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mercoledì 4 maggio 2011

le due parti dell'altalena - epilogo

EPILOGO

- No….è che …– non sapeva nemmeno che cosa avrebbe dovuto rispondergli.
Guardarlo negli occhi, quella sera, le fede riaffiorare alla mente qualcosa….che non riusciva, però, a mettere a fuoco…forse qualcosa del passato, forse qualcosa che la riguardava….Quello sguardo era inquitante…e la fece rabbrividire.
- Bene, l’importante è che ora tu sia qui….- rispose Garreth – ma….ma che ti sei fatta? Non starai pensando ancora di……-
- Ma no, non è nulla, ora passa…..volevo la…la pastiglia…per…-Kate non aveva nessuna voglia di restare a parlare con quell’uomo….anche se, a tratti, inconsciamente avrebbe voluto fargli delle domande…del resto lui era il solo, lì, a conoscerla da tempo e soprattutto molto più di quanto non si conoscesse lei stessa. Del resto che sapeva?? Fotogrammi scomposti, singoli che, qualche volta, nitidamente comparivano nel suo cervello e le davano….ricordi? emozioni? Non era più nemmeno in grado di provare qualcosa, se non timore, paura…insicurezza….
Soprattutto Garreth, la persona che conosceva da tempo e della quale si fidava meno, quella che le era stata più vicina e che avrebbe voluto avere più lontana. Come le venissero certi pensieri, a quell’ora della sera….non se lo spiegava. La testa stava iniziando a dolerle: aveva bisogno di quella dannata pastiglia…e ne aveva bisogno ora.
Placavano il dolore, intorpidivano i pensieri, la inducevano al sonno, ma soprattutto fermavano i flash, si spegnevano le luci, calava il sipario…stop, punto, fine.
- Dai Kate, siediti un attimo, parliamo, ti va? –
- No, per favore, no….non ho voglia di parlare….ho mal di testa, se potessi darmi la pastiglia…ti ringrazio infinitamente e ti auguro una buona notte-
- Un attimo solo, Kate, solo un attimo…ti posso offrire qualcosa da bere? Un succo? Ti andrebbe un bel succo fresco di …. albicocca? –
L’insistenza di Garreth la stava mettendo a disagio e, soprattutto, si rendeva conto che la situazione le stava drammaticamente sfuggendo di mano.
Ma era mai riuscita a controllare qualcosa in vita sua? Quale vita poi?
- E…vada per il succo, ma poi mi dai la pastiglia, d’accordo? –
- Ma certo, tutto quello che vuoi tu, tesoro … -
Quella parola, “tesoro” la detestava…più o meno al pari del succo di vattelappesca…. Le ricordava…ma che le ricordava?
- Acc… Kate, scusa, ma non ho più succo in questo frigo…ne vado a prendere uno direttamente dalla dispensa giù in cucina….torno subito….-
- Garreth, davvero, non è necessario… la pastiglia e poi tolgo il disturbo-
- INSISTO!! – aveva risposto Garreth con determinazione
Si trattava quindi di un ordine? E lei detestava…gli ordini, le imposizioni, gli obblighi, ma, soprattutto detestava Garreth…
Ma perché lo avesse capito solo ora…era un mistero.
Le ricordava….ma che le ricordava?
Appena Garreth ebbe lasciato la stanza….la cantilena iniziò a danzare nelle sue orecchie, lieve, sottile, quasi impercettibile ….per poi divenire, poco a poco, armoniosa e corposa: sembrava che ci fosse addirittura qualcuno che la stessa cantando proprio lì, fuori dalla stanza, anzi no, che la stesse cantando proprio dietro di lei, nella stanza.
…..
Se tu vedessi che brutta ragazza
capelli ritti che sembra una pazza,
occhio di vetro, naso aquilino,
ogni passo lo fa con l' inchino.
Cosa faremo di questa ragazza?
Combineremo un bel matrimonio
la daremo in sposa al demonio:
il demonio quando la vede,
è così brutta che non ci crede.

