sabato 30 novembre 2013

Il giorno perfetto



Se vuoi vedere le valli,
sali in vetta a una montagna; 
se vuoi vedere la vetta di una montagna,
sali su una nuvola;
se invece aspiri a comprendere la nuvola, 
chiudi gli occhi e pensa.
Kahlil Gibran

Racconto di Cristina Del Frate e Carla Pavone 
Foto di copertina di Francesco De Masi

venerdì 7 settembre 2012

I due volti di Luna

Buongiorno mondo, pensò Luna quella mattina svegliandosi mentre una sensazione che da tempo non provava diede alla sua giornata un senso nuovo.
Guardandosi allo specchio un largo sorriso incorniciava i suoi bianchi denti e il buon umore che si sprigionava dal suo corpo si poteva percepire forte nell’aria come il profumo di una magnolia in fiore.
Si sentiva come un albero che si risveglia dopo un lungo inverno passato a sonnecchiare sotto una calda coltre di neve.

Luna si mise a far colazione sul terrazzo del suo meraviglioso appartamento, situato al lato del campo da golf di Santa Eulalia. All’orizzonte poteva scorgere Formentera, mai come quel giorno le parve così bella. I raggi del sole si specchiavano nel mare turchino appena increspato da piccole onde, formate dal passaggio del traghetto delle 8.00 che si apprestava ad attraccare a Marina Botafoc, il porto di Ibiza.

Andrea era uscito presto quella mattina, quindi Luna poté  tranquillamente perdersi nei suoi pensieri che ultimamente sempre approdavano a quell’isola felice che Lui rappresentava nella sua vita.
Ancora le pareva impossibile come uno sconosciuto avesse potuto entrare a far parte del suo essere così profondamente, così intensamente e in maniera così maledettamente naturale. 
Ancora si domandava come avesse fatto a vivere senza di lui prima di incontrarlo e a come soleva riempire le sue buie giornate quando ancora quei luminosi occhi color del mare non si riflettevano nei suoi e le sue parole non riscaldavano il suo cuore.
Le vennero in mente le parole di un’amica quando le raccontò, che una pianta può vivere a lungo anche di sola acqua, ma quando provi ad innaffiarla con del fertilizzante, ella fiorirà come mai prima e donerà tonalità intense di colori come mai avrebbe potuto.

Lei era come quel fiore, per tanti anni aveva vissuto senza passioni intense, trascinando stancamente la sua esistenza tra alti e bassi. Sapeva perfettamente che quella era la realtà ineluttabile della vita e con convinta rassegnazione ci si era adagiata. Ma ora che dopo tanto tempo aveva provato emozioni così forti e profonde, come avrebbe potuto liberarsene senza prima averne assaporato il frutto proibito?

La loro era una passione pura, nata all’ombra del suo piccolo bar situato nella preciosa y linda Plaza del Parque ai piedi delle antiche mura della città vecchia di Ibiza. Pura perché nella realtà non si erano mai permessi di incontrarsi al di fuori di quel luogo, Lui per Luna fino ad allora era stato solo un volto, uno sguardo, una voce e tutto quello che si erano concessi non erano altro che parole, anche se a volte con il tempo erano diventate parole infuocate, dalle quali traspariva una grande voglia di poter avere un contatto fisico che potesse suggellare la passione che ardeva sotto le ceneri dei loro corpi.
Non parlavano quasi mai delle loro vite e di quello che  accadeva al di fuori di quelle mura, l’uno dell’altra sapevano solamente che lui era sposato e aveva una figlia piccola e che lei  viveva con Andrea, fine. Non volevano che la realtà potesse in qualche modo interferire con i loro sogni.
Quando si vedevano al bar esistevano solo loro, era come se fossero avvolti da un’enorme bolla che li trasportava in mondi sconosciuti, ed ogni giorno erano pronti a perdersi in una nuova avventura. Potevano sognare in un rifugio montano tra le nevi, in un faro su di una scogliera osservando le onde infrangersi o su di una calda spiaggia tropicale baciati dai caldi raggi del sole o in una casetta invisibile agli sguardi altrui lungo il fiume, ascoltando la quiete rotta solo dal cinguettio degli uccellini, ma  sempre intensamente insieme.
In quei momenti esistevano solo le loro anime, le loro parole ed i loro desideri più intimi.

Dopo lunghi mesi passati ad ascoltare il suono delle loro voci dalle quali sgorgavano le  passioni più intense, decisero di disfarsi dei loro indumenti e di immergersi nelle acque tumultuose della  passione. I loro corpi si unirono con lo stesso ardore che aveva caratterizzato le loro fantasie.

La mente di Luna da quel momento rimase sintonizzata sulle vibrazioni emanate da quell’uomo che così sapientemente  aveva saputo miscelare con egual intensità i piaceri dell’anima con quelli del corpo. Non poteva fare a meno di pensare a Lui, a quanto la emozionavano le sue parole, come non riusciva a distaccare il suo pensiero da quella sua bocca che abilmente, sfiorando la sua pelle nuda, la avvicinava a piaceri sconosciuti.
L’esistenza di Luna scorreva al ritmo dei pensieri che la legavano a Lui e la sua anima tornò a vivere, ad amare e ad emozionarsi dinnanzi alla vita, ai colori di un tramonto quando si tingeva dei suoi pensieri o della pioggia che posandosi sulla sua pelle riproponeva il profumo di antichi rituali d’amore.
  
