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martedì 6 marzo 2012

L'amore proibito - Epilogo

Liliana si trova nell'ampio salone della sua casa in Ashbury Street, alle spalle del Buena Vista Park, a San Francisco. Accoccolata nella sua grande poltrona stile inglese ricoperta da un morbido velluto azzurro, si rende conto che nonostante siano ormai passati più di quarant'anni dalla morte di Virginia, poteva ancora sentire il tormento di quegli attimi di profondo dolore e ancora le si increspa la pelle nel pensare allo strazio provato nella sua anima quella maledettissima sera del 16 giugno del '68.

I ricordi tornano nuovamente a fluire mentre riaffiorano nella sua mente le immagini e le sensazioni provate quella sera.

Ricorda di essere rimasta nella sua tenda, dopo aver letto quell’ultima lettera di Virginia, per lunghe ore, piangendo, seduta su quella logora branda, senza trovare il coraggio di muoversi dalla posizione in cui si trovava, attonita al cospetto di quella terribile notizia. Rammenta il suo singhiozzare disperato e quella forte sensazione di dolore che la sua anima, mai aveva provato prima di allora.

Dopo il lungo tempo passato rinchiusa in quella muta disperazione, Liliana era uscita dalla tenda e alzando lo sguardo all’immensità del cielo aveva voluto dare un ultimo saluto a Virginia, nel solo modo che conosceva, scrivendo.

Ciao amore

I lunghi anni di sogno vissuti con te sono stati uno dei più bei regali che abbia mai ricevuto dalla vita e credo realmente che quello che abbiamo vissuto insieme non si potrà cancellare con un battito di ciglia. Mi aspettano giorni bui in cui non riuscirò a vedere la luce, giorni di straziante disperazione per non averti più al mio fianco, per non poter più condividere con te i miei pensieri, per non poter provare mai più la dolce sensazione delle tue morbide labbra sfiorare le mie. La vita non sarà mai più la stessa senza di te.

Oggi in questa giornata particolare i ricordi legati a te tornano disperatamente a fluire dentro di me.

Come dimenticare il nervosismo che si impossessò della mia anima e del mio corpo pochi minuti prima di incontrarti quel giorno davanti al Planetario? Come obliare quel bacio dato all’ombra del grande albero mentre la pioggia bagnava i nostri volti? Come dimenticare le forti sensazioni provate quel giorno e nei giorni a venire in un crescendo sempre più intenso di passione, parole, pensieri e sentimenti? Come poter cancellare per sempre questo meraviglioso sogno che mi hai inconsapevolmente regalato?

Con la tua morte tutto ciò si è dissolto come una bolla di sapone che scoppia cercando di librarsi nell’aria verso l’azzurro cielo.

Senza di te percepisco già un grande vuoto intorno a me. Già sento di odiare il silenzio che contraddistinguerà le mie giornate future. Purtroppo non ci saranno più le tue parole a scaldare il mio cuore.

A volte ho pensato con invidia alla tua forza nell’essere riuscita ad andartene quel pomeriggio, al coraggio di lasciarti tutto alle spalle senza debolezze. Solo ora ripensando ai tuoi occhi, scorgo la tristezza che si annidava nel tuo cuore e solo ora comprendo che dentro di te, sentivi il forte bisogno di qualcuno che potesse rendere visibile la tua vera anima. In questo momento comprendo che la tristezza dei tuoi occhi era causata dal dolore di dover rinunciare per sempre a vivere e che la tua grande forza nascondeva dentro sè un tremendo segreto, la sofferenza di dover abbandonare ciò che amavi e che ti faceva sentire bene.

Avvertendo il tuo dolore ora interrogo il mio cuore e sento quello stesso tormento lacerare la mia anima.

Continuerò a vivere solo perché nel fondo del mio cuore sarai ancora presente, come se non ti avessi perduta completamente, come se una parte di te continuasse a vivere nei miei ricordi, per sempre.

Forse non sognerò più, ma il tuo ricordo mi basterà per seguitare a vivere.

O forse dovrei dire… mi basterà per sopravvivere?

Sento ancora la mia anima intrecciata alla tua e voglio pensare che lo sarà per sempre.

Mi mancherai tremendamente

Liliana

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Le stagioni che si susseguirono inesorabilmente per Liliana, furono caratterizzate dal buio e dal silenzio.

Poco tempo dopo la terribile notizia, con l’anima straziata dal dolore ed il corpo minato dai terribili attacchi di panico che le avrebbero impedito di poter vivere all’ombra di quella guerra così pressante, sia fisicamente che psicologicamente, Liliana fu costretta ad abbandonare il Vietnam e con esso il desiderio di potervi rimanere, così come Virginia avrebbe voluto.

Momenti di forte depressione colpirono il suo essere incapace di reagire al cospetto di quel forte dolore che le attanagliava l’anima.

Liliana non sapeva cosa farsene di quella sua triste vita, nulla sembrava valesse la pena di essere vissuto senza avere al suo fianco Virginia, con cui fino ad allora aveva condiviso ogni momento della sua esistenza, anche se solo attraverso le parole. Nulla pareva aver significato senza di lei. La scomparsa di Virginia tolse colore al mondo, ora solo buio e dolore le tenevano compagnia.

Il giornale per cui scriveva le diede l’opportunità, visto il valore dimostrato in quei lunghi anni passati a raccontare così degnamente quell’assurda guerra al mondo, di potersi ritirare a Haight-Ashbury ,un quartiere di San Francisco, chiedendole di scrivere articoli di colore sul fenomeno nascente degli Hippie, che in quegli anni avevano ereditato i valori controculturali della Beat generation.

Liliana passò così dalle atrocità della guerra del Vietnam a quell’alone d’amore che circondava i figli dei fiori e finì per fare suoi quegli ideali di pace, di libertà e sesso libero che Liliana a volte amava sintetizzare con uno slogan: “ Non fate la guerra ma fate l’amore” .

Il forte desiderio di annullare se stessa e di poter cancellare per sempre il buio ed il silenzio che la circondava da quando era morta Virginia, la portarono a voler esplorare i meandri più reconditi della sua mente.

Fu così che Liliana intraprese il cammino verso nuove esperienze, tra cui, quella dell’alterazione della coscienza, attraverso una potentissima droga psichedelica: l’LSD.