Un fremito di paura pervase il suo corpo: non provava quella sensazione da tempo….
No, non se lo stava immaginando….qualcuno stava cantano proprio dietro di lei, sentiva la presenza, il respiro dietro al collo, un respiro greve, infiltrarsi tra i capelli….
Kate si accorse di essere paralizzata dalla paura….su quella sedia ferma e immobile come solo la paura e il terrore sanno farti stare…..
La testa…..sentiva tanti suoni nella testa, tante frasi….voci che non riusciva a distinguere, voci e volti che si sovrapponevano ai suoi fotogrammi….ed ora era lì, tutti insieme davanti al muro…scorrevano veloci e lenti, colorati, in bianco e nero…
“devo alzarmi, raggiungere il contenitore….prenderne una, solo una e tutto questo finisce subito…devo solo fare uno sforzo, alzarmi e….” sì, lo stava proprio pensando….ma non riusciva a farlo.
Era sicura che qualcuno fosse dietro di lei, che la stesse osservando…avvertiva il brivido sulla pelle….un fruscio…un mantello…il fruscio del bordo di un mantello….trascinato lentamente sul pavimento….un fruscio di foglie….l’erba fresca sotto i suoi piedi nudi…..l’aria nei capelli…..
Il dolore lancinante alle tempie, le voci, la cantilena, il fruscio, l’odore dell’erba tagliata, di sottobosco….ne era certa: non era sola.
Ora le presenze erano diventate diverse….più persone nella stessa stanza, dietro le sue spalle….ma perché non riusciva a girarsi e a guardare? Con quello che aveva visto nella sua breve vita….che mai avrebbe potuto vedere di più agghiacciante di un corpo lacerato ed intriso di sangue?
Ma tutto questo….era nella sua testa….era dentro di lei….la pastiglia….voleva solo quella maledetta pastiglia…e tutto sarebbe tornato a posto….
La cantilena sembrava scemare ora….come se la o le persone presenti nella stanza avessero deciso tutte insieme di lasciarla sola e di cantare altrove…..
Sentì ancora il fruscio di un mantello….e delle foglie secche d’autunno….e a poco a poco …. si sentì nuovamente sola in quella stanza, sola con il suo dolore alla testa….la danza delle immagini e delle voci continuava inesorabile dentro e fuori di lei…..
I passi di Garreth sul corridoio….finalmente stava arrivando…la pastiglia..e tutto…sarebbe….
- Eccomi qua, tesoro…..il tuo succo di……ma…….ma……che hai fatto?- chiese Garreth a Kate
………
Furono le ultime parole che udii prima dello squillo del telefono che mi svegliò bruscamente e che mi portò nuovamente alla realtà. Lo ringraziai: mi aveva salvata ancora una volta da quell’incubo che ormai facevo da settimane.
Mi alzai velocemente dal letto per raggiungere il tavolo da lavoro da dove proveniva il suono del cellulare sommerso sotto un numero imprecisato di fogli e progetti di ristrutturazione di quella dannatissima casa degli Smith…..
- pronto? -
- Kate, sono Stuart..abbiamo trovato il corpo….–
Arrivai in cantiere in un baleno, parcheggiai il fuoristrada sotto il grande albero, accanto a ciò che restava dell’altalena, e corsi verso la macchina di Stuart. Il coroner era stato avvisato molto prima: il corpo giaceva già nella cassa. Mi avvicinai e sollevai il lenzuolo per vedere : era proprio lei….Kate….quel viso che da mesi vedevo tutte le notti nei miei incubi. Forse aveva cercato di mandarmi un messaggio, voleva il mio aiuto e io non avevo capito…ed ero arrivata in ritardo. Mi girai e mi incamminai verso il grande albero seguita dallo sguardo terrorizzato e interrogativo di Stuart.
Raggiunsi ciò che restava dell’altalena e restai qualche minuto in silenzio.
- Kate….non vorrei ma….- Stuart mi aveva raggiunta
- Sembriamo sorelle..gemelle…vero?- dissi. Alla fine non erano altro che i pensieri di Stuart ed anche i miei.
- Sì, insomma, io non…capisco….lei sembra te, tu sembri lei, gli incubi…la canzone che canti…la casa….Kate, dimmi qualcosa….
- Non ho delle risposte, Stu, non al momento, non ricordo assolutamente nulla-
Questa era la sola verità che avessi.