Ben presto le loro anime desiderarono con sempre maggior intensità di ricongiungersi, non potevano fare a meno l’una dell’altra e di pari passo cresceva anche l’immensa necessità di scoprirsi, di parlarsi e di riconoscere nell’altro quell’isola felice che per nulla al mondo avrebbero mai voluto abbandonare. L’affinità delle loro anime con il passar del tempo fece sì che si intrecciassero in modo indissolubile, cambiando il corso delle loro vite.
 
Luna volò per lungo tempo ad ali spiegate lassù nell’azzurro cielo, l’ebbrezza di quel volo le impediva di percepire la realtà che la circondava. Avvolta nel piacere che provava nel navigare nell’immensità profonda di quegli occhi color turchino, senza rendersene conto, si abbandonò completamente a quel sogno d’amore.

Poi un giorno lo schianto fu inevitabile.

Lui  si intimorì della forza di quel sentimento, nato all’ombra di un gioco ma che con il tempo si era trasformato imprevedibilmente in un amore totale, assoluto, quasi disarmante.  Luna per Lui era diventata l’energia della sua anima, il respiro del suo cuore, non poteva fare a meno di pensare a lei, alle sue labbra e a quel suo corpo liscio e profumato che gli aveva saputo regalare intensi attimi di piacere. Quando si rese conto per la prima volta di quello che stava realmente accadendo, la razionalità ebbe in Lui il sopravvento. Tempo addietro aveva giurato a se stesso che mai avrebbe abbandonato la sua bambina ancora bisognosa del suo affetto e della sua guida, e così, spaventato da quell’amore totale che lo stava travolgendo, era scappato, forzando per sempre al silenzio la sua anima.

Luna si era ritrovata intrappolata nel rimpianto di quell’amore, condannata per sempre al dolore e all’incapacità di vivere all’ombra dei soli ricordi.

Quel giorno Luna guardandosi allo specchio non vide più il sorriso che fino a poco tempo prima aveva incorniciato il suo volto, ora intristito da una smorfia di dolore.
Improvvisamente l’isola felice che rappresentava per Lui era sparita, sepolta sotto al dolore che a volte la vita crudelmente ci costringe ad affrontare, come sparito era il profumo della magnolia, ormai non più in fiore.
Si ritrovò nuovamente come un albero che in inverno sonnecchia sotto una fredda coltre di neve.

Con il gelo nel cuore vide scoppiare la bolla che soleva trasportarli in mondi lontani lasciando sul selciato solo poche tracce di sé. Osservando bene si accorse che quella bolla nel deflagrare aveva lasciato impressi nel terreno una moltitudine di colori, equiparabili per bellezza solo ad un ineguagliabile fenomeno della natura e quello sarà il ricordo che Luna porterà per sempre nel cuore di colui che ha saputo, anche se solo per brevi, ma intensi momenti, trasformare la sua vita in un arcobaleno.

Buonanotte mondo, pensò Luna quella sera mentre abbarbicata al ricordo di quell’amore, una lacrima bagnava il suo tormento, ricordandole quanto era stata dolorosamente fortunata ad aver incontrato quell’uomo sul sentiero della sua vita volta ormai al divenire.    








mercoledì 11 luglio 2012

sabato 12 maggio 2012

Luce e Tenebre


Sento il rumore della pioggia che batte incessante sul tetto della mansarda dove mi trovo a raccogliere nella memoria vecchi ricordi.

Il suono dell’acqua evoca immagini lontane e la mia anima si riempie di forti emozioni provate tempo addietro, mentre il mio corpo  insieme ai miei pensieri volano a te, alle tue parole ed alla tua carne che odora d’uomo.

Ti immagino al mio fianco, posso sentire il tuo respiro sul mio collo e  le tue mani sfiorare lembi di pelle del mio corpo liscio e morbido come una pesca matura.
  
Improvvisa sorge in me una voglia dannata di liberarmi dagli abiti e di poter fare altrettanto  con i tuoi,
ho voglia di sentire il tuo corpo caldo e virile bramare il mio, intensamente, spasmodicamente.

Voglio percepire quanto mi desideri.

Ho bisogno di sentire quanto aneli al mio essere, ho voglia di sentirmi dire quanto ti piaccio e quanto desideri fare sesso con me e leggere sul tuo viso il piacere che provi quando lo fai.

Ho voglia di te, di sentirti mio, anche se solo per alcune manciate di secondi, ho voglia di renderti  schiavo del mio piacere.

Voglio che quello che sono disposta a darti sia unico e irripetibile.

Voglio farti pensare e credere di non aver mai provato nulla di simile in vita tua e che mai più proverai emozioni di un’intensità tale.

Voglio essere per te come l’aria che respiri,
indispensabile per vivere.

Voglio possedere i tuoi pensieri, il tuo respiro, la tua anima, voglio che siano legate a me per sempre,  indelebilmente, come un marchio impresso a fuoco sulla pelle.

Ti voglio, come mai prima.
Voglio dimostrarti attraverso il mio corpo quanto mi sei entrato nell’anima.

Voglio trasformare il mio desiderio di te in puro istinto animale misto ad una dolcezza infinita.