Liliana ancora non sapeva che l’LSD oltre a poter intensificare colori, suoni, odori e sensazioni positive avrebbe anche potuto amplificare contesti e pensieri spiacevoli provocando ansie e panico.

Fu proprio la sera prima di partire alla volta del grande concerto che si sarebbe tenuto a Bethel, che Liliana, dopo essersi calata un acido, iniziò ad essere assalita da uno stato d’ansia tale, che le impediva di respirare in maniera regolare e a peggiorare lo stato delle cose, furono quelle terribili allucinazioni che resero ancor più insopportabile lo stato in cui si trovava. L’amplificazione della sua emotività e la distorsione della percezione della realtà la portarono a trasformare, quella che inizialmente poteva essere solo una forte ansia, in uno stato di panico non controllabile. Passò interminabili ore in quella terribile condizione. Per fortuna al suo fianco c’era un amico che non l’abbandonò neanche per un secondo, tentando in tutti i modi di tranquillizzarla e vegliando che nulla le potesse accadere. Dopo una lunga notte estenuante per entrambi, l’effetto dell’acido lentamente calò e Liliana riuscì finalmente ad assopirsi liberando il suo corpo dalla terribile ansia.

Furono mesi duri quelli a venire. A volte l’inquietudine tornava a fare capolino nel suo cuore e a fatica riusciva attraverso la sua mente ad allontanare quell’orribile sensazione.

Quel profondo baratro in cui era caduta, le fece capire che ormai era giunto il momento di tornare ad esistere, e comprese che la vita dissipata che aveva condotto nell’ultimo anno, non aveva fatto altro che minare ulteriormente la sua anima oltre al suo corpo. Fu così che la mattina del 17 febbraio del 1970 Liliana scelse di tornare vivere. Ma le restava ancora una cosa da fare prima di poter ricominciare. Doveva andare a Milano per recuperare il pacchetto che Virginia aveva lasciato in custodia alla figlia per lei.

Non se ne era mai dimenticata. Quel pensiero giaceva in fondo al suo cuore da molto tempo, ma non aveva mai trovato il coraggio di affrontare quello che sarebbe stato l’ultimo atto della sua storia di dolore.

Tornata a Milano, Liliana decise di dare appuntamento alla figlia di Virginia in quegli stessi giardini dove aveva vissuto attimi di intensa felicità con il suo adorato amore.

Liliana arrivò al Planetario, mentre aspettava, si accese una sigaretta per cercare di far scivolar via il turbamento che si era preso il suo corpo. Quando la vide da lontano, un largo sorriso comparve sul suo volto. Mentre la piccola Liliana si avvicinava con incedere incerto, non potè fare a meno di notare quanto assomigliasse alla sua mamma.

Per alcuni istanti le parve di essere tornata indietro nel tempo e mille immagini affollarono la sua mente. Aveva mille cose da raccontare a Liliana sulla sua mamma, ma quell’incontro non andò come aveva previsto.

Poche parole vennero dette. L’evidente imbarazzo da parte di entrambe le portò ad abbreviare il più possibile i tempi di quell’incontro. La piccola Liliana le consegnò un pacchetto avvolto in una pagina del Corriere della Sera, tenuto insieme da un vecchio spago e con un sorriso benevolo si congedò.

Mentre la piccola si girò per andarsene, Liliana le prese un braccio e l’attrasse delicatamente verso di sè. La baciò dolcemente sulla guancia e la lasciò libera per sempre.

Il cielo all’improvviso si rannuvolò ed un vento leggero le accarezzò il viso mentre, seduta sotto il grande albero dalle foglie rosso porpora, aprì con cautela quel pacchetto che aveva tra le mani.

Tre quaderni dalla copertina nera ne erano il contenuto.

Liliana capì che in essi vi era raccontata la vera anima di Virginia e iniziando a leggere, si rese conto che in tutti quegli anni le aveva regalato quotidianamente una parte di sè.

Sfiorando con le mani le pagine di quei diari, Liliana ebbe la netta sensazione di avere nuovamente vicino a sè Virginia , era come se toccando quei quaderni potesse sentire la sua pelle morbida scorrere ancora sotto le sue dita. E quando d’improvviso alcune gocce bagnarono le pagine dense delle sue parole, si sprigionò da esse il profumo della pelle bagnata dalla pioggia che quel lontano pomeriggio di Aprile, così tanto la turbò.

Per Liliana era ormai giunto il momento di riporre i ricordi, in quell’ultima stanza del suo cuore, quella così difficile da raggiungere. Liliana si sentiva serena, perchè sapeva che ogni qual volta ne avesse sentito il bisogno, avrebbe potuto aprire la porta di quella stanza e ritrovare intatto e immutato nel tempo quell’amore puro che li vi giaceva.

Liliana visse per il resto dei suoi giorni tra Milano e San Francisco, una vita senza paura, sempre a testa alta, sempre in prima fila, sempre sola e sempre disposta ad affrontare le sfide più impegnative.

Per alcuni anni continuò a fare la giornalista, ma quando più tardi il suo fisico glielo consentì tornò a fare la corrispondente nella guerra Indo – Pakistana, in sud America e in Medio Oriente.

Nel 1979 pubblicò il suo primo bestseller e negli anni a venire molti saranno i libri che pubblicherà, tra cui nel 1983 un romanzo dal titolo, L’amore proibito, dove i suoi pensieri insieme a quelli di Virginia, si intrecceranno per sempre su quelle pagine bianche, rendendo immortale al mondo quella loro passione nata all’ombra del grande albero.

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Immersa nella sua poltrona azzurro cielo, nell’ampio salone della sua casa in Ashbury Street a San Francisco, Liliana sente che la vita dentro di lei sta per abbandonarla.

Il suo respiro si fa sottile, con grande sforzo prende dal tavolino accanto a lei la copia del Corriere della Sera per guardare che giorno fosse, visto che la sua memoria, alla nobile età di ottantasei anni ormai non funzionava più come avrebbe dovuto.

E’ il 25 Aprile 2011.

Nell’attimo in cui Liliana sente che la sua anima sta per abbandonare il suo corpo stanco, apre per l’ultima volta la porta segreta del suo cuore, ritrovandosi laggiù, sotto il grande albero ad ammirare quelle foglie porpora scuro, macchiate di rosa e rosso vivo che ancora oggi la pervadono di una malinconica felicità.