martedì 3 maggio 2011

Le due parti dell'altalena - Cap. 6

La signorina Smith, la signorina ormai priva di nome, ormai conosciuta solo grazie alla sua triste ed inquietante storia, sedeva nella sua stanza, fissando qualcosa. Qualcosa che per qualsiasi persona sarebbe risultato un punto a caso nel muro, ma lei vedeva chiaramente i suoi pensieri scorrere, come un grottesco spettacolo di marionette. Rimase immobile per un’eternità, ma che lei percepì come pochi secondi. E in quei pochi secondi la sua mente tornava lucida, tornava a vedere la luce. La ragione usciva dalla nebbia e le imponeva di ascoltare, di respirare piano, di amplificare tutti i suoi sensi. Rimase immobile, ascoltando il battito cardiaco rimbombarle nella testa. Poi si alzò, cercò sotto il suo letto per qualche secondo e poi le sue mani riemersero impolverate stringendo del materiale per scrivere.

“Sono tornata a ragionare. Per quanto? Troppo poco, come sempre. Quanto ricordo di questa giornata? Troppo poco, come sempre. E come sempre mi torna alla mente solamente il rosso. Tanto rosso. Rosso sangue. E l’odore del sangue. Sensazioni che mi porto addosso da una vita. Ormai il colore rosso mi nausea. Ormai il solo pensiero del sangue mi fa girare la testa. Vorrei potere ricordare il perché. Vorrei potermi spiegare queste sensazioni così reali create da un sogno. Da quell’orribile sogno. A volte ci penso, e piango. Poi devo smettere, perché non sono più una bambina. Era solo un sogno. Me lo ripeto spesso, me lo ripetono tutti qui dentro. Ma può essere un sogno così reale e soprattutto avere un ricordo così vivido? È colpa delle medicine ne sono convinta.”

Rimase a fissare la pagina, rileggendo, ricontrollando, cercando di impararla a memoria. Viveva a pezzi, ricordava solo frammenti della sua esistenza. Frammenti dai bordi irregolari, frammenti singoli, che non potevano completare un’immagine chiara e completa. Anche uno specchio rotto e riparato nel peggiore dei modi avrebbe mostrato un’immagine più chiara di quella che lei intuiva dai pezzetti che aveva a disposizione.
Mentre i suoi pensieri si intrecciavano, una goccia di sangue cadde sul bordo della pagina. La ragazza inclinò la testa, incuriosita e perplessa, chiedendosi da dove fosse giunta quella perla rossa. Chiuse il quaderno e lo ripose, avvertendo un strano prurito al collo. Si toccò col palmo della mano che si tinse di rosso.
Rosso.
Rosso sangue.
Come aveva fatto a ferirsi? Raggiunse la stanza da bagno e con dell’acqua si risciacquò il sangue che le sporcava il collo e tamponò le ferite con un asciugamano pulito. Aveva bisogno di chiarezza.
Uscì dalla sua stanza e si avviò verso l’ufficio di Garreth. Camminava lentamente lungo i corridoi dai pavimenti gelidi e mentre camminava le risuonava nella testa una bizzarra melodia che riusciva a seguire solo canticchiando. Non ne conosceva le parole. O forse le conosceva, ma le aveva dimenticate. Era facile dimenticare in un posto come quello. Poi qualche parola.

Cosa faremo di questa ragazza?
Combineremo un bel matrimonio:
la daremo in sposa al…

Di chi sarebbe stata sposa quella ragazza di cui canticchiava? E chi era? Beh, poteva essere chiunque, non aveva importanza il nome. Ma con chi si sarebbe sposata si. Insomma, qualsiasi ragazza che si rispetti è interessata in questioni matrimoniali no?

La daremo in sposa al… demonio?