Io sono così,
luce e tenebre,
insieme,
indissolubilmente,
per sempre.

domenica 8 aprile 2012

Il dono di Iemanjà - Epilogo


Il sole era alto nel cielo. La spiaggia era rimasta quasi desolata dopo la notte dei festeggiamenti del Capodanno. La musica aveva lasciato posto al ritmico infrangersi delle onde sulla battigia, il buio della notte si era arreso ai colori accecanti del giorno.

Viola era seduta sulla duna più alta, sola, con le gambe attaccate al petto e le braccia che le tiravano ancora di più verso sé. Era chiusa nel suo dolore di sempre, in compagnia dei rimorsi che le corrodevano la coscienza ancor più che in passato, dopo che Didi le aveva rinfacciato di non averle mai confessato nulla di ciò che sapeva. Aveva pianto da quando lei se n’era andata. Non aveva avuto il coraggio di fermarla, stretta nella sua colpa che la inchiodava a terra e più in giù, nel profondo del suo cuore. Aveva le labbra ferite per i morsi, il vento ed il sale che quasi la stavano corrodendo come una roccia erosa dal mare, ma restava lì, con lo sguardo perso nel vuoto e l’animo che vagava tra il presente ed il passato.

Aveva deciso di confessare tutto a Didi. Lei l’avrebbe capita. L’aspettava lì, nel punto più alto da dove l’avrebbe vista tornare.

Lizge la vide e si fece coraggio. Viola la vide arrivare da lontano. Era la seconda volta che saliva sulla duna. Lizge non aveva idea di cosa fosse accaduto tra le due amiche, ma la feriva vedere Viola così disperata. La prima volta che l’aveva raggiunta, aveva cercato di consolarla, di riportarla giù per mangiare qualcosa e riposare. Viola si preparava a ripeterle, con calma, che finchè Didi non fosse tornata, lei non si sarebbe mossa.

«Viola, devi venire giù con me.» le disse Lizge appena le fu accanto.
«Lizge, sei un angelo, ma io non posso muovermi, finchè Didi non torna. Devo parlarle, devo aspettarla qui.»
«Viola, devi venire giù con me, mi spiace.» Lizge abbracciò Viola forte e continuò: «Didi non tornerà...»
«Perchè? Se n’è andata? Non l’ho vista, Dio mio! Non mi sarò mica addormentata senza accorgermene e non l’ho vista?» le disse Viola, mentre i suoi occhi iniziavano a riempirsi di terrore ed il suo cervello si metteva in allarme, certo che qualcosa di più grave fosse successo a Didi.
«Didi... Didi è morta. Mi spiace.»

sabato 7 aprile 2012

Il dono di Iemanjà - Capitolo 6

Didi era visibilmente turbata da quell’orribile ricordo che con la velocità di un lampo aveva illuminato la sua memoria. La voce di Viola che parlava tra sé a fior di labbra, inizialmente venne raccolta solo dal vento, rimanendo invisibile, come sospesa nel nulla. Poi qualcosa accadde e Didi soffermandosi come ipnotizzata sulle parole dell’amica, finalmente riuscì a dare un senso a ciò che aveva sentito.

“ Tu lo sapevi, l’hai sempre saputo! Come hai potuto tacere per tutto questo tempo! Come hai potuto restarmi accanto tutti questi anni portandoti nel cuore il peso di quell’orribile abuso perpetrato al mio corpo ed al mio spirito, senza dirmi nulla! Come hai potuto farmi questo! Ti odio! Maledetto il momento in cui ti ho incontrata quella notte e maledetto il giorno in cui sono venuta in Italia! “

“ Didi ti prego, lasciami spiegare…”

Didi sconvolta da quelle rivelazioni, si divincolò dall’ abbraccio di Viola e scappò singhiozzando stretta in quel suo candido vestito bianco ora macchiato dal rosso vivo di quella violenza riaffiorata dai bui meandri della sua mente.

Didi corse a più non posso nel buio della notte guidata dalla luna piena che pareva indicarle la strada. Passò davanti al cimitero e girando sulla destra imboccò il sentiero che l’avrebbe portata alla Pedra Furada. Le mancava il fiato, a tratti era costretta a rallentare il passo e a volte a fermarsi, tanto era il dolore ai piedi scalzi che ormai sanguinavano per quella disperata corsa . Finalmente raggiunse la meta designata e grazie alla bassa marea potè raggiungere la spiaggia sottostante. Il suo corpo e la sua mente distrutti dal dolore si accasciarono sulla sabbia che brillava per effetto della luna. Né la vista dell’ immenso oceano illuminato dai riflessi lunari, né il profilo di quella meraviglia della natura che si ergeva di fronte a lei, riuscirono a dar sollievo al suo dolore.

Didi sentì la necessità di liberare il suo corpo da quegli indumenti che la facevano sentire sporca, inadeguata. Con rabbia si strappò i vestiti da dosso e lasciò che la luna illuminasse il segreto che il suo corpo nascondeva.

Si sdraiò sulla sabbia umida, con braccia e gambe aperte per poter far aderire il più possibile il suo corpo color della cioccolata, a quei finissimi granelli bianchi, alla ricerca di un contatto che potesse coccolargli l’anima e da quella posizione si mise a scrutare il cielo che lo sovrastava. Mentre la sua mente tentava di affrontare quei dolorosi ricordi, i suoi occhi assistettero ad uno spettacolo che rimase per sempre ancorato al suo cuore come un segno di rinascita. Una stella cadente dietro l’altra, passando per il cielo, gli diedero la forza di ricordare.