La pioggia che bagna il suo viso, si mischia ora alle lacrime del rimpianto. Il rimpianto di non aver potuto avere a disposizione un’altra vita, per vedere come sarebbe stato vivere accanto a Virginia.

Quel leggero alito di vita rimasto nell’esile corpo di Liliana, viene soffiato via nel momento in cui compare al suo cospetto Virginia, che prendendola per mano la sospinge lassù, nell’azzurro cielo, dove le loro anime rimarranno intrecciate per sempre, tingendo dei loro pensieri le bianche nuvole che magicamente si coloreranno di rosa e rosso vivo.


Nel linguaggio dei fiori

Fagus Purpurea: Una decorazione di foglie di faggio, soprattutto se di varietà purpurea, attribuisce a qualsiasi mazzo di fiori questo significato ben preciso: “ Io ti dono il mio cuore”.

Se poi i rami del faggio hanno acquistato le caratteristiche sfumature rosa e rosso porpora, la simbologia si fa più impegnativa poiché promettono, “ Amore sino all’autunno della vita”, ossia PER SEMPRE.




lunedì 5 marzo 2012

L'amore proibito - Capitolo 8


My Lay non era lontana. Erano passati circa due mesi da quel giorno, e Liliana aveva ancora sottomano la cronaca che aveva stilato. Ricordava ogni parola che aveva scritto, ogni fitta che aveva provato raccontando di quella infame strage. Era stata male, aveva vomitato, aveva pensato di andare via dal Vietnam e tornare a casa, ma alla fine aveva prevalso il senso del dovere che la portava a raccontare quello che sentiva, quello che vedeva, quello che accadeva, perchè tutto il mondo potesse essere conscio di quello scempio.
Il giornalismo era cambiato rispetto a quando era arrivata in Vietnam. Quella maledetta guerra l’aveva cambiato. Quando era arrivata negli altopiani centrali del Vietnam del Sud, le veniva chiesto soltanto di raccontare storie degli eroi americani, delle loro vite e delle loro imprese. Era partita da Milano nell’estate del 1965, quando gli Stati Uniti avevano deciso di acconsentire all’invio di ingenti truppe nel Vietnam del Sud, su richiesta del generale Westmoreland. Erano poche, allora, le voci che stonavano nel coro di laudi verso gli eroi della bandiera a cinquanta stelle, quelle voci tacciate di “comunismo”, solo perchè raccontavano delle morti civili invece che delle imprese americane.

Nel 1968 il conflitto aveva assunto un risvolto drammatico che non era più possibile celare dietro la “guerra giusta”, la morte era entrata in troppe case americane per fingere che quell’impresa fosse un successo. Liliana sapeva del profondo dissenso civile che stava pian piano esplodendo nelle piazze e nelle università. Quello che succedeva in America lo sapeva dai suoi colleghi reporter. Quello che succedeva in Italia lo sapeva dalle parole di Virginia.

Si erano scritte sempre. Le lettere non venivano consegnate con regolarità: a volte ne riceveva una al giorno, altre volte non ne riceveva per mesi e poi in un giorno solo le lasciavano un cartone pieno di buste. Succedeva soprattutto quando cambiava campo e risultava difficile rintracciarla. Le teneva chiuse tutte in una piccola cassapanca che teneva nella sua tenda: aveva quasi più lettere che vestiti, ma non se ne curava. Quelle lettere erano il suo cibo. Nei momenti più difficili le leggeva una dietro l’altra, si perdeva dietro i racconti di vita reale che Virginia così dettagliatamente le faceva. Seguiva giorno dopo giorno la vita di Liliana, la piccola Liliana, alla quale si era affezionata già dopo poche settimane che l’aveva conosciuta attraverso i racconti di sua madre. Dal suo canto, Liliana raccontava a Virginia il dolore, le atrocità alle quali assisteva, le storie terribili che ascoltava al campo, quelle che non sapevi se fossero frutto di fantasia o no e quelle che sapevi con certezza che erano realtà, perchè venivano dalla bocca di un uomo, che non aveva più nulla di umano dopo essere sopravvissuto alla tortura.

domenica 4 marzo 2012

L'amore proibito - Capitolo 7

La piazza era gremita di gente a tal punto da toglierle il respiro, erano ormai un paio d’anni che a volte i luoghi troppo affollati le facevano un effetto strano, era come se una morsa le opprimesse il petto e un forte dolore le trafiggesse il cuore tanto da impedirle di respirare regolarmente.

Proprio mentre cercava un varco tra la folla che la potesse portare in un luogo che non traboccasse di umanità, si sentì chiamare.

Il cuore parve voler uscire dal suo petto, quella voce le ricordò Virginia, si girò di scatto nella speranza di vederla, ma solo visi sconosciuti la circondavano. Continuò a cercarla disperatamente tra la folla ma senza alcun risultato. Ormai convinta di essersi immaginata quella voce, riprese a camminare cercando di uscire dal delirio di quella piazza, ma quella voce la chiamò nuovamente.

“ Liliana! Liliana dove sei? “

Liliana si girò e vide una bambina dai lunghi capelli scuri, raccolti in due grosse trecce che le incorniciavano il volto e con due grandi occhi color della notte, poteva avere 10 anni, correva piangendo sola nella folla.

Liliana la fermò, capì che si era persa, le disse di non aver paura e che insieme avrebbero aspettato la sua mamma che non poteva essere lontana. Mentre cercava di distrarla dal suo dolore parlandole del più e del meno sentì nuovamente quella voce chiamarla : “ Liliana, finalmente ti ho trovata! “. Liliana si girò verso la voce, il suo viso si illuminò come anche gli occhi della bambina si illuminarono. La bambina corse incontro a quella che ormai Liliana aveva capito essere Virginia la mamma di quella adorabile bambina.

“ Mamma, mamma, non sai che paura ho avuto! Non ti trovavo più! Sai questa signora mi ha aiutata e ha aspettato con me che tu arrivassi!”. Virginia era evidentemente costernata, una lacrima solcando il suo viso tradì quell’emozione che le faceva battere forte il cuore, in un solo istante aveva ritrovato la sua adorata figlia ed il suo perduto amore, e non per caso, portavano lo stesso nome.