No, non diciamo sciocchezze! Chi mai darebbe la propria figlia in sposa al demonio?
- Che pensieri ridicoli che hai a volte, Kate. – sussurrò a se stessa scuotendo il capo. E mentre continuava a pensare a chi sarebbe stato lo sposo, arrivò.
Lo studio di Garreth aveva la porta semi aperta, la luce era accesa e dall’interno proveniva uno strano suono. Lo stesso suono che facevano le sue medicine quando le tiravano fuori dal loro contenitore per poi offrirgliele.
Kate entrò, rassicurata da quei rumori familiari.
Garreth era seduto sulla scrivania, passando da una mano all’altra il contenitore dei medicinali. Sottovoce canticchiava la sua stessa melodia.
Kate si immobilizzò e Garreth alzò lo sguardo. Le sorrise.
- Ci hai messo tanto stasera, Kate. –

lunedì 2 maggio 2011

Le due parti dell'altalena - Cap. 5

Cap. 5


La storia si svolgeva come una pellicola nella testa della giovane donna: un film terribile e sconvolgente, che le teneva compagnia da sette lunghissimi anni.

I suoi occhi mi guardarono, e il sole di quel tramonto si insinuò nel mio cuore. Le finestre della mia anima erano rimaste serrate troppo a lungo, ed era forse l'ora di provare ad aprirle, anche solo per un minuto, anche solo per quegli occhi azzurri, puri e chiari.
- Ciao bella. Siediti qui, vicino a me: c'è un tramonto rosso come il sangue.
Ricordo ancora il suono ed i toni della sua giovane voce: era fresca, prometteva cose felici ed emozioni liete, ma soprattutto era invitante, tranquillizzante. La sentivo gorgogliare dentro le mie orecchie, scendere tiepida ed argentina fin nel mezzo del mio petto, ed accarezzare la mia anima ferita e ritrosa fino a scaldarla. Ho pensato che una voce simile avrebbe potuto guarirmi da quella malattia invisibile, da quel freddo glaciale che mi portavo dentro da ormai troppo tempo.
Non ho più ascoltato le sue parole: per un momento mi sono fidata, fidata di lui, dei suoi occhi azzurri che illuminavano il mio volto quando mi guardavano.
Mi sono seduta, ho raccolto la gonna rosa del mio vestito, ed ho guardato le mie gambe piegarsi sotto di essa e distendersi sul prato.
Il tramonto era sempre più rosso, proprio come quello di stasera, ed io per una volta mi sentivo una donna, una donna normale, senza paure e senza limiti, capace di stare con un ragazzo della mia età senza crisi di panico, o sensi di impotenza da mascherare dietro uno schermo impenetrabile di afasia ed apatia.
Ho ricordi frammentari: la luce rossa calda ci avvolgeva come in una bolla fuori dal tempo
Sento ancora la sua voce che mi scalda in mezzo al petto, le sue mani che mi rassicurano in un tenero abbraccio...
Ricordo il suo dito teso verso il cielo rosso, a descrivere qualche cosa, e subito dopo i suoi occhi azzurri, immacolati e tersi, nei quali si perdevano i miei, girarsi verso di me.
Ricordo le sue labbra, mentre parlano: scoprono a tratti i suoi denti bianchi, ed il suo sorriso non è venuto mai meno una volta.
Baciarlo è stato naturale: in quel momento ho capito che quando arriva il momento di baciare il tuo ragazzo, te lo senti chiaramente dentro. E' un impulso che non puoi fermare, è una travolgente urgenza, dovevo farlo, allora, subito.
E poi il mio vestito rosa, che lentamente scivolava a terra, lasciandomi nuda davanti a lui: mi sembrava la cosa più bella del mondo, la più normale di questa terra, e sempre senza dire una parola lo abbracciai stretto.

Negli occhi della Signorina Smith si formarono due lacrime, dense e salate, che non volevano ancora saperne di staccarsi e correre giù lungo le sue guancie.