Socchiudendo gli occhi Didi può sentire lo scroscio dell’acqua che si infrange sull’asfalto. Dorme, ma un lampo illumina la stanza. Ora può vedere nitidamente chi si nasconde dietro quell’immagine sfuocata, come ricorda perfettamente quelle grosse mani che le serrano la bocca e quella cicatrice a forma di croce posta alla base del collo, proprio sotto il pomo di Adamo. Il terrore lo paralizza, è inerme di fronte a quell’uomo che fino a qualche minuto prima aveva considerato come un padre. Non capisce cosa gli stia capitando, tenta di divincolarsi da quella stretta, ma quella grande mano gli sferra un colpo sul viso, non capisce più niente, sente solo un gran dolore mentre le grandi mani del padre di Viola, sollevano il candido lenzuolo di lino e si infilano tra le sue cosce fino ad arrivare al suo pene. Tenta con tutta la forza che ha di scappare, ma un altro colpo gli viene inferto sul viso e lui lo prende, lo gira e lo butta nuovamente sul letto. Ora sente solo un gran dolore, un dolore acuto, non sa individuare da quale parte del corpo provenga. La sua carne è lì, può sentirla contorcersi dal dolore, ma la sua mente si è persa, sta vagando in un mondo parallelo e non vuole far ritorno per non dover affrontare la realtà di quello che sta accadendo.

Forse fu proprio per questo, che Paulo aveva voluto seppellire per sempre il ricordo di quella notte infernale sotto la polvere dell’oblio e che negli anni a venire aveva trasformato il suo corpo in quella che ora si chiamava…Divine.

Divine trovò la forza di alzarsi, il suo meraviglioso corpo nero, ricoperto da candidi granelli di sabbia, brillava al cospetto della luna. Indossava ancora la collana di perle con la quale viene raffigurata Iemanjà, che alternava sette perle bianche a sette perle celesti, poi una bianca ed una celeste, il tutto alternato per sette volte. Lentamente, vestita solo delle perle di Imanjà e dei freddi raggi della luna, si avvicinò alle buie acque dell'oceano attratta dalla bianca scia di quell' astro, che riflettendosi nel mare, pareva indicarle la strada per potersi assentare per sempre dall' eterno dolore che aveva caratterizzato la sua vita.


venerdì 6 aprile 2012

Il dono di Iemanjà - Capitolo 5


Il pomeriggio del giorno seguente Viola aveva lasciato Didi e Lizge per andare a Pedra Furada. Aveva camminato a lungo ed era arrivata, stanca ma contenta di poter vedere una delle più belle e spettacolari rocce sulla Terra. Non aveva molto tempo se voleva tornare indietro per le undici, in tempo per i festeggiamenti del Capodanno.

Viola camminava stretta nel suo vestito aderente di lino bianco. I capelli raccolti in alto si intrecciavano con alcuni bianchi fiori di palma, le gambe leggermente abbronzate fuoriuscivano da uno spacco laterale profondo che le arrivava fino ai fianchi, ed i piedi scalzi rabbrividivano al contatto mentre l’acqua del mare, fredda, le si attorcigliava alle caviglie. Guardava verso la roccia più bella che avesse mai visto e rimpianse che non fosse luglio, quando, al momento del tramonto, Didi le aveva raccontato che il sole attraversa l’arco di quella pietra con i suoi raggi, regalando agli spettatori sulla battigia uno spettacolo di fuoco.

Decise di tuffarsi, ma esitò al pensiero di non avere nulla per cambiarsi. Aveva freddo, ma la voglia dell’abbraccio materno di quell’acqua era irresistibile in lei. Non c’era nessuno, perchè perfino i turisti erano andati via, attirati dai preparativi per la notte di Capodanno. Quando era passata dal villaggio aveva sentito addosso alla sua pelle l’eccitazione della gente, soprattutto quella dei bambini, che si stavano preparando al battesimo con la dea Iemanjà, alla quale avrebbero offerto il loro primo dono pieno di speranza e che non vedevano l’ora di perdere il respiro in quei minuti in cui non sapevano se la corrente avrebbe trascinato al largo i loro doni, come promesssa di felicità, o li avrebbe riportati verso la riva, come presagio di sventura. Quando era arrivata al mare, ne aveva visti altri provare a cavalcare le onde, di seguito, tutti tesi a non scivolare, perchè quella sera non avrebbero potuto sbagliare nemmeno una delle sette onde sulle quali ci si aspettava che volassero. E inevitabilmente aveva pensato alla sua prima volta con Didi, a Copacabana, a quel momento in cui al quinto salto, mano nella mano, erano scivolate l’una sull’altra, a quella sensazione di sconfitta, al presagio che si era infilato nei loro cuori, nero e melmoso, oscurando la felicità di quel primo Capodanno insieme.

giovedì 5 aprile 2012

Il dono di Iemanjà - Capitolo 4

Didi rimase turbata da quella rivelazione. Come un lampo, che illumina le tenebre della notte, le parole di Viola riproposero alla sua mente l’immagine di quell’uomo filtrata dai suoi ricordi di bambina. Rimembrava un bell’uomo, non riusciva a visualizzare il suo volto, ma poteva ricordare perfettamente le sue mani, mani grandi, mani forti, mani che in molte occasioni le avevano accarezzato il capo con l’affetto di un padre che coccola la sua bambina nei momenti di difficoltà.

