domenica 21 novembre 2010

Verso l'isola che non c'è - Capitolo 2

Quella mattina salpammo presto. Erano forse le quattro di mattina. L'aria era fresca e tersa. Il mare era tranquillo, nonostante una leggera brezza ne muovesse le onde.

Trovai quasi subito un nomignolo per Max. Fu per caso, ma il vedermi su quella barca solo con lui mi riportò alla memoria il tempo subito dopo la morte di mio padre, quando avevo nove anni. Non ricordo molto di lui, ma ricordo che nessuno mi disse che era morto. Quel particolare lo scoprii molti anni dopo. Non fui presente di conseguenza al suo funerale, anche se a pensarci bene io non sono mai andato a funerali dei miei parenti.


Così successe che da un giorno all’altro lui per me era svanito. Poteva essere andato via per lavoro, poteva essere fuggito con una donna, poteva essere da qualunque altra parte. Sapevo solo che non era con me e che mi mancava. Non era una sensazione razionale come può esserlo adesso. Era il sentirsi a metà, il sentire che qualcosa intorno semplicemente non c’era, era il voltarsi all’improvviso sentendomi la sua mano sulla spalla per poi scoprire che non era nulla. Era l’udire la sua voce che mi chiamava. Era l’immaginarlo davanti a scuola, fuori dal campo di calcio, in tutte quelle situazioni nelle quali ero abituato alla sua presenza. E l’accorgersi che non c’era, quella sensazione del sentirsi abbandonati, era una sensazione indescrivibile.

Forse fu perchè io potessi non impazzire che arrivò Tuod. Lui mi parlava la sera, quando ero a letto, la testa sul cuscino e gli occhi aperti nel buio. Lui mi teneva la mano quando avevo paura. Io gli raccontavo delle mie vittorie sportive, dei miei litigi con i compagni e lui mi ascoltava e soprattutto mi capiva. Come mi avrebbe capito mio padre, se fosse stato lì.

Questo strano rapporto a due tra me e Max mi riportò perciò a quel tempo e fu quasi per sbaglio che mentre mettevo a posto la valigia mi rivolsi a lui chiamandolo Tuod. Max non disse nulla. Accettò semplicemente quel ruolo, pur non sapendo quanti ricordi sanguinosi esso portasse dietro. Penso di non averlo più chiamato Max dal primo giorno che ci conoscemmo.

Tuod mi dava istruzioni su quello che dovevo fare, nonostante le mie proteste sul fatto che avevo pagato lui per guidarmi senza dover muovere un dito. Poichè sembrava non sentire, mi toccò imparare a bestemmiare nella lingua dei naviganti, chiamando con strani nomi alcuni buffi oggetti presenti sulla nave.

Prendemmo il largo e la mia emozione fu grande. Sentivo un po' di paura dentro di me, ma la ricacciavo giù insieme al nodo che mi si stava formando in gola, al pensiero che da quel viaggio avrei anche potuto non tornare. Non c’era nessuno sul molo a salutarmi, se non un vecchio pescatore. Mi fece tenerezza visto da lontano, seduto sul legno bagnato, con una canna da pesca in una mano e l’altra che nell’aria sembrava scacciare mosche. Mi resi conto troppo tardi per arrabbiarmene, che in realtà lui stava salutando Tuod, non me. Non c’era nessuno sul molo, ma forse avrei dovuto immaginarlo, visto che a nessuno avevo detto che partivo, se non al Responsabile delle Risorse Umane della mia azienda ed all’Amministratore Delegato. Per tutti gli altri io ero in missione da qualche parte.

I primi giorni trascorsero sereni. Sembrava quasi una gita in barca qualunque. Io passavo il tempo lasciato libero dai mestieri che Tuod mi assegnava, prendendo il sole completamente nudo. Adoro abbronzarmi: è la mia caratteristica principale. Le persone mi notano spesso solo per quello e per il forte contrasto tra il colore della mia pelle e quello dei miei occhi. Il mio Corto Maltese, invece,  aveva occhi solo per l’orizzonte e talvolta li poggiava sulle curve di qualche occasionale navigante che si offriva alla nostra vista di tanto in tanto, quando capitava di incontrare altre barche. Non che a me non interessassero in condizioni normali: è solo che avevo davvero voglia di staccare da tutto ciò che fino ad allora mi aveva ossessionato, soprattutto lavoro e donne.

La rotta che seguivamo ci portava verso Gibilterra e da lì avremmo iniziato il nostro tragitto più difficile: la traversata dell'Atlantico. Non nascondo che mi spaventava un po' quell'impresa, ma quando ne parlavo con Tuod la sua reazione era sempre talmente tranquilla, che alla fine mi convinsi anche io che non avrei dovuto fissarmi più di tanto sull'argomento.

Il passaggio attraverso lo stretto fu impegnativo, più di quello che Tuod aveva voluto farmi credere e di conseguenza iniziai a pesare adeguatamente tutti i suoi giudizi espressi relativamente al viaggio. Lo avevo visto un po' in difficoltà in alcuni punti ed il mio aiuto era stato decisivo per evitare che ci schiantassimo contro alcune rocce. Mi convinsi in quel momento che non avrei solo dovuto chiedere una patente nautica per garanzia, ma molto molto di più.