E successe... Mi ricordo solo che successe: non ricordo altro. Il mantello rosso del sole stava scomparendo definitivamente oltre l'orizzonte, ma il mio sguardo era concentrato solo all'interno di quegli occhi blu...
- Kate... Kate...
Queste le sole parole della sua voce che ricordo distintamente, il resto è solo un suono dolcissimo...
Poi il rosso del tramonto d'improvviso si tramutò in ombra, scura e minacciosa. Non vidi come quell'essere sgorgò dalla terra, all'improvviso, senza che ce ne accorgessimo.
Ma anche lui urlò il mio nome:
- Kate!
Ed il suo fu un urlo agghiacciante, tremendo... Aveva in sé l'urgenza di una condanna e la furia della sua esecuzione.
Mi spaventai terribilmente, pensavo che mi avrebbe ucciso, aveva gli occhi neri come la notte, e lampeggianti d'odio. Il suo urlo frantumò il soave gorgoglio della voce del ragazzo, spezzandolo nel momento stesso in cui lacerò il suo collo. Ed in quel momento tutto il rosso del tramonto ritornò sulla terra, sotto di noi, sopra di noi, addosso a noi. Rimasi pietrificata, a guardare tutto quel rosso che sgorgava dal collo dell'unica persona che mi abbia mai capita, che mi abbia mai amata.
E fu allora, mentre vedevo la ferocia che in quegli occhi neri glaciali pian piano lasciava posto alla paura, mentre quell'essere assassino si lisciava nervosamente i baffi con un movimento involontario della mano, fu proprio allora che capii perchè nessuno mi avrebbe mai potuta comprendere: io sono bruttissima, così brutta che nemmeno ci credo quanto. E chi mi si avvicina non può che restare ucciso. E' colpa mia. E' solo colpa mia.
E mentre lui moriva a causa mia, mentre l'altro essere si dileguava dopo aver fatto quello che aveva fatto, io decisi che non avrei aperto mai più il mio cuore a nessuno.
Solo io, nel mio mondo, per il bene di tutti gli altri.
Solo io.
Solo io.

La porta della camera si aprì lentamente, e due figure entrarono silenziose nella penombra.
Il più giovane sorreggeva il più anziano, e si fermarono a qualche passo dalla Signorina Smith.
- Vedi? Ora è calma. - disse il giovane - E' tornata assolutamente calma...
L'uomo più anziano annuì debolmente, poi si afflosciò su una sedia contro la parete più lontana dalla donna. Era visibilmente provato dalle vicende della serata.
- Sai Stuart? Non pensavo che sarei mai riuscito a parlarne con nessuno di quella sera... Quella maledetta sera...
Stuart appoggiò una mano sulla spalla del suo responsabile, mentre teneva gli occhi fissi sulla giovane donna: sì, era proprio bella.
Poi d'un tratto si girò verso Garreth, e lo fissò con due occhi neri come la notte; poi, scuotendo il capo senza distogliere lo sguardo, disse quasi tra sè:
- E non credo nemmeno che, stasera, tutta la verità sia venuta a galla...
Garreth alzò la testa verso il giovane, e mentre nei suoi occhi tristi piano piano si diffondeva la paura, nervosamente si lisciò i baffi con un movimento involontario della mano.



(segue)

venerdì 29 aprile 2011

Le due parti dell'altalena - Cap. 4

-Dio del cielo… cosa è successo?- chiese Stuart

La Signorina Smith, sentendo le voci dei sopraggiunti, si girò verso di loro con un sorriso innocente sul suo volto: -Oh, salve Stuart! E c’è anche Garreth, vedo…-

-Si… si può sapere cosa è successo?- chiese cautamente Garreth. Non era la prima volta che vedeva episodi strani e, ne era certo, quella non sarebbe stata l’ultima. Quindi decise di prendere con calma la situazione, onde evitare ripercussioni indesiderate sia su di lui che sulla paziente

-Eh? Non è successo nulla. Qua stiamo tutti bene- rispose la signorina, girandosi verso le radici dell’albero: -Tutti bene…-

-Meglio così.- rispose Garreth, avvicinandosi lentamente -Senta, potrebbe seguirci dentro? Stuart le ha consentito di uscire, ma è proprio ora di rientrare. Inoltre, è anche in ritardo con la medicina…- e dicendo l’ultima frase porse alla ragazza una pillola di colore azzurrino. La Signorina Smith sospirò e afferrò la pillola: -Se ci tenete così tanto…- disse prima di ingoiare la medicina.

-Su, entriamo- disse Garreth facendo un cenno a Stuart e alla donna e questi affiancarono la ragazza, accompagnandola dentro la struttura.