Liliana in quel momento capì che Virginia nonostante gli innumerevoli anni passati senza incontrarsi non l’aveva dimenticata, capì anche che quello non era il momento adatto per poterle esternare tutti i sentimenti così a lungo rimasti sepolti nella sua anima, così la abbracciò come in un saluto di due amiche che non si vedono da tempo e le sussurrò in un orecchio: “ voglio vederti, ho bisogno di parlarti, fatti trovare tra un’ora ai giardini pubblici di Porta Venezia, di fronte al Planetario, ti prego non dirmi di no.” Virginia per un lungo istante rimase in silenzio, la sua anima combattuta da due forze opposte le impediva di prendere una decisione, ma alla fine il sentimento ebbe la meglio sulla ragione: “ va bene, accompagno Liliana a casa e arrivo, tra un’ora sarò li”.

Liliana iniziò a camminare verso il parco dei giardini pubblici, alzando gli occhi al cielo si accorse che un’enorme nuvola scura si muoveva velocemente sospinta dal vento verso quella porzione di cielo che la sovrastava. Noncurante di essa continuò a camminare, si sentiva come sospesa in un sogno che presto avrebbe lasciato spazio alla realtà. Un milione di parole si affollarono nella sua mente, una vita non le sarebbe bastata per raccontare a Virginia tutto ciò che aveva da rivelarle sulle recondite emozioni del suo cuore e sulla donna che era diventata in quegli anni. Ciò che più la tormentava era, come avrebbe potuto dirle che stava per partire proprio ora che finalmente si erano ritrovate? Come raccontarle che avrebbe fatto parte di quel numero di giornaliste accreditate che stavano per andare in Vietnam per poter raccontare e documentare la drammaticità di quella terribile guerra?

Quando Liliana arrivò al Planetario Virginia non era ancora arrivata, mentre aspettava si accese una sigaretta per cercare di far scivolare via l’ansia che si era presa il suo corpo. Quando la vide da lontano, un largo sorriso comparve sul suo volto, era felice di poterla osservare in quella sua camminata incerta mentre si avvicinava. Aveva ancora nella mente la ragazzina che era, ma osservandola attentamente si rese conto che ormai il corpo di Virginia si era trasformato in quello di una bellissima donna.

Le nuvole scure lassù nel cielo avevano portato il buio ed il silenzio intorno a loro, le mamme con i bambini e gli anziani che a quell’ora del pomeriggio popolavano il parco erano scappati via per la paura di quell’imminente temporale che incombeva sulle loro teste. Liliana e Virginia si sentirono al sicuro avvolte da quell’improvvisa atmosfera irreale che si viene sempre a creare prima di un acquazzone. Liliana prese per mano Virginia e la portò sotto il grande albero, voleva che anche lei potesse ammirare la fierezza e la bellezza di quel manto di foglie color porpora macchiate di rosa che rivestivano il grande faggio tricolore. Virginia rimase senza fiato e proprio mentre osservava, con il viso rivolto verso il cielo, il grande albero, una goccia le bagnò il viso. Le parole che poco prima affollavano la mente di Liliana scomparvero di fronte alla bellezza e alla profondità di quegli occhi che sapeva appartenerle. Le mille parole lasciarono spazio all’intensità dei loro sguardi. Liliana si appoggiò al grande albero mentre la pioggia cominciava a scivolare sui loro visi.

Liliana accarezzò il volto bagnato di Virginia con le sue lunghe dita sottili e dopo un breve istante la attrasse a sé appoggiando dolcemente le sue labbra morbide su quelle di lei. I loro corpi ora aderivano perfettamente in quell’abbraccio appassionato. Liliana poteva percepire attraverso i vestiti i turgidi seni di Virginia premere contro i suoi ed anche i loro sessi ormai così vicini provocarono ad entrambe un’esplosione di piacere che nemmeno il freddo della pioggia che inumidiva i loro abiti pote’ fermare.

Virginia sciolse l’intreccio dei loro corpi, si era fatto tardi per lei, a casa la stavano aspettando, doveva andarsene. “ Ti prego lasciami andare, non dovrei essere qui, mi aspettano a casa! So cosa mi vuoi dire, leggo il dolore nei tuoi occhi e so che devi partire, leggo sempre i tuoi articoli sul Corriere, in tutti questi anni mi hai regalato la gioia di poterti stare accanto attraverso ciò che scrivevi e mi hai dato la possibilità di riscattare la mia vita attraverso la tua. Sono fiera di te, della donna che sei, della libertà che hai saputo conquistare. Sei ciò che avrei voluto essere, anche io sai, amo scrivere ma non ho mai trovato dentro di me la forza di ribellarmi a ciò che il destino mi aveva designato. Segui il tuo cammino ma non dimenticarmi, io non lo farò, ti lascio l’indirizzo della biblioteca dove lavoro. Scrivimi, io ti risponderò.”

Virginia prese la mano di Liliana, le poggiò sul palmo un bigliettino, poi stringendola forte gliela chiuse a pugno e attraendo nuovamente il suo corpo verso di se le diede un bacio sulla guancia e scappò via sotto il rumore della piaggia scrosciante.

Liliana rimase lunghi istanti ancora appoggiata al grande albero, la pioggia cadendo sul suo viso andava a mischiarsi con le lacrime che sgorgavano dai suoi occhi mentre il suo cuore sanguinava dolore.

Quella volta neanche la magia delle foglie color porpora seppero alleviare il suo sordo dolore.

sabato 3 marzo 2012

L'amore proibito - Capitolo 6


Il pendolo del soggiorno smise di emettere il suo noioso ticchettio, gli uccellini uscirono dalla loro casetta e iniziarono a pigolare per dodici volte. Liliana si distrasse dai suoi pensieri remoti nel tempo e si guardò in giro. Scrutò la sala intorno a sé, concentrandosi su alcuni pezzi del suo passato: il suo primo articolo su un libro di Idiers, composto nel 1947, a soli ventun anni, per il Nuovo Corriere della Sera, posto tra due vetri oramai opachi ed impolverati, retti da una cornice color noce; un piccolo regalo della segretaria di direzione che la seguiva in quegli anni; una serie di quadernetti neri con le pagine oramai ingiallite che la seguivano fedeli sempre, ovunque andasse; infine, qualche boccetta dell’inchiostro che fermava sulla carta i suoi pensieri.
Si alzò dalla poltrona di velluto azzurro e aprì la credenza dove si trovava “quel” quadernino. Lo prese e lo sfogliò velocemente, quasi volesse sincerarsi di non aver sbagliato, e cercò le pagine di quel maggio della sua adolescenza. Non aveva sbagliato, e come avrebbe potuto? Era il libricino più consumato fra tutti gli altri, quello sul quale aveva pianto mille volte, quello che aveva stretto a sé molte notti, non solo quando la sua fanciullezza poteva permetterle certe debolezze, ma anche dopo, quando  la natura aveva imposto una certa dignità ai suoi sentimenti.