Per un istante il ricordo di quella mano che sfiorava i suoi capelli le fece percepire un brivido lungo la schiena.

Poteva rammentare quante volte aveva desiderato che il papà di Viola potesse essere anche il suo e quante volte aveva provato invidia per la fortuna che Viola aveva avuto a nascere in quella famiglia, molto simile a quella che lei aveva sempre desiderato e che purtroppo invece non era riuscita a meritarsi.

Per un momento provò rabbia nei confronti di Viola, non riusciva a comprendere la ragione per cui fosse giunta ad un gesto tanto estremo. Forse avrebbe dovuto chiederglielo, ma si rendeva conto che probabilmente in quel momento non avrebbe ottenuto risposta alcuna, considerando lo sforzo estremo che già Viola aveva compiuto nel raccontarle chi fosse la persona che aveva ucciso.

Con la saggezza che da sempre la caratterizzava Didi disse: “ non ti preoccupare Viola, sicuramente avrai un valido motivo per aver compiuto un gesto così estremo. Tranquilla, quando ti sentirai di riparlarne io sarò al tuo fianco ad ascoltare. “

Viola continuava a singhiozzare mentre ripeteva parole senza senso “ perdonami… è stata anche colpa mia… perdonami…”

Didi non capiva cosa significassero le parole che l’amica farfugliava, comprendeva solamente che doveva a tutti i costi far tornare a splendere il sorriso su quel volto distrutto dal dolore. Cercò di tranquillizzarla, ma resasi conto di non riuscire a lenire la disperazione di Viola con le parole, pensò che forse facendola tornare a ridere avrebbe potuto allontanarla da quei suoi bui pensieri. Fu così che come un lampo, adocchiato un ragazzone passeggiare per l’Avenida, Didi con la sua minigonna bianca svolazzante, che evidenziava quelle sue bellissime gambe rifinite con eleganza ed armoniosità dalla natura, si diresse verso di lui. Lo superò pattinando con disinvoltura e fermandosi improvvisamente a pochi passi davanti a lui, si chinò con nonchalance a raccogliere qualcosa di immaginato, lasciandogli vedere in tutta la sua bellezza quell’incredibile rotondità, tanto perfetta da sembrare lavorata al tornio, coperta solo da un esile pizzo che ben poco lasciava all’immaginazione. Dopo quella visione, a giudicare dall’espressione fissata sul suo viso, il ragazzo probabilmente capì cosa intendesse dire Oscar Wilde quando affermava che un fondoschiena ben fatto è l’unico legame tra Arte e Natura.

Viola che seguiva la scena da lontano non potè fare a meno di sorridere per l’audacia e l’impertinenza del gesto compiuto da Didi e infine scoppiò a ridere nel vedere l’espressione sbalordita sul volto di quel ragazzone che si impressionò a tal punto da inciampare nei suoi stessi piedi e cadere con un gran tonfo a terra. Viola raggiunse Didi e ridendo a più non posso la prese per mano per scappare via, regalando i loro volti sorridenti al vento che accarezzando i loro pensieri li rese per alcuni istanti più sereni.

Didi era felice per quell’attimo di gioia che aveva saputo donare a Viola e non voleva che il buio ricomparisse su quel volto provato dagli eventi. Didi sapeva che se si fossero fermate a Rio per il Capodanno, i fantasmi del passato sarebbero tornati a divorare le loro anime, e non poteva permetterlo.

L’ anima di Didi era sempre pronta a farsi carico dei pesi altrui cercando di alleviarli, dimenticando a volte di possedere lei stessa un’anima da dover salvaguardare. Conosceva fin troppo bene i carichi che le opprimevano corpo e spirito, a volte in maniera talmente forte da toglierle il respiro e forse pensava che spostando la sua attenzione verso i dolori altrui, avrebbe potuto seppellire nel fondo della sua memoria tutto ciò che le faceva male e che la faceva dannatamente soffrire.

Didi prese per mano Viola e le disse: “ Vieni, torniamo in albergo a fare le valige! Si parte!” – “ Ma come? Dove vuoi andare? Non dovevamo passare il Capodanno con i tuoi? “ – “ Ma chissenefrega dei miei! Me ne fotto altamente di loro, in fondo l’unica cosa che gli interessa di me sono i soldi e poi odio quando si impicciano della vita che conduco a Milano e quei loro sorrisini ironici quando parlano alle mie spalle! Per una volta nella nostra vita pensiamo a noi stesse, i soldi non ci mancano! Spendiamoli! La vita è una sola e non ci sarà data la possibilità di viverne un’altra. “

Viola titubante la seguì, in fondo al suo cuore sapeva che Didi aveva ragione e volle seguirla in questa sua follia: pur non sapendo esattamente cosa avesse in mente, si fidava ciecamente di lei. Appena tornate in albergo, mentre Viola metteva le poche cose che aveva nella sua ventiquattro ore, Didi si mise al computer dell’albergo per cercare un volo Low Cost che le avrebbe portate a destinazione. “ Bingo‼! Che culo, proprio due posti sul volo delle 19.11 diretto a Fortaleza! E’ fatta!”.