-Allora? Come sta?- chiese Garreth quando Stuart entrò nel suo ufficio mezz’ora dopo

-È calma ora. Le abbiamo fasciato le ferite che aveva sul collo. Mi chiedo come sia riuscita a procurarsele… Non aveva che le unghie a disposizione!-

-Purtroppo ci è ricascata. Aveva già provato a togliersi la vita cinque anni fa, quando tu ancora non eri stato assunto.-

-Allora avevo ragione. Questa vuole togliersi sul serio la vita.-

Garreth si alzò dalla sedia della scrivania per portarsi alla finestra che dava sull’esterno: da lì poteva vedere il cortile dove era stato poco prima e anche parte del “mondo esterno”, quello non abitato da pazzi, o almeno, non abitato da pazzi dichiarati tali: -Volevi sapere chi era il ragazzo, non è vero?-

-Beh, è sempre utile sapere quante più cosa del paziente, in modo da…-

-Non rispondermi come se fossi ad un esame!- lo interruppe seccato Garreth: -Perché lo vuoi sapere?-

-Io… sono curioso. Voglio sapere chi era il ragazzo per curiosità. Naturalmente anche per sapere se è possibile fare qualcosa per la paziente, magari inserendo elementi che possano ricordare quella sera…-

Garreth si girò verso Stuart. Questi notò che il suo capo aveva gli occhi lucidi ed impiegò un attimo a capire il perché.

-No…-

-Il ragazzo fu trovato esanime che copriva il suo stesso sangue. Aveva una ferita al collo, procurata da un arma non affilata. La lacerazione aveva interessato l’arteria carotide esterna. Non c’è bisogno che ti dica quanto tempo sia passato tra la ferita e la morte.-

-Ma…-

-Evidentemente la Signorina Smith aveva immobilizzato il ragazzo e, con le unghie, era riuscita a lacerare l’arteria. Per questo anche i suoi vestiti erano fradici di sangue-

-Dimmi…-

-La cosa che più sconvolgeva, però, non era il sangue o la Signorina Smith, lì, immobile, a cantare la stessa nenia che hai sentito prima. Erano gli occhi del ragazzo. Di un azzurro brillante, spalancati. Accusatori. Impauriti.- Garreth emise una risatina isterica: -Sembrava la vittima di uno dei racconti di Poe…-

-Ascoltami, Garreth, te ne prego…-

-Erano fissi lì, a guardare tutti, come se fosse colpa nostra. Nostra. A causa della nostra incapacità di vedere chi realmente si celava dietro quella pelle abbronzata, dietro quel vestito superbo. E avevano ragione.-

Stuart si alzò e andò incontro a Garreth. Lo prese per le spalle e lo scosse, chiamandolo per nome, in preda alla rabbia di un uomo che rimane inascoltato. Ma Garreth sembrava immerso nei ricordi, dei ricordi che non potevano più rimanere dentro di sé, che dovevano uscire in qualche modo.

-Anche quando ha tentato di togliersi la vita l’ultima volta si era fatta delle ferite: sulle braccia sulle gambe, cercando di far uscire quanto più sangue possibile. L’abbiamo trovata in tempo, nella sua camera, che canticchiava sommessamente quella nenia-

-GARRETH!- Stuart, ormai si stava sgolando per far riprendere il suo capo, il quale non poteva più nemmeno contenere la lacrime, che scendevano senza freni

-Oggi, ha tentato di nuovo di raggiungere quel ragazzo, facendo la sua stessa fine… Perché? PERCHÉ???- e, dopo un urlo di agonia, di tristezza infinita, Garreth si abbandonò alle braccia di Stuart, piangendo come mai aveva fatto in vita sua.

-Perché…? Perché…?-

giovedì 28 aprile 2011

Le due parti dell'altalena - Cap. 3

Stuart stava consultando alcune carte che gli aveva portato un’infermiera, quando vide che la Signorina Smith si alzò e se ne andò in giardino. Disse all’infermiera di tenerla d’occhio mentre lui era da Garreth e poi la rincorse con una scatola di medicine in mano.

