domenica 21 novembre 2010

Verso l'isola che non c'è - Capitolo 4

Erano passati molti giorni, forse settimane.
Gabriele aveva perso oramai il senso del tempo. Seguiva l’istinto per mangiare, bere e dormire. Ed il resto del tempo lo passava con un coltello in mano a tagliare legna. Scolpiva piccoli oggetti, secondo l’estro del momento.

Non avrebbe mai pensato di essere capace di dare vita a qualcosa con le proprie mani e il fatto di sentire sotto la pelle le cose che scolpiva gli dava in qualche modo un senso.

Una sera era seduto fuori della sua capanna. Aveva acceso un fuoco, ma non riusciva a sentirne il calore. Nonostante gli fosse molto vicino e avesse messo su delle coperte, sentiva dei brividi dentro. Si sentiva eccitato, sentiva dentro di sè un’energia che non riusciva a convogliare verso il suo solito intagliare e scolpire. Aveva sciupato diversi pezzi di legno tentando di dare forma a quella sensazione che provava dentro.

All’improvviso si alzò, prese un foglio ed una penna e cominciò a scrivere.


Non intesterò questa lettera, ma so che tu saprai riconoscere le parole che sto dedicando a te.

Sai anche che se non fossi qui, su un'isola sperduta nell'Atlantico, con rare possibilità di sopravvivenza, non ti starei scrivendo. O forse ti starei mandando solo un SMS. Ma questo posto è lontano dal mondo tecnologico come il sole dall'ultimo pianeta del sistema solare.

Forse è un bene che sia così! Fra di noi non c'è mai stato bisogno di parole. Noi sappiamo cosa proviamo l'uno per l'altra. Noi siamo certi l'uno dell'altra come siamo certi che ogni giorno sorge il sole. Siamo il riferimento l'uno per l'altra, il punto fermo che non gira e non passa. Ovunque andiamo, con chiunque ci accompagnamo, se ci giriamo, sappiamo di esserci specchio e ci troviamo, come prede che non scappano ai cacciatori e siamo prede e caccatori insieme. Del nostro amore. E’ anche vero che a volte, quando sentiamo che le cose ci sfuggono, per chiunque diventa importante fermarle: è solo per questo, amore mio, che oggi ti sto scrivendo. E’ solo per questo, per fermare il mio amore e rendertelo sempre visibile, che oggi fisso su questa carta ciò che io provo per te, affinchè tu possa sempre averlo sotto gli occhi, anche quando il tempo ti avrà cancellato quei ricordi che a te sembrano indelebili. Già. Perchè il tempo a volte fa questi dispetti, anche verso le persone che per te sono o sono state importanti e ti toglie un pixel dopo l’altro dalle fotografie dei tuoi ricordi ed un giorno, all’improvviso, scopri che di ciò che era importante, è rimasto solo un sentimento.
So che il dolore che ti ho dato ha lasciato un profondo segno nel tuo cuore. Lo leggo ogni volta che ti incrocio, anche se il tuo pudore ti impedisce di rinfacciarmelo, perchè in fondo sei come me e sai che non avevo scelte, che l'alternativa era non sentirmi più uomo. Mi chiedo a volte se potrai mai perdonarmi. So che non lo farai. Certe cose non possono essere perdonate, lo so. Ma mi basterebbe sapere che vorresti farlo, amore mio.

Con la mia scelta ho rinunciato ad una vita comoda. Ho rinunciato ad amare. Ma sai che non ho rinunciato ad essere padre ed è l'unica cosa che ho voluto fare bene. Scrivendoti, scelgo di farlo fino in fondo, senza paura di mettere a nudo i miei sentimenti di uomo e rivelarteli. Non mi chiedo cosa ne farai. Potrai usarli a mia discolpa o potrai ignorarli, gettandoli nel cesso con tutta la rabbia che ti porterà la certezza di avermi perso. Ma credimi, meglio questa certezza che l’incertezza di non avermi capito o di non avermi dato quello che tu potevi.