Appena passato lo stretto e recuperata la calma, Tuod mi chiese di tenere il timone, perchè lui doveva andare giù a studiare le mappe. Misi le mani sul legno bagnato con qualche timore, impegnandomi al massimo per seguire la sua indicazione di "andare sempre dritto". In realtà Tuod aveva tralasciato il fatto che "sempre dritto" ha senso quando hai punti di riferimento rispetto ai quali muoverti, ma  perdeva immediatamente di significato per una persona su una barca in mezzo al mare, senz'altro che acqua intorno. I dubbi verso Tuod aumentavano man mano che il tempo passava e lui non riemergeva. Iniziai anche a chiedermi perchè avesse accettato quel viaggio e mi ripromisi di chiederglielo alla prima occasione, tanto oramai eravamo su quella barca e non potevo fare a meno di lui, qualunque cosa avesse confessato.

Dopo circa due ore Tuod finalmente riemerse e fece cenno di sedermi. Prese il timone e mi guardò per un po', prima di iniziare a parlare. Non mi piaceva il suo sguardo, ma mi sedetti ed aspettai compunto che si decidesse a parlare.

-      Siamo nei guai! – disse ad un certo punto.
-      Cosa te lo fa pensare? - chiesi io ingenuamente.
-      Ho studiato molto le mappe prima di partire e mi sembrava di avertene parlato.
-      Di cosa?
-      Dopo Gibilterra volevo scendere verso sud fino al Tropico del Cancro al 70° meridiano; a quel punto avremmo virato verso Nord fino ad incontrare la Corrente del Golfo che ci avrebbe portato verso la costa orientale degli Stati Uniti, nella baia dell'Hudson. Lì ci saremmo fermati qualche giorno. Avevo calcolato che ci sarebbero voluti forse una ventina di giorni.
-      Cosa è cambiato? Si è spostata l’America? – dissi con il solito umorismo che mi prende quando voglio combattere la paura.
-      C’è un uragano. Dobbiamo andare verso Nord.
-      Andiamo... no?
-      Mi piace meno... dovremmo seguire bene la costa fino al Nord della Spagna e poi staccarci... ma c’è la Costa della Morte, quella zona non mi piace.
-      Cosa è la Costa della Morte?
-      Si trova tra La Coruña e Cabo Fisterra. Cabo Fisterra è il punto di arrivo del Cammino di Santiago. Prende il nome da “Finis Terrae”, la fine della terra, perchè era erroneamente ritenuto il capo più a Ovest della Spagna. E’ un promontorio con rocce di granito alte seicento metri, fanno paura...
-      Ci sei stato Tuod?
-      Sì e non ci voglio tornare... Ero in vacanza con mio fratello e sua moglie. Facevo da skipper.

Tacque improvvisamente e non volli chiedergli più nulla. Dopo un po’ che il silenzio si era fatto ingombrante, ripresi a parlare:
-      E quindi cosa vuoi fare? Non possiamo sganciarci prima dalla costa?
-      Stiamo un po’ risalendo. Stiamo allungando... per questo ho paura di dovermi fermare prima di lasciare la costa per l’Atlantico. Però ho studiato la cartina e forse, se ti va, possiamo fare una sosta alle Azzorre. Sono circa millecinquecento chilometri da Lisbona e quasi quattromila dagli Stati Uniti. Dovremmo farcela prima che l’uragano arrivi da quelle parti. Ci fermiamo e quando è tutto tranquillo si riparte. Che ne dici?
-      E’ sicuro?
-      Gli uragani possono anche non rispettare le previsioni che l’uomo fa su di loro. Dovremo stare con le orecchie aperte, sentire tutti i bollettini e correggere la rotta per bene.
-      Ma non possiamo salire su dalla Spagna evitando la Costa della Morte?
-      Senti, ho accettato questo lavoro perchè ho bisogno di liberarmi di quel ricordo. Vuoi che mi ci ritrovi spiaccicato contro?
-      E tu vuoi andare incontro ad un uragano soltanto perchè non vuoi ammettere di avere sbagliato?
-      Chi cazzo ti dice che ho sbagliato io?
-      Senti, non ne veniamo fuori litigando. Facciamo una cosa. Vediamo qual è la probabilità maggiore di successo: Azzorre con l’uragano che ci aspetta a braccia aperte oppure Costa della Morte passando al largo. Studia entrambe le soluzioni e poi ne riparliamo.
-      Ho detto che verso la Costa della Morte non vado. Ti riporto a Spezia se vuoi.

Se ne andò giù lasciandomi seduto accanto al timone.
Mi alzai in piedi senza sapere bene cosa fare. Dovevo ancora andare diritto? Porca miseria! In che situazione mi ero cacciato! Io che riuscivo a guidare il mio gruppo di uomini instancabilmente verso la meta e che ero portato ad esempio in tutta l’azienda come il “Capitano”, il capo che tutti avrebbero voluto, mi trovavo ora a non sapere come gestire la situazione, senza le competenze necessarie per arrangiarmi da solo.

In fondo cosa rischiavo? Rischiavo di morire, ma questo io l’avevo già messo in conto, no? Chi affronta un viaggio di questa portata con uno sconosciuto che sembra Corto Maltese e si chiama Tuod di certo non può sperare di arrivare bello pulito e pettinato in fondo al viaggio senza nemmeno una cicatrice.
-      Dai Tuod, vieni su. Si va verso le Azzorre. Come hai detto che si chiama quel posto?
(continua)

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