Si recò in cucina, prese dell’uva, ripose gli acini in una ciotola e tornò in soggiorno. Sul tavolinetto affianco la poltrona appoggiò la ciotola di porcellana blu con gli acini, si sedette, chiuse un attimo gli occhi e poi li riaprì. Aprì il libretto a quel giorno di maggio e iniziò a leggere, spiluccando un acino alla volta.

Una lacrima le scendeva di tanto in tanto sul viso, che si corrugava ora di rabbia, ora di angoscia, ora di tormento, man mano che le sue stesse parole le rammentavano quei forti sentimenti che aveva provato. No, non aveva dimenticato nulla: nè la speranza che l’aveva accompagnata in quel viaggio in tram, nè la profonda delusione dello scoprire che aveva perso Virginia per sempre, nè quel sentimento di felicità che le aveva dato guardare quell’albero, un albero enorme, gigantesco, di fronte al quale aveva pensato che qualcosa di così grande non può morire. E proprio perdendosi tra le sue fronde, incespicando nei rami e tra le foglie rosso scuro, aveva percepito in sé la certezza che un giorno avrebbe rivisto Virginia.

venerdì 2 marzo 2012

L'amore proibito - Capitolo 5

Liliana aprendo gli occhi quella mattina si guardò intorno disorientata, per alcuni istanti fece fatica a capire dove si trovava.

Il fresco profumo di sapone di Marsiglia delle lenzuola appena lavate a contatto con la sua pelle le parlarono di casa e fecero emergere nella sua mente immagini per lungo tempo dimenticate. Quella fragranza le ricordò la sua adorata nonna mentre faceva il bucato nella stanza dove tempo addietro tenevano i mastelli e le assi per lavare. Liliana adorava quel profumo di pulito e rammentava che da piccola non riusciva ad addormentarsi se non annusava le sue candide lenzuola, quell’odore nelle sue narici faceva da calmante ai suoi bui pensieri.

“ Sono a casa “ pensò Liliana mentre gli occhi ed il viso le si illuminarono di una luce intensa e radiosa come solo alle persone felici soleva accadere.

Appena alzata il ricordo di Virginia riempì nuovamente la sua mente e come fosse diventata una consuetudine in quei momenti, estrasse il suo quadernetto nero ed i sentimenti cominciarono a fluire attraverso l’inchiostro imprimendo le pagine bianche del flusso di parole liberate dalla sua coscienza e dai suoi pensieri.

Liliana era diventata brava a giocar con le parole, ma di questo si renderà conto solo con il passar del tempo.

Liliana era felice di essere finalmente tornata a vivere con i suoi genitori, ma il pensiero di Virginia continuava a farle pulsare le tempie dal dolore, doveva scoprire cosa ne era stato di colei a cui aveva dedicato la maggior parte dei suoi pensieri negli ultimi tre anni.

Si alzò e dopo essersi vestita frettolosamente decise di inseguire i suoi sogni.

“ Mamma, scusa se non faccio colazione ma devo assolutamente andare a vedere cosa ne è stato della mia amica Virginia! Sai quella ragazza di cui ti ho parlato tante volte e che incontrai il pomeriggio prima di partire, ora devo andare a cercarla, ma torno presto non preoccuparti per me. “

La baciò sulla guancia , scese di corsa le scale saltando i gradini di due in due e si ritrovò in strada proprio mentre stava passando il tram che da Crescenzago portava alla Stazione di Porta Venezia.

Senza un attimo di esitazione saltò sul “ predelin “ e facendosi poi largo tra la gente raggiunse il bigliettaio per pagare le quattro lire del biglietto.

Liliana poteva percepire le storie celate dietro a quei visi che la circondavano, poteva sentire il dolore, intuire i patimenti causati dalla fame, immaginare le loro storie d’amore , le piaceva soffermare la sua attenzione su quei volti, ne studiava i tratti, li seguiva nei loro movimenti e immaginava una storia, dalla quale poi sarebbe nato un racconto. Non poteva farne a meno, era come se quegli estranei si introducessero nella sua anima guidandola verso il loro essere più profondo e Liliana sentiva la necessità di farsi possedere da quelle anime sconosciute per poter dare voce alle loro storie, alle loro vite, e renderle finalmente visibili e immortali al mondo.

Un improvviso silenzio raggelò l’aria quando il tram, giunto in Piazzale Loreto costeggiò il distributore di benzina alla cui tettoia solo poche settimane prima, i corpi senza vita di Mussolini e della Petacci erano stati appesi per i piedi.

Gli occhi di Liliana parevano poter vedere la folla che infliggeva le sue barbarie a quei corpi ormai resi inermi dalla morte, poteva percepire l’odio ed il rancore di cui ancora era intrisa quella piazza, perché anche se quell’episodio segnò l’epilogo di quella sanguinosa guerra, ancora lasciava una ferita aperta nella popolazione che non poteva dimenticare gli orrori passati davanti ai suoi occhi.

Liliana decise di cancellare dalla sua mente quelle tristi immagini per tornare a fantasticare sull’incontro da lei tanto atteso, si trovò così ad immaginare la gioia che avrebbe provato nel rivedere la fanciulla che aveva ispirato tanti suoi racconti, poteva intuire il calore del suo corpo sprigionarsi dal forte abbraccio che avrebbe suggellato quel loro incontro e si ritrovò ad arrossire pensando alle morbide e carnose labbra di Virginia che sperava potessero posarsi sulle sue in un lungo e appassionato bacio.

Ardito pensiero questo suo ultimo.

Liliana, faceva fatica ad accettare certi suoi pensieri ma aveva imparato a conviverci, anche perché, quella in definitiva era l’ineluttabile realtà, erano quelli i sentimenti più segreti che si sprigionavano dal suo cuore.

Dal tram, che ora stava percorrendo Corso Buenos Aires, vide la casa dove abitava Virginia, per un istante il suo cuore mancò un battito, rimase come paralizzata, la mente le si offuscò, non sapeva più se realmente desiderava incontrare quella dolce creatura, eroina, forse idealizzata di mille suoi pensieri.