Ora non le restava che prenotare un albergo per la notte e poi avvisare Gianluca, di mandare una jeep a prenderle all’hotel Americas l’indomani mattina.

Didi aveva conosciuto Gianluca in un viaggio fatto in Brasile anni addietro. Nonostante si fossero visti solo un paio di volte nella loro vita, Gianluca era una di quelle persone che rimangono nel cuore e che difficilmente puoi dimenticare. Gianluca era sposato con una ragazza brasiliana, Lizge. Il ricordo che Didi aveva di lei, era quello di un' esile creatura che profumava di pane appena sfornato e che soleva nascondere la sua nobile anima dietro ad un grande paio di occhiali scuri.

Didi organizzò tutto senza lasciare nulla al caso, per il momento avrebbe tenuto nascosta la destinazione finale a Viola perchè voleva fosse una sorpresa.

Poco dopo aver preparato le valige, Didi chiamò un taxi e si diressero in aeroporto.

Giunte a Fortaleza mangiarono un boccone velocemente e si ritirarono nelle rispettive camere. Didi cercò di non aprire i bagagli, a differenza di Viola si portava appresso due grosse valige leopardate. Per non creare confusione estrasse piano piano una maglietta e se ne andò a dormire solo con quella addosso. Appena toccò il letto Didi schiantò in un sonno profondo.

Dalla finestra aperta della stanza si avverte lo scroscio dell’acqua che si infrange sull’asfalto. Dorme, ma il suo sonno è agitato. Improvvisamente un lampo illumina la camera, svegliandosi intuisce una presenza al suo fianco, cerca di mettere a fuoco quell’immagine ma rimane sfocata e mentre disperatamente prova ad allontanare la sensazione di quella mano, che alzando il candido lenzuolo bianco di lino finirà in mezzo alle sue cosce, un altro lampo illumina quella stanza senza tempo lasciando impresso nella sua memoria il ricordo di una croce.

Didi si svegliò di soprassalto, la fioca luce dell'abat-jour non fu sufficiente ad allontanare i fantasmi del passato e a quella croce che vide illuminarsi in sogno, non sapeva dare un significato. Quello che era certo è che nel vederla un’ansia tremenda le serrò il cuore ed ebbe la netta percezione di aver già provato quell’agghiacciante sensazione. Didi passò il resto della notte a rigirarsi nel letto con impressa nella mente quella croce che non riusciva a dimenticare.

Didi e Viola si ritrovarono in tarda mattinata nella hall dell’albergo e mentre aspettavano l’arrivo di Tiago, che con la sua jeep le avrebbe condotte alla meta designata, sorseggiarono un tè accompagnato da dei deliziosi biscottini. Didi, come del resto anche Viola, non aveva voglia di affrontare argomenti seri e così le ragazze passarono il tempo a spettegolare su tutti coloro che passavano a tiro.

Viola non stava più nella pelle, la curiosità la stava consumando, ma Didi sembrava irremovibile nella sua decisione nel non dire nulla, se non giunte a destinazione.

Il momento della partenza presto arrivò. Tiago sbuffò non poco quando dovette caricare le enormi valigie di Didi sulla jeep e non potè fare a meno di pensare a cosa le sarebbero servite tutte quelle cose nel posto dove stavano andando.

Il viaggio sarebbe stato lungo e poco confortevole, tra sterrati e strade che anche se asfaltate sarebbero sicuramente state piene di grandi buche formatesi dalle abbondanti piogge. Così le ragazze non avendo alcuna fretta di arrivare, si fermarono spesso a fare delle soste ristoratrici, godendosi le specialità locali. Didi andava pazza per la feijoada, che è un piatto a base di riso e fagioli neri a cui i locali aggiungono carne di maiale e di manzo, mentre Viola, che adorava il pesce, non perse l’occasione per strafogarsi di caranguejo e di gamberetti. Naturalmente il tutto accompagnato da farina di manioca, patate fritte e dalla “ bionda “ carioca, a cui Didi per nulla al mondo avrebbe rinunciato, la Skol, una birra leggera, servita ghiacciata e dal sapore inconfondibile.

Verso l’ora del tramonto si lasciarono alle spalle l’ultimo paese con le strade in terra battuta, Jijoca, per avventurarsi in quella che viene considerata una delle spiagge più belle del mondo.

Fu così che il paradiso si aprì ai loro occhi. Stavano percorrendo una spiaggia dalla finissima sabbia bianca, alla loro destra l’Oceano si era colorato delle tinte aranciate del tramonto mentre a sinistra grandi dune di sabbia erano popolate da cavalli selvaggi e docili asini che mestamente si apprestavano a rientrare in paese dopo una giornata passata a girovagare senza meta. All’ improvviso un gruppo di mangrovie attirò l’attenzione di Viola, che identificò la sua anima con quel groviglio di radici impenetrabili che la natura aveva voluto far sopravvivere anche nelle condizioni più avverse. Per un momento Viola si sentì vicina alla pace interiore che da tempo andava cercando. Dopo chilometri di spiaggia bianca entrarono in paese. Ad attenderle un antico villaggio di pescatori dove la sabbia faceva da padrona, perché in quel paradiso vigeva il divieto di asfaltare le strade. Mentre il buio stava scendendo accompagnato dal silenzio, rotto solo dal rumore dei generatori che iniziavano il loro lavoro notturno, Didi rammentò che non esisteva illuminazione pubblica in quel luogo e fu in quel momento che ricordò di aver visto in quel paese i cieli stellati più belli della sua vita, proprio perché non contaminati dalla luce. Didi raccontò a Viola che si trovavano sulla punta di una lunga penisola ed era una delle poche località della costa brasiliana dove era possibile vedere sia l’alba che il tramonto.

