La fiamma mi brilla davanti agli occhi e ne scorgo i riflessi arancio, giallo, azzurro e verde. Se avessi uno specchio di fronte, vedrei i miei occhi lucidi attraverso quella luce, come se fossi altro da me. Non so se capirei il dolore che dietro si cela inconfessato. Non so se azzarderei i pensieri che in realtà mi opprimono ora.
Vedo la fiamma accostarsi alla mia bocca in un gesto che avevo dimenticato: una sigaretta. Ma è l’ultima sigaretta del condannato a morte. L’ultimo respiro. Senza sentirmi in colpa. Senza sentirmi i soliti rimproveri nelle orecchie. A parte che non c’è nessuno affianco a me a ripetermi che fa male. Adesso però so che è il male minore. Così aspiro, dopo mesi di digiuno aspiro e sento la morte che mi riempie la bocca. Tossisco. Ho aspirato troppo. Non pensavo che ci fosse questo effetto per me, che ho fumato anni – anzi! – decenni della mia vita. Evidentemente questi mesi che non l’ho fatto mi hanno purgato i polmoni oltre che privato il cervello della sua droga. Eppure mi intestardisco e riprovo con un’altra boccata. Stavolta va meglio. Non tossisco, sento il fumo che scende ed il cervello che si rilassa. Era ora. Da tempo l’avevo desiderato, ma non immaginavo più di rifarlo ancora.
Sono seduta a terra, davanti alla finestra aperta e guardo il parco. Piccole luci illuminano un sentiero dove due ragazzi passeggiano. Li vedo attraverso il fumo che espiro, ma loro non lo sanno. Loro non se ne importano. Non immaginano che qualcuno stia osservando i loro baci e le loro carezze. Non badano che a cercarsi con le mani e con la bocca, in un istante che a loro pare l’eternità. Intorno a loro non c’è nessuno. Sono appoggiati ad una panchina. Lui è seduto. Lei un po’ si sdraia con la testa sulle sue gambe, un po’ gli si mette a cavalcioni. Anche io un tempo l’ho fatto. Quanto tempo fa? Non ricordo. Non voglio ricordare, perchè non ha più senso.