Aveva paura che la realtà potesse distruggere per sempre quel suo perfetto sogno d’amore.

Un triste presagio la pervase, ma nonostante ciò, Liliana andò incontro con indomita fierezza a quella che intuiva sarebbe stata una pugnalata in pieno petto.

Fu così che scoprì, in quella tiepida mattinata di Maggio, dai racconti della vecchia portiera del palazzo, che Virginia in seguito alla morte della madre due anni prima, se ne era andata da quella casa senza lasciare nessuna traccia dietro di se.

Un indicibile dolore si impossessò del suo corpo.

Liliana iniziò a camminare senza meta, il suo cuore gonfio di dolore sembrava esploderle nel petto, le lacrime uscivano come fiumi in piena dai suoi grandi occhi scuri, il dolore che provava era straziante, non poteva credere di aver perduto per sempre colei che aveva rasserenato per così lungo tempo le sue tristi giornate donandole il sorriso anche nei momenti più disperati.

Dopo un lungo vagare si ritrovò seduta su di una panchina nei Giardini Pubblici di Porta Venezia.

Alzando i suoi occhi verso il cielo alla ricerca di conforto, Liliana incrociò il suo sguardo con un albero dalla bellezza silenziosa, le sue foglie erano splendidamente colorate di porpora scuro, macchiato di rosa e rosso vivo e senza comprenderne il motivo la sua anima si rasserenò per un istante di fronte alla bellezza di quel grande albero.

E fu così che, mentre un raggio di sole, filtrando attraverso i rami del grande albero, illuminava il suo volto , Liliana estrasse il fedele quadernetto e cominciò a scrivere…

giovedì 1 marzo 2012

L'amore proibito - Capitolo 4


Liliana si svegliò di soprassalto, sentendo la madre girare frettolosamente per casa. Andava dalla sua camera al tinello. Sentiva che frugava nel suo armadio e poi con passi svelti usciva. Tornava, frugava ancora e poi usciva.

Rimase con gli occhi chiusi per almeno un quarto d’ora, cercando di convincersi che non stava accadendo davvero, ma quando aprì gli occhi constatò che il suo armadio era stato svuotato. Sollevò di scatto le coperte e corse nel tinello, dove un paio di valigie si presentarono ai suoi occhi, pronte per essere portate via, da qualche parte, lontano da Milano.
«Io non voglio andare via! Io voglio restare qui...» disse, scoppiando a piangere.

Sua madre la guardò immobile, incerta se rimproverarla o se stringerla al petto come faceva quando era piccola e piangeva inconsolabile per qualche capriccio o qualche piccola ferita. Non si erano mai separate da quando era nata: quella sarebbe stata la prima volta, ma era l’unica cosa giusta da fare in quella maledetta guerra... Liliana non doveva rimanere a Milano, non doveva vedere la morte e la distruzione, doveva starne fuori e non immagazzinare ricordi che l’avrebbero ferita anche a decine di anni di distanza. La guardò serena, le si avvicinò e l’abbracciò piangendo: «Piccola mia, credimi, non lo farei se non fosse necessario. Io e tuo padre dobbiamo restare qui, non possiamo venire con te. Andrai dallo zio Eustachio. Starai bene con loro, fidati. Ci sono Giorgia, Nella... sono le tue cugine, non starai male, piccola... e poi appena potremo, verremo a riprenderti. Non puoi stare qui adesso, è pericoloso... Non puoi... Non voglio...»

Liliana le urlò contro: «E non conta quello che voglio io, mamma?» e scoppiò a piangere ancora più forte, mentre sua madre la traeva al petto e le accarezzava i capelli. Rimasero abbracciate, strette l’una all’altra, singhiozzando e gettandosi addosso il dolore di quella inconcepibile separazione. Poi la madre si staccò da Liliana e le disse: «Ora vai a vestirti, lo zio arriverà tra poco.»

mercoledì 29 febbraio 2012

L'amore proibito - Capitolo 3

Virginia prese Liliana per mano e si diresse verso l’uscita che le avrebbe condotte in strada.

Il panorama che si trovarono di fronte fu agghiacciante, madri disperate si aggiravano tra le macerie di un edificio interamente crollato, alla ricerca dei propri cari.

Grida di disperazione si propagavano nel silenzio irreale di quello scenario infernale.

Anime solitarie vagavano senza meta rinchiuse nella muta disperazione che solo un forte dolore può provocare.

Virginia sentì la paura attanagliarle il cuore, strinse forte la mano di Liliana ed insieme cominciarono la loro disperata ricerca.

“ Avete visto una signora bruna dai lunghi capelli neri aggirarsi qui intorno? Indossava un cappotto verde e una gonna nera, è la mia mamma, non riesco a trovarla!, per favore l’avete vista?. “

A tutti quelli che incontravano facevano la stessa domanda, ma nessuno pareva aver notato quell’esile creatura aggirarsi nei dintorni.

“ Ma dove sarà andata! “ disse Virginia mettendosi a piangere, cosciente del fatto che non avrebbe potuto sopportare la perdita dell’unica persona che la teneva ancora legata alla vita.

Dopo un lungo vagare, Virginia ebbe un’intuizione e le venne in mente di andare a cercare mamma Carla a casa, stupidamente lì non erano ancora state e non era poi così improbabile che avesse voluto trovar conforto tornando nella propria abitazione.

Corsero verso casa, entrarono ansimando nell’androne, salirono di fretta i tre piani di scale dai bianchi gradini di marmo, per ritrovarsi dinnanzi ad una porta socchiusa che le vide entrare con la speranza fissata negli occhi.

Carla si trovava seduta nel silenzio del tinello, una lacrima percorrendo il suo viso andò a posarsi su di una fotografia che stringeva forte al petto, lì erano impressi i volti sorridenti della sua adorata famiglia prima di quel maledetto 13 agosto.

Carla, sconfitta dalla vita, aveva ormai smesso di lottare, permettendo al dolore di annidarsi dentro di lei senza darle tregua. Il suo corpo era presente, ma il suo spirito vagava senza sosta alla ricerca delle anime di coloro che aveva amato così profondamente, e come tutti coloro che soffrono di questa terribile malattia che è il dolore di una perdita, non si rendeva conto che la sua unica possibilità di salvezza era concentrata in quella dolce creatura che le stava a fianco, ormai abituata a donar muto affetto, senza ricevere nulla in cambio, se non il ricordo di ciò che era stato.