Arrivarono dinnanzi ad un cancello dal quale si poteva scorgere all'interno una deliziosa struttura bianca, immersa nelle lussureggianti piante e nei coloratissimi fiori. Un cartello indicava il nome di quel piccolo gioiello, " Pousada Papaya ". All'ingresso ad aspettarle c'erano i sorrisi di Gianluca e Lizge che nelle loro sgargianti hawaianas diedero loro il benvenuto porgendogli una fresca caipirinha.

Quello dove erano approdate doveva essere il paradiso.

Ed era proprio così, quell’ultimo Eden rimasto in terra prendeva il nome di Jericoacoara detta Jeri.

Fu in quel luogo di indicibile bellezza, che Didi decise di passare l’inizio di quel nuovo anno insieme a Viola.

mercoledì 4 aprile 2012

Il dono di Iemanjà - Capitolo 3


«E se andassimo a pattinare lungo l’Avenida?»

Didi interruppe bruscamente quel silenzio che si faceva sempre più pesante. Provava su di sé il peso del dolore di Viola, sentiva l’oppressione al petto come se quell’amgoscia fosse sua e voleva cercare di spezzare quella lama infilzata nei loro cuori, in qualche modo, in qualunque modo. Voleva che Viola reagisse a quello stato inerte che l’attanagliava fin dalla sera in cui aveva ucciso quell’uomo. Didi era conscia di doverla spingere a parlare, ma nonostante la conoscesse da una vita, in quel momento si sentiva impotente di fronte a qualcosa che non conosceva e che immaginava essere qualcosa di orribile, al punto di averla spinta ad uccidere.

«Non ne ho voglia, Didi... ma tu vai... io ti aspetto qui.» le rispose Viola.
«Dài, come quando eravamo piccole... su, non mi fare andare da sola, non sarebbe la stessa cosa... ti prego...»

Viola guardò Didi con uno sguardo vuoto e Didi percepì che quel richiamo alla loro comune infanzia non era stata una buona idea. Eppure aveva smosso qualcosa dentro Viola e Didi intuì che quella poteva essere la chiave giusta per entrare in quel muto e solitario mondo nel quale Viola si ostinava a rinchiudersi.

«Ho visto la pubblicità di un negozio, giù in reception. Affitta roller per l’intera giornata ad un prezzo davvero stracciato. Passiamo qualche ora lungo l’Avenida. La giornata è bella... non vale la pena star qui dentro a pensare e ripensare a ciò che è successo. Vieni... andiamoci a cambiare...»

Didi la prese per mano e Viola docilmente la seguì, come una bambina che segue sua madre, certa che non le potrebbe fare mai del male. Uscirono poco dopo dalla stanza, si fermarono presso la reception per prendere nota dell’indirizzo del negozio e si incamminarono lungo l’Avenida Atlantica. Si fermarono qualche incrocio più avanti verso sud, affittarono i pattini in un piccolo negozio senza insegna, attraversarono l’Avenida e si portarono sulla zona ciclabile.

Fu Viola a partire per prima, con lo sguardo che viaggiava intrepido e sicuro sulla strada di fronte a sé, e la coda dell’occhio che sbirciava a tratti la spiaggia bianchissima, resa quasi diafana dal sole ed il mare che faceva capolino poco più in là. Ad ogni passo, Viola sentiva tutta la sua rabbia sfogarsi sulla gamba che appoggiava per terra e quando questa si alzava lo slancio sprizzava fuori di lei tutto ciò che di negativo le opprimesse l’anima. Il vento le sferzava il viso accalorato sempre di più dallo sforzo.

Didi quasi faticava a tenere il suo ritmo, e temendo di perdere terreno, era concentrata ad investire tutte le sue forze in ogni singolo movimento. Seguiva Viola chinata in avanti, con le mani sulle rotule, fissando senza tregua l’amica che di fronte a lei procedeva veloce, evitando ciclisti e pedoni, nella sua sicura andatura.

martedì 3 aprile 2012

Il dono di Iemanjà - Capitolo 2

Dalla finestra aperta della stanza si avverte lo scroscio dell’acqua che si infrange sull’asfalto. Dorme, ma il suo sonno è agitato. Improvvisamente un lampo illumina la camera, svegliandosi intuisce una presenza al suo fianco, cerca di mettere a fuoco quell’immagine ma rimane sfocata nella sua mente e mentre disperatamente prova ad allontanare la sensazione di quella mano, che alzando il candido lenzuolo bianco di lino finirà in mezzo alle sue cosce, un tuono irrompe con il suo fragore in quella stanza senza tempo.