Tu mi hai dato tutto. Tutto quello che con le tue mani da bambina potevi offrirmi.
La gioia di vederti nascere, piccola, indifesa, la “mia” creatura – o dovrei dire la creatura alla quale anche io ho contribuito – il che non è poco per un uomo: sapere che hai dato vita a qualcosa, a qualcosa di buono intendo – ti riconcilia per tutti i peccati che puoi avere commesso in una vita.
Prenderti per mano e farti camminare, gioire dei tuoi sorrisi e addolorarmi nei tuoi pianti.
Raccogliere le tue confessioni di bambina e tirarmi indietro quando sei diventata adolescente e questo padre non lo volevi più... già, forse questo, amore mio, è stata la parte più difficile: il nostro era un rapporto fortissimo e vederlo lacerarsi – per carità, in maniera sana e naturale come si confa ad una relazione sana tra padre e figlia – è stato il dolore più grande. Ti vedevo ritrarti di fronte a me, ti vedevo chjuderti a riccio e allontanarti. Ed io dovevo stare fermo, lasciarti andare, evitare persino di toccarti perchè vedevo che ti davo fastidio, lì dove invece fino a qualche anno prima eri tu che cercavi in continuazione i miei baci ed i miei abbracci. E’ stato un distacco duro, che non ha avuto parole di spiegazione, che ho sempre sperato che con il tempo si ritraesse, per ricongiungerci una volta che tu fossi diventata adulta e non mi vedessi più come uomo, ma ancora una volta come padre. Un padre vecchio, che ha bisogno del tuo affetto e della tua vicinanza anche fisica, perchè a volte le parole non bastano, nemmeno quelle non dette.

Non ho nulla da lasciarti, se non il ricordo di un uomo provato, di qualcuno che stava cercando di vivere e trovare un senso in se stesso. La mia speranza è che tu abbia anche dei bei ricordi, oltre che quelli di un uomo arrabbiato e solo. Ricorda, quando ti troverai davanti un uomo ferito e solo, di non disprezzarlo. Soprattutto, amore mio, non ferirlo di più, non lasciare nel suo cuore solchi di dolore che difficilmente potrà ricomporre.

Se puoi, recupera quello che ero nei momenti migliori, recupera i miei sorrisi, i miei scherzi da adolescente, quelli che facevo alle tue amiche mentre tu ti incazzavi e mi guardavi storto. Recupera i miei abbracci e le mie carezze, i momenti passati insieme in silenzio, gli sguardi incrociati e le risate improvvise, la mia spalla alla quale a volte ti appoggiavi silenziosa, stanca e triste. Momenti che man mano che crescevi io apprezzavo sempre di più perchè erano sempre più rari. Piccoli diamanti che brillavano tra momenti tutti d’oro. Avrei voluto strapparti il dolore dal cuore perchè tu potessi non provarlo più. Avrei voluto sfidare coloro che ti facevano soffrire perchè smettessero. Eppure come padre non potevo farlo: sapendo quanto dolore c’è nella vita, era bene che tu imparassi a conoscerlo e a domarlo, ma soprattutto a vincerlo.

Sono arrivato alla fine, amore mio.
Quale fine strana per tuo padre. Vissuto solo, di una solitudine che spacca il cuore. Solo tra le persone che amavo, il che ha reso il mio dolore ancora più penetrante ed inaccettabile. Per questo sono andato via: almeno diventava giustificabile il mio sentirmi estraneo al mondo intorno. Se fossi rimasto, ho avuto paura che alla fine avrei potuto odiare anche te e tuo fratello e questo non doveva succedere.
Abbi cura di te. Abbi cura del mio ricordo.

Cercami nel tuo cuore, quando avrai il bisogno di avermi accanto e sai che io sarò lì. Sarò negli occhi di coloro che ti ameranno. Sarò nelle parole di chi ti dirà che ti ama e tu saprai che non sta mentendo se proverai quello che hai provato per me. Sarò negli abbracci e nelle carezze di chi ti vuole bene. Sarò in queste povere parole, se mai ti arriveranno.

E se non ti arriveranno, so che saprai lo stesso, nel tuo cuore, quanto ti amo.
Papà


(continua)

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