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domenica 21 novembre 2010

Verso l'isola che non c'è - Capitolo 1

Ci sono storie che, nonostante la loro bellezza ed apparentemente senza alcun motivo, rimangono nascoste per un mucchio di tempo o rimangono entro gli angusti confini di un territorio.
Ero in vacanza alle Isole Azzorre, in pieno Oceano Atlantico, quando chiacchierando con la moglie di un vecchio pescatore venni a conoscenza della storia di un mio compaesano, naufragato su un’isola lì vicino qualche anno addietro. Rimasto su quell’isola per lungo tempo, senza speranza alcuna di essere ritrovato,  aveva scritto alcune lettere, le aveva imbottigliate e le aveva lasciate in custodia al mare. Qualche mese prima del mio arrivo, un bambino aveva trovato sulla spiaggia l’ultima di una serie di bottiglie rilasciate dal mare. Furono quindi organizzate varie spedizioni alla ricerca di quest’uomo. Una in particolare approdò su un’isola dove furono ritrovati alcuni appunti di un uomo che poteva essere Gabriele.
Quella vecchia mi raccontò dunque la storia di quell’uomo, romanzata da ciò che si seppe dalle lettere e dai ritrovamenti. A me pare tremendamente bella e per questo oggi ve la voglio raccontare, offrendo le mie parole alla voce dell’uomo che la visse, come ultimo tributo alla sua vita.

Primo capitolo

Ero un uomo normale, prima. Un uomo che ogni mattina vestiva il suo completo da dirigente, fatto di giacca e pantalone grigio scuro, camicia bianca e cravatta nera, e andava a lavorare. Lavorare era per me partecipare a Comitati, Consigli d'Amministrazione, Convegni, senza che avessi più la percezione di fare qualcosa di costruttivo: quella sensazione si era persa con i ricordi degli anni in cui facevo ricerca all'Università.

Verso l'isola che non c'è - Capitolo 2

Quella mattina salpammo presto. Erano forse le quattro di mattina. L'aria era fresca e tersa. Il mare era tranquillo, nonostante una leggera brezza ne muovesse le onde.

Trovai quasi subito un nomignolo per Max. Fu per caso, ma il vedermi su quella barca solo con lui mi riportò alla memoria il tempo subito dopo la morte di mio padre, quando avevo nove anni. Non ricordo molto di lui, ma ricordo che nessuno mi disse che era morto. Quel particolare lo scoprii molti anni dopo. Non fui presente di conseguenza al suo funerale, anche se a pensarci bene io non sono mai andato a funerali dei miei parenti.

Verso l'isola che non c'è - Capitolo 3

Tuod si era tranquillizzato. L’idea di passare nei pressi della Costa della Morte lo aveva davvero sconvolto. Pensavo davvero che se lo avessi forzato a quella opzione, una volta attraccati al molo mi avrebbe piantato lì e se ne sarebbe andato. Così l’atmosfera migliorò tra di noi. Il tempo era buono, il mare sufficientemente tranquillo, il vento abbastanza alto da farci veleggiare verso il nostro obiettivo rimanendo nei tempi che Tuod si era dato.

Quello che successe perciò ci colse completamente alla sprovvista. Accadde tutto una notte. Mi svegliai perchè sentivo la barca ondeggiare in modo più forte del solito ed il mio stomaco era vicino a vuotare nel cesso tutta la cena. Mi alzai tentando di raggiungere la toilette, ma non appena misi piede in terra fui sbattuto completamente dall’altra parte e caddi. Mentre cercavo di rialzarmi mi colse una serie di conati di vomito e lo spettacolo che ne risultò ve lo risparmio, perchè io stesso sto male a ricordarlo. Urlai il nome di Tuod, sperando mi sentisse. Non capivo dove fosse, ma lo volevo lì con me, a rassicurarmi che tutto stava andando per il meglio ed era solo un mare un po’ più grosso del solito. Tuod non mi rispondeva, al che capii che dovevo raggiungerlo su. Mi feci strada con lo stomaco che oramai andava su e giù per i fatti suoi ad ogni minimo sbandamento della barca. Afferrai il corrimano delle scale e mi portai su e rimasi immobile nel vedere uno spettacolo che di umano oramai non aveva già più nulla. Tuod era riverso sotto le vele: doveva essere stato colpito alla testa mentre cercava di manovrarle e giaceva privo di sensi, bocconi. Intorno a noi c’erano delle onde gigantesche, quasi più alte dell’albero della nave.

Verso l'isola che non c'è - Capitolo 4

Erano passati molti giorni, forse settimane.
Gabriele aveva perso oramai il senso del tempo. Seguiva l’istinto per mangiare, bere e dormire. Ed il resto del tempo lo passava con un coltello in mano a tagliare legna. Scolpiva piccoli oggetti, secondo l’estro del momento.

Non avrebbe mai pensato di essere capace di dare vita a qualcosa con le proprie mani e il fatto di sentire sotto la pelle le cose che scolpiva gli dava in qualche modo un senso.

Una sera era seduto fuori della sua capanna. Aveva acceso un fuoco, ma non riusciva a sentirne il calore. Nonostante gli fosse molto vicino e avesse messo su delle coperte, sentiva dei brividi dentro. Si sentiva eccitato, sentiva dentro di sè un’energia che non riusciva a convogliare verso il suo solito intagliare e scolpire. Aveva sciupato diversi pezzi di legno tentando di dare forma a quella sensazione che provava dentro.

All’improvviso si alzò, prese un foglio ed una penna e cominciò a scrivere.

Verso l'isola che non c'è - Capitolo 5


Gabriele era seduto nella capanna e stava sfogliando le fotografie di Tuod.
Ripensò a suo padre. Cercò di ricordare la sua immagine, ma questa gli appariva sfocata nella memoria, il che gli fece nascere dentro un sentimento di rabbia contro se stesso, per averlo dimenticato. A nulla valevano le scuse che la sua ragione gli costruiva: eri un bambino, è passato tanto tempo, non avevi tante fotografie da portarti dietro. Si rimproverava di aver dimenticato i momenti dell’infanzia insieme, di aver tenuto forte dentro di sé soltanto il vuoto, di essersi trascinato solo quel senso di abbandono. E vide all’improvviso in sé suo figlio. Così iniziò a scrivere…

Verso l'isola che non c'è - Epilogo

Non sapeva quanto tempo fosse passato dal giorno del naufragio. All'inizio aveva tenuto il conto segnando delle tacche su un albero. Poi non ne vedeva più il senso: a lui non era mai importato il tempo. Perciò aveva smesso.
Non c'era molto da fare sull'isola, così a volte si dilettava a intagliare pezzi di legno trovati in spiaggia, a volte si sedeva in riva al mare a guardare l'orizzonte.
Anche per il mangiare aveva imparato ad arrangiarsi: aveva ancora una piccola scorta di barattoli tra carne, tonno e legumi ed ogni tanto gareggiava con se stesso ad acchiappare pesciolini da cuocere sulla brace.
Non gli importava di vivere o sopravvivere. In qualche modo gli era stato offerto un dono eccezionale: quello di avere tutto il tempo per pensare e analizzare la sua vita, recuperando ricordi ed emozioni, spolpandoli di tutto ciò che erano i sentimenti effimeri e riconoscendo le persone che erano state davvero importanti per lui, tra le mille che gli si erano affaccendate intorno.