Didi si svegliò di soprassalto nella sua stanza nell’Hotel Iberostar a Rio de Janeiro che si trovava a Copacabana, sull’Avenida Atlantica. Il suo cuore batteva all’impazzata, il suo négligé color perla era madido di sudore e l’immagine di quella presenza era ancora così reale, che Didi, guardandosi intorno con lo sguardo spaurito di un bambino che è stato violato, istintivamente coprì le sue parti intime con il lenzuolo. Quando si rese conto di aver solo sognato, si rincuorò, ma quella sensazione era stata così forte che il suo corpo ne era ancora pregno, tanto da decidere di farsi una lunga doccia calda per far scivolare via per sempre la vergogna dalla sua pelle color del cioccolato. Si ritrovò a pensare, sotto al caldo getto dell’acqua, che riuscì ad intiepidire il suo corpo ma non il suo cuore, che forse non sapeva più distinguere ciò che era reale da ciò che era illusorio. Seppur a memoria di donna avrebbe potuto giurare che mai nella sua vita nulla di simile le fosse accaduto, quella sensazione di profanazione del suo corpo era stata talmente reale da faticare ad allontanarla dalla sua anima. Terminata la doccia Didi si sentiva ancora un po’ agitata. Per cercare di alleviare la tensione, aprì il grande armadio per decidere cosa avrebbe indossato per scendere a fare colazione con Viola e quel semplice gesto le restituì la gioia di sempre, allontanando quella strana sensazione da cui era stata avvolta. Didi in quel momento avvertiva dentro di sè il forte bisogno di sentirsi femmina e così decise di indossare un tailleur rosa e blu di Chanel con una camicetta di seta bianca, accompagnato da un cappellino a tamburello dello stesso colore rosa dell’abito e naturalmente un sandalo vertiginosamente alto della stessa nuance del tailleur.

Didi si presentò nella salle à manger, come lei adorava chiamarla, per la prima colazione, avvolta nel suo elegante tailleur rosa pallido. Quel suo incedere regale, anche se a tratti un po’ forzoso, la faceva apparire una diva d’altri tempi.

Facendo colazione Didi avrebbe voluto raccontare a Viola quel suo strano sogno, ma lo sguardo di Viola pareva assente, come immerso nel lago nero dei ricordi. Reminiscenze dolorose, ancor troppo vicine all’accaduto per poter essere allontanate dalla sua mente, portavano Viola a chiudersi in un nero silenzio senza confini. Fecero colazione senza dirsi una parola. Ai loro occhi era stato sufficiente incrociare gli sguardi per alcuni secondi per poter intuire cosa giacesse nel fondo dei loro cuori e questo era bastato per poter sopportare quel silenzio.

Didi e Viola si trovavano a Rio già da alcuni giorni. Avevano deciso di passare qualche giorno da sole, concedendosi un soggiorno tranquillo in un albergo di lusso, lontane dal bailamme del parentado che le avrebbe sicuramente asfissiate con le loro curiose domande.

Quelle che Didi e Viola stavano per vivere a Rio, erano giornate particolari. I festeggiamenti per accogliere il nuovo anno erano iniziati già da alcuni giorni e si sarebbero conclusi in uno scenario magico che difficilmente un’anima sensibile avrebbe potuto dimenticare. Milioni di persone vestite di bianco si sarebbero riversate per le strade, la musica in ogni angolo della città, avrebbe accompagnato con i suoi ritmi adrenalinici i festeggiamenti per il nuovo anno, insieme ai botti delle bottiglie di champagne. In ogni bar o appartamento di Rio una festa avrebbe rallegrato l’atmosfera, mentre gli edifici e gli alberghi posti sull’Avenida Atlantica sarebbero stati illuminati a giorno per degnamente salutare quel nuovo anno. Solamente verso le 23 la gente si sarebbe riversata nelle strade chiuse al traffico per l’occasione, dirigendosi verso le spiagge, e quasi tutti avrebbero indossato abiti e scarpe bianche come la tradizione vuole.

Quanti ricordi nella mente di Didi legati a quella notte incantata che venti anni prima le fece incontrare Viola.

***

Didi non poteva dimenticare la Copacabana di quella notte, illuminata da migliaia di candele poste nella sabbia, come non poteva obliare il ricordo dell’eccitazione negli occhi di quella gracile fanciulla, dalla pelle color del latte, con cui fece amicizia quella notte, sulla spiaggia. Ancora poteva ricordare quel candido fiore bianco di palma nella mano di lei e quella meravigliosa rosa rossa nella sua, ed il momento in cui prendendosi per mano raggiunsero con un po’ di timore il buio oceano per offrir in dono quelle meraviglie della natura, a Iemanjà, dea del mare, chiedendole protezione per l’anno che stava per iniziare.

I mille colori dei fuochi d’artificio salutando il nuovo anno, illuminarono a giorno quell’oscura distesa d’acqua, rivelando agli occhi della Dea le meravigliose collane formatesi dai fiori di coloro che credendo in lei le avevano donato.

Quelle due piccole anime erano felici, sapevano in cuor loro di essersi meritate le grazie di quella Dea vanitosa, ma quando quella stessa sera Didi e Viola non riuscirono a cavalcare le sette onde, che secondo una tradizione importata dagli schiavi africani avrebbe dovuto portar loro fortuna, sentirono quella certezza venir meno.

Quello fu il primo segno della sventura che si sarebbe scagliata con violenza sulle loro giovani vite.

Quel presagio portò con sé il buio della notte e quelle giovani anime sognarono la luce sperando di potersi salvare dall’oscurità.