Liliana si rese improvvisamente conto di quanto fosse tardi e di quanto fosse stata sconsideratamente superficiale nel passare quelle ore insieme a Virginia, dimenticando, che anche lei aveva una famiglia e che sicuramente i suoi genitori erano preoccupati per non averla vista rientrare dopo il bombardamento, ma non aveva potuto fare a meno di aiutare quella creatura che sentiva essere così disperatamente sola.

Salutandosi, gli occhi di Liliana si intrecciarono nuovamente a quelli di Virginia.

Guardando quei due occhi scuri come la notte provò una sensazione particolare, un’emozione mai provata prima e uno strano brivido percorse il suo corpo quando Virginia le si avvicinò per salutarla.

In quell’istante un lieve rossore comparve sulle sue guance.

“ Mi spiace devo scappare, la mia famiglia sarà in ansia per me, ti prometto che ci rivedremo presto.”

Si abbracciarono strette, ma poi Liliana scappò via da quell’intreccio d’anime, scivolando nel buio della sera illuminata dagli incendi divampati a causa del terribile bombardamento.

Correva come il vento cercando di abbreviare il più possibile quel lungo cammino che la separava dal calore della sua famiglia, si sentiva terribilmente in colpa per non essere tornata subito a casa.

L’aria accarezzava i suoi pensieri, rendendo visibile sul suo volto la preoccupazione per l’angoscia procurata ai suoi cari e sperò in cuor suo che nulla fosse accaduto a coloro che tanto amava, perché in caso contrario non avrebbe mai potuto perdonarsi.

Con il cuore in gola arrivò finalmente davanti al portone di casa, si sentì felice nel constatare che tutto sembrava essere rimasto apparentemente immutato.

Salì di fretta le scale, le sembrava non finissero mai quei gradini che la separavano dal caldo abbraccio dei suoi genitori.

La porta era aperta, Liliana non ebbe bisogno di suonare.

Entrò silenziosamente, quasi avesse paura di ciò che avrebbe potuto trovare.

Loro erano seduti in cucina, al buio.

Mamma poggiava il suo capo, reso pesante dai pensieri in esso contenuto, sulle sue stanche braccia, che teneva incrociate su quel vecchio tavolo di marmo che rievocava nella memoria di Liliana i momenti felici di quando insieme preparavano la pasta fatta in casa per il pranzo della domenica.

Quell’immagine era talmente forte dentro di lei che le pareva di sentire il profumo del ragù che sobbolliva sui fornelli.

Papà al suo fianco le accarezzava dolcemente il volto cercando di dare conforto al suo dolore, ma dai suoi occhi traspariva l’inquietudine annidata nel suo cuore per quella figlia che non vedeva tornare.

Quasi a percepire la sua presenza, alzarono i loro sguardi verso quell’ombra che si intuiva nella stanza e resisi conto che era quella della loro adorata figlia, si precipitarono ad abbracciarla scoppiando in un pianto a dirotto. Furono talmente felici di poterla nuovamente tenere stretta tra le loro braccia, che non vollero saper nulla di più.

Ciò che contava realmente era saperla salva e nuovamente con loro.

Mamma Bice accese una candela, fece sedere Liliana al bianco tavolo di marmo e lentamente, quasi fosse un antico rituale, tirò fuori dal mobiletto della cucina un pezzo di pane nero, preso quella stessa mattina con la “ tessera della fame “ e come fosse un prezioso regalo le porse un bicchiere di latte comprato al mercato nero.

Gli occhi di Liliana brillavano di una luce intensa ed il suo cuore si era rasserenato dinnanzi a quell’amore dal quale si sentiva avvolta e protetta, era come se nulla di male potesse capitarle in presenza di quel forte sentimento.

Erano circa le 22.44.

Liliana ed i suoi genitori si apprestavano ad andare a dormire.

Erano stremati da quella giornata così densa di avvenimenti ed il loro unico pensiero era quello di potersi finalmente abbandonare ad un sonno profondo che potesse per alcune ore alleviare il ricordo di quella devastante realtà, lasciando finalmente spazio al sogno di una vita migliore.

Fu proprio in quel momento che il rombare inquietante dei bombardieri inglesi ruppe il silenzio sceso su quella città ancora incredula per ciò che era avvenuto nel tardo pomeriggio.

Spensero d’un fiato la candela posta sul grande tavolo e corsero giù per le scale cercando un riparo sicuro nelle cantine.

Il sibilo delle bombe agghiacciava le loro anime, il freddo stringeva come in una morsa i loro corpi immobili nella paura, mentre una lacrima scendeva a bagnare il volto di mamma Bice che incapace di rassegnarsi a perdere la sua personale guerra contro la morte, prese una straziante decisione.

Con un filo di voce disse a Liliana: “ Mi spiace, non avrei mai voluto arrivare a separarmi da te, ma se avremo la fortuna di sopravvivere anche questa volta, da domani tesoro dovrai sfollare. “

Un dolore lancinante come quello di una spada che ti trafigge il petto colpì Liliana nel profondo della sua anima, avrebbe voluto ribellarsi a quella che percepiva come un’ingiustizia, anche se ancora non riusciva a comprendere l’origine di quel suo profondo turbamento.

Poi come un fulmine che arriva ad illuminare la notte capì la causa del suo dolore.

Dover andare via da Milano avrebbe significato per Liliana il doversi allontanare da quegli occhi scuri e dolci come una cioccolata fumante che prometteva con il suo profumo amabili piaceri.

Liliana si rese conto che non voleva perdere gli occhi che quella sera si erano intrecciati con i suoi segnando per sempre i loro destini.

martedì 28 febbraio 2012

L'amore proibito - Capitolo 2


Liliana si specchiò negli occhi di Virginia e scambiò in quello sguardo tutto quello che provava nel cuore. La paura, per un attacco inatteso, improvviso, che aveva gettato le loro giovani vite nel cuore di una guerra dalla quale si erano sentite estranee fino al momento in cui i Lancaster avevano iniziato a gettar giù i loro pacchetti infiocchettati di nastro funebre. Il terrore, per i rumori che giungevano assordanti da sopra le loro teste e che lasciavano ben poco all’immaginazione. La disperazione, che leggevano negli occhi degli adulti e che non lasciava loro scampo. La speranza, i sogni, i desideri, esplosi con le bombe che fuori stavano distruggendo il loro passato, il loro presente ed il loro futuro. E percepì in lei un dolore intenso, forte, che non riusciva a riscontrare in sé e che voleva scoprire.

