuale l'uomo non c'era più.
Ma tornando alla borsa..ecco appunto il fogliettino con su il suo numero, si chiama Luca.
Continuai inutilmente le ricerche del passaporto per un altro minuto pieno, quando capii la situazione. Avevo perso ancora il passaporto.
-Mi scusi-dissi rivolgendomi verso la ragazza del check-in-mi dispiace dirle che non trovo più il passaporto, però ho una carta di identità, va bene comunque?-
-Mi dispiace-concluse la ragazza- Ma senza passaporto lei non può andare da nessuna parte-
-Ma..per favore. Mi scusi tanto per l'inconveniente, ma io devo assolutamente prendere quell'aereo per le Hawaii-
-Niente da fare signora deve fare per forza il passaporto nuovo, comunque se vuole al secondo piano c'è la polizia. Quindi magari vorrà denunciare la perdita dell'oggetto-
Senza rispondere mi feci largo tra la folla e finii in uno spiazzo libero,presi il cellulare che avevo messo nella tasca apposita per non dovermi mettere a ricercarlo e andai sulla rubrica.
A distrarmi prima di chiamare il numero del mio capo fu la presenza di una persona distante circa 50 metri da me.
Era vestito tutto di nero come I suoi capelli e portava degli occhiali da sole molto scuri, che incorniciavano un viso pallidissimo.
Mi bloccai all'istante.
La figura era ferma e mi fissava. Ebbi paura. Non sapevo che fare.
E prima che potessi decidere un ghigno si disegnò sulla bocca di “quell'uomo.
A distrarmi fu la voce della ragazza del check-in che mi chiamava. E appena mi voltai verso la figura nera I brividi ricominciarono.
Davanti a me, circa a 50 metri di distanza, non c'era nessuno.