- Signorina Smith – la interruppe Stuart – allora vuole prendere questa pastiglia?
- Uff! Stuart, che noiosi che siete. Sì sì la prendo… però sia chiaro! Io adesso vado a fare un giro in giardino e rientro solo tra un po’... avrò pure il diritto di godermi questo posto o volete legarmi ad una sedia in quella casa di matti? – disse facendo l’occhiolino verso il ragazzo che solo lei vedeva.
- Eh sia! Resti pure qui in giardino, ma sia chiaro! Ora vado da Garreth. Quando esco dal suo studio, passo a prenderla e lei viene con me. Senza fare storie!
- Vada Stuart, vada… - e guardando il suo albero, come se stesse parlando con qualcuno borbottò – che noioso!

mercoledì 27 aprile 2011

Le due parti dell'altalena - Capitolo2

La signorina Smith,come tutti ormai la chiamavano, rimase particolarmente colpita da quel tramonto che si stagliava nel cielo proprio di fronte a lei, tutte le sfumature dell’arancio si erano trasformate in un’immensa pianura infuocata che evocava in lei ricordi lontani.

La signorina Smith era contenta, quel fuori programma l’aveva resa euforica, non voleva perdersi nemmeno un secondo dell’inaspettato spettacolo che le veniva offerto, prese così una vecchia sedia di legno nell’enorme e triste salone di quel posto terribile in cui era rinchiusa e la posizionò di fronte alla finestra, sorridendo.

Kate guardava il suo vestito nuovo, comprato appositamente per quell’occasione. Poteva sentire la morbida stoffa di satin rosa avvolgerla dolcemente, un’alta fascia la stringeva sotto il seno per poi intrecciarsi sulla sua schiena formando un grosso fiocco. L’ampia scollatura lasciava intuire le forme del suo seno mentre la sua giovane pelle scura risaltava sotto il tenue colore di quell’abito.

Si scoprì emozionata, poteva sentire il chiacchierio degli invitati penetrare dalla porta, il cuore le batteva all’impazzata ma si fece coraggio, prese dalla sedia lo scialle di seta bianca, lo appoggiò sulle spalle, fece un profondo respiro e finalmente si decise a uscire dalla sua stanza per partecipare alla festa che i suoi genitori le avevano organizzato per il suo diciottesimo compleanno.

La sua bellezza eterea ammutolì gli invitati nel vederla.

Kate passò in mezzo a loro facendo con il capo un lieve cenno di saluto, le sue labbra erano pervase da un dolce sorriso ma i suoi occhi guardavano oltre, si erano posati su quel rosso tramonto che poteva scorgere al di là del giardino.

Si, il giardino, luogo da lei adorato e rifugio preferito dei suoi momenti migliori, amava pensare sotto l’ombra del grande albero dove ancora la sua preziosa altalena evocava ricordi di un’infanzia felice, si sentiva al sicuro sotto le sue folte fronde e protetta dai suoi forti rami.

Sapeva che avrebbe dovuto sforzarsi di essere gentile con le persone che così carinamente avevano partecipato numerose alla sua festa, ma il solo pensiero di dover intrattenersi con loro la rendeva nervosa, in fondo nessuno di loro le apparteneva, nessuno di loro poteva capire il suo vero essere e nessuno di loro accettava la sua malattia invisibile.

Attratta dalla pianura infuocata che illuminava il cielo e che tingeva di rosso il suo adorato albero, si diresse all’esterno.

Mentre attraversava il giardino percepì una presenza, ma forse era solo la sua immaginazione.

Avvicinandosi al suo albero si rese conto con stupore di vedere un’ombra, poi più nitidamente un ragazzo.

Era seduto sotto il grande albero, abbracciato alle gambe e aggrappato alla notte, sembrava come lei alla ricerca di quiete, di silenzio, di colori, di emozioni che solo ascoltando la natura si potevano trovare.

Il ragazzo alzò lo sguardo verso di lei e timidamente le sorrise.