Liliana guardava gli occhi di Virginia e si chiedeva come potessero due semplici globi esprimere quello che tremava nel cuore. Si chiedeva se anche i suoi occhi stessero trasmettendo quelle sensazioni, se anche Virginia stesse percependo dentro di sé quello che lei provava.

Fu Virginia che distolse per prima lo sguardo, rendendosi conto che la ragazza di fronte a sé stava tremando. Pensò che fosse per l’umidità che le stava penetrando nella pelle attraverso i pochi indumenti che aveva indosso: quella giornata era stata mite e lei non viveva da quelle parti, non l’aveva mai vista. Sicuramente non aveva avuto il tempo di tornare a casa, arraffare un cappotto o qualcosa di caldo per proteggersi nel rifugio. E aveva paura, una fottuta paura come lei. Aveva bisogno di affetto, lì da sola, senza i suoi cari. Probabilmente si stava chiedendo dove fossero i suoi genitori, si stava preoccupando all’idea che anche loro potessero essere in pensiero per lei, non avendola vista nel rifugio.

lunedì 27 febbraio 2012

L'amore proibito

"I sessi, è vero, sono diversi; eppure, si confondono. Non c'è essere umano che non oscilli così da un sesso all'altro, e spesso non sono che gli abiti i quali serbano l'apparenza virile o femminile, mentre il sesso profondo è l'opposto di quello superficiale”.

Virginia Woolf


L'amore proibito - Incipit

Liliana si trova nel silenzio del suo appartamento, rotto solamente dal ticchettio degli innumerevoli orologi che sembrano volerle ricordare, secondo dopo secondo, l’inesorabile passare del tempo.

Un velo di malinconia traspare dai suoi occhi, percepisce con terrore i segnali del tempo trascorso sul suo corpo e quei profondi solchi sul suo viso segnano il passaggio dalla vita verso quell’ arrendevole dolce attesa della morte.

A tenerle compagnia sono i mille ricordi di una vita vissuta senza paura, affrontata con la grinta di una leonessa, sempre in prima fila, sempre sola, sempre disposta ad affrontare le sfide più impegnative, senza aver avuto, a memoria di donna, mai alcun rimpianto.

Però, pensandoci bene, in un momento della vita dove ormai non si dovrebbe più mentire a se stesse, forse Liliana si rende conto di aver bisogno di ammettere che probabilmente, un grande rimpianto che ancora oggi non riesce a perdonarsi, ce l’ha.

Ciò che resta del passato torna così a fluire nella memoria di Liliana, liberando dalle catene in cui sono rimasti intrappolati per lunghi anni, i ricordi legati a quell’anima pura, che ancora oggi poteva percepire intrecciata alla sua e che segnò per sempre la sua vita.

***

Nel 1942 Liliana era una ragazzina di sedici anni e viveva con la sua famiglia in una palazzina, appartenuta al nonno paterno, a Crescenzago, in Via Padova 223.

Liliana affrontava con muta rassegnazione quel dolore pungente, che percepiva nel profondo della sua anima, causato da una guerra che non le apparteneva, che non poteva e che non voleva capire.

Non era possibile per Liliana dare significato alla paura che doveva affrontare ogni qual volta il suono di quell’orrenda sirena, andava annunciando l’arrivo di quei dannati bombardieri, che minacciando l’azzurro cielo avrebbero oscurato con la loro ombra carica di morte la città, spazzato via case, scuole, interi quartieri e spezzato vite umane che avrebbero lasciato per sempre i loro sogni seppelliti nelle macerie.

Ancora è vivido nella sua memoria il ricordo di quel tardo pomeriggio di fine ottobre del ’42.

Centinaia di cuori indaffarati si aggiravano per la città, le strade brulicavano di vita, le anime di coloro che erano rimasti, erano bramose di normalità, i ragazzini erano tornati a giocar per strada con gli occhi luminosi di chi aveva dimenticato la paura, in fondo era ormai un anno che i temibili nemici alati avevano disertato i cieli milanesi.

Erano le 17.57 quando venne dato l’allarme.

La popolazione non prese sul serio quella sirena, pensando che come tante altre volte andava annunciando un attacco che non ci sarebbe stato.

I milanesi erano persuasi che la loro città non potesse essere attaccata dagli aerei nemici perché protetta dalle Alpi, così dicevano gli “ esperti “, e quindi senza paura continuarono ad occuparsi delle proprie faccende senza dare troppa importanza a quel segnale di pericolo.

Quel pomeriggio però la città ammutolì di colpo, Liliana poteva ancora ricordare lo sguardo attonito di coloro che si trovavano per strada quando si resero conto, dopo soli pochi minuti dall’allarme, che una temibile ombra nera aveva oscurato il cielo portando con sé il terrore della morte.

Liliana subito pensò di essere troppo lontana dal rifugio della sua abitazione, non ce l’avrebbe mai fatta a raggiungerlo, non sapeva dove andare, si sentiva perduta, impaurita e con lo sguardo perso nel vuoto rimase come paralizzata sul ciglio della strada.

All’improvviso si sentì afferrare per un braccio e venne trascinata via ritrovandosi a correre nel mezzo di quella fiumana di persone che disperate cercavano di rimanere aggrappate alla vita.

Senza sapere come, si ritrovò nel buio polveroso di un sotterraneo che puzzava di umido e di muffa, circondata da un’umanità che trasudava terrore e angoscia.

Liliana era raggomitolata su se stessa, con le mani strette sulle orecchie per non sentire il dolore dei bambini che piangevano disperati e con gli occhi serrati per non dover guardare la sofferenza che la circondava.

Lentamente aprì gli occhi, la prima cosa che percepì fu una tenue luce, che filtrando dalla bocca di lupo, tentava disperatamente di illuminare quei grandi occhi neri che la stavano fissando con curiosità.

Liliana non potrà mai dimenticare la profondità di quello sguardo.

Quella fu la prima volta che intrecciò i suoi occhi con quelli di Virginia.