Capita così per caso, che esci dall’ufficio
in un freddo pomeriggio d’inverno e vedi una donna che esce da una farmacia. In
testa ti ossessiona l’idea di come sia fatta la sua vita, la immagini e ti
inventi una piccola storia... questa.
Eccola che esce dal negozio. E’ lei, Matilde, con il suo cappotto bianco abbottonato fin sotto il collo. Con la sua sciarpa di cashmere annodata alla moda. Il suo cappello bianco con la tesa larga. I suoi capelli neri che le scendono lungo le spalle e si intrecciano sulla schiena in finti boccoli da parrucchiere. Perfetto il trucco, gli occhi marcati da un filo di eyeliner e un accenno di mascara che le allunga le ciglia, un po’ come quelle della pubblicità, il rossetto appena accennato sulla labbra morbide. E’ uscita da una farmacia, una mano allungata sul guinzaglio che trattiene uno sgorbio piccolo e peloso di cane da salotto dell’alta società, che abbaia, ovviamente, e la borsa ampia di Prada. Si regge su scarpe decollété con il tacco alto a spillo, almeno dodici centimetri.
Eccola che esce dal negozio. E’ lei, Matilde, con il suo cappotto bianco abbottonato fin sotto il collo. Con la sua sciarpa di cashmere annodata alla moda. Il suo cappello bianco con la tesa larga. I suoi capelli neri che le scendono lungo le spalle e si intrecciano sulla schiena in finti boccoli da parrucchiere. Perfetto il trucco, gli occhi marcati da un filo di eyeliner e un accenno di mascara che le allunga le ciglia, un po’ come quelle della pubblicità, il rossetto appena accennato sulla labbra morbide. E’ uscita da una farmacia, una mano allungata sul guinzaglio che trattiene uno sgorbio piccolo e peloso di cane da salotto dell’alta società, che abbaia, ovviamente, e la borsa ampia di Prada. Si regge su scarpe decollété con il tacco alto a spillo, almeno dodici centimetri.
Il suo fisico è magro e asciutto, immagino frutto di ore di palestra il pomeriggio. La palestra privata, ovviamente. Quella che si è fatta in mansarda, nel suo appartamento in pieno centro a Milano, in via Montenapoleone, lasciatole dai genitori in eredità qualche anno fa, quando sono morti.
La guardo e vedo me, il suo opposto. Quasi mi vergogno del confronto, ma so che non devo. Ho dovuto combattere fin da piccola contro tutti e tutto. Appena nata ho dovuto lottare per sopravvivere, perchè mi avevano abbandonato nell’ospedale dove avevo visto la luce. Potevate tenerla spenta quella luce, ho pensato spesso, invece di illuminare il mio mondo di merda. Ho dovuto combattere ogni giorno per la merenda, per i giochi, per un cappotto, per un libro, per una carezza o un bacio. La mattina mi svegliavo rattrappita in un letto per il freddo, mi lavavo con l’acqua ghiaccia d’inverno e indossavo la stessa felpa e lo stesso pantalone per giorni interi, finchè non ce li cambiavano perchè si accorgevano che erano troppo lerci. Tutto questo è servito a farmi forte e dura e quando al compimento dei miei diciotto anni sono stata spedita in una casa famiglia, perchè l’orfanatrofio non poteva più ospitarmi, essendo maggiorenne, ero pronta a combattere ancora, per altri obiettivi: un lavoro ed un piccolo gruzzolo di soldi al mese che mi consentisse di sopravvivere in modo dignitoso, senza ridurmi alla prostituzione, come avevo visto accadere a molte delle ragazze con le quali avevo passato la mia infanzia. Non chiedevo altro. Ce l’ho fatta: sono riuscita a studiare e a laurearmi nonostante tutto mi fosse contro, rinunciando a tutto quello che le ragazze della mie età avevano.