La Signorina Smith con le lacrime in gola, rise timidamente piegando la testa di lato, mentre i ricordi continuavano a fluitare trasportati dalla corrente della memoria.

martedì 26 aprile 2011

Le due parti dell'altalena - Cap. I

Era una notte buia e tempestosa…..no…non era tempestosa e adesso che ci penso…..non era nemmeno buia: non era notte, ma giorno!!!
Era un giorno come molti altri…di quelli impersonali, nei quali non accade nulla che valga la pena ricordare, un giorno “fotocopia” direi….sì di quelli che ne vivi talmente tanti che alla fine ti chiedi se li hai veramente vissuti oppure se sono stati loro ad aver vissuto te.
In un’ora imprecisata di quel giorno, non mi piace portare l’orologio…odio il cadenzare delle ore, il passare dei minuti, lo scorrere dei momenti…la perdita degli attimi, delle possibilità,….ebbene proprio in quel preciso istante, in quel nano secondo….accadde proprio che……
Kate trovava divertente passare i suoi pomeriggi su quell’altalena malconcia, sotto il maestoso albero, nel giardino dietro casa: gliel’aveva costruita suo padre quando era ancora una bambina. Dio…le piaceva starci scalza su quell’altalena e sentire l’erba soffice sfiorarle le piante dei piedi…ne provava ampio godimento…sciogliere i capelli e sentire l’aria insinuarcisi leggera…..spingersi con le punte dei piedi, chiudere gli occhi ed assaporare l’energia di quella bolla di vita…..le piaceva guardare il mondo da un’altra angolazione….le piaceva guardarlo standosene a testa in giù….e questo capitava solo su quella altalena.
Aveva letto il Barone rampante, e ne era rimasta così affascinata da volerci provare anche lei a vivere senza toccar terra, sì, proprio su quell’albero…leggere, dormire, mangiare, ascoltare il cinguettio dei passeri che restavano fra le fronde di quell’albero per trovarne refrigerio nelle calde giornate dell’estate….anche sua madre era rimasta con lei per due giorni sull’albero…sì per due giorni la Signora Smith aveva passato il suo tempo sull’albero dietro la casa con Kate….
le due trecce di corda dell’altalena si erano annerite con il passare del tempo e assottigliate per la pioggia e il vento….ed il pezzo di legno che le univa, decorato dalla madre con fiori e api, marcito con l’acqua, si era rotto a metà: di una ne restava un brandello penzolante e dell’altro non vi era che il ricordo.
Sì, Kate adorava guardare il mondo da tutt’altra angolazione….del resto nessuno stabilisce quale sia il lato giusto né quello sbagliato…..a dire il vero…tra il giusto e lo sbagliato lei ci aveva perso del tempo……ci aveva pensato parecchio…ci aveva pensato talmente tanto da perderci il senno….
-Signorina Smith….è l’ora della pastiglia….su, avanti, non si faccia pregare come al solito..
- Sì, sì, Garreth, arrivo subito…andate per favore a chiamare la Signora madre e il Signor padre affinchè non si perdano questo….tramonto-
- ma quella sta proprio perdendo la testa- sogghignò Stuart
- non ti permettere mai più di dire una cosa del genere davanti ad una paziente- lo rimbeccò Garreth
- sì ma quella è pazza, pazza da legare- continuò Stuart
- la Signorina Smith è stata poco bene, ultimamente, ma si riprenderà-
- siamo in un manicomio, Garreth, da qui…quella ci uscirà morta…..magari si impiccherà come il Sig. Colbert, oppure si taglierà le vene un’altra volta…-
- ma la vuoi piantare, benedetto figliolo, non sai niente di lei-
- non potrai sempre essere lì ad accudirla Garreth, prima o poi..capiterà che….
- senti ora portala a prendere la pastiglia e poi vieni nel mio studio…ho una storia da raccontarti-
- come vuoi…ma storia o non storia…quella è pazza…come tutti gli altri qua dentro-
- sai Stuart, di tutte le cose che hai detto negli ultimi cinque minuti, questa è la sola dannatamente vera:siamo tutti pazzi qua dentro…..ti aspetto nello studio-
E così dicendo Garreth si incamminò verso la casa dietro il grande albero..con le mani nelle tasche del camice bianco….
- d’accordo, il capo sei tu…- rispose Stuart con rassegnazione…le storie di Garreth erano di una noia mortale….ma questa pareva avere un non so che di misterioso e, ci avrebbe scommesso, sembrava legata in qualche modo a quella pazza della Signorina Smith…beh…pazza lo aveva solo pensato, non detto….
Certe cose non poteva dirle, ma pensarle….sì, quello sì, santo cielo….