Ci sono storie che, nonostante la loro bellezza ed apparentemente senza alcun motivo, rimangono nascoste per un mucchio di tempo o rimangono entro gli angusti confini di un territorio.
Ero in vacanza alle Isole Azzorre, in pieno Oceano Atlantico, quando chiacchierando con la moglie di un vecchio pescatore venni a conoscenza della storia di un mio compaesano, naufragato su un’isola lì vicino qualche anno addietro. Rimasto su quell’isola per lungo tempo, senza speranza alcuna di essere ritrovato, aveva scritto alcune lettere, le aveva imbottigliate e le aveva lasciate in custodia al mare. Qualche mese prima del mio arrivo, un bambino aveva trovato sulla spiaggia l’ultima di una serie di bottiglie rilasciate dal mare. Furono quindi organizzate varie spedizioni alla ricerca di quest’uomo. Una in particolare approdò su un’isola dove furono ritrovati alcuni appunti di un uomo che poteva essere Gabriele.
Quella vecchia mi raccontò dunque la storia di quell’uomo, romanzata da ciò che si seppe dalle lettere e dai ritrovamenti. A me pare tremendamente bella e per questo oggi ve la voglio raccontare, offrendo le mie parole alla voce dell’uomo che la visse, come ultimo tributo alla sua vita.
Primo capitolo
Ero un uomo normale, prima. Un uomo che ogni mattina vestiva il suo completo da dirigente, fatto di giacca e pantalone grigio scuro, camicia bianca e cravatta nera, e andava a lavorare. Lavorare era per me partecipare a Comitati, Consigli d'Amministrazione, Convegni, senza che avessi più la percezione di fare qualcosa di costruttivo: quella sensazione si era persa con i ricordi degli anni in cui facevo ricerca all'Università.