lunedì 7 novembre 2011

Notte sui Navigli - Capitolo 5


Ludovica ci pensò un attimo, non tanto perchè non le piacesse la proposta, ma perchè le era balenata un’idea in testa. Quindi chiese a Elettra:
-         Ci stai a seguire le mie indicazioni, senza chiedere nulla?
-         Mah... non saprei... – rise Elettra. – Dài, va bene... guidami tu...

Ludovica si orientò un attimo e poi iniziò ad indicare a Elettra la strada.
Elettra accese la radio e inserì un CD, abbassando un po’ il volume.
-         Che ne pensi di quei due, Lu?
-         Non so – disse Ludovica – Molto affascinanti, entrambi. Ma non saprei davvero come collocarli nella nostra vita, se non nella sfera lavorativa.
-         Dici?

Ludovica fece un attimo di pausa, quasi per raccogliere le parole giuste per esprimere il suo pensiero. Parlare le costava fatica, ma sentiva che sarebbe valsa la pena di fare quello sforzo.
-         Lo so... io stavo quasi baciando Manuel, e tu eri presissima da Stefano. Mi sono accorta di quanto ci siate rimasti male quando vi ho chiamato... Eppure dobbiamo stare con i piedi per terra. Storie fini a se stesse non portano a nulla. Puoi andarci a letto, goderti quelle ore di puro sesso, ma poi cosa ti resta dentro? Non siamo più da sole come quando avevamo quindici o vent’anni... Abbiamo vissuto una serata da adolescenti, ma non lo siamo più... prima o poi dovremo rendercene conto...
-         Vero...
-         C’è da dire che a “loro” basta...
-         “Loro” chi? Manuel e Stefano? E “Cosa basta”? Oh, sei ancora brilla? – chiese curiosa Elettra, sorridendo.
-         No, era un “loro” generico... – disse Ludovica e spiegò - gli uomini ed il loro rapporto con il sesso...


Ludovica guardò fuori il finestrino. La strada era piena di prostitute e macchine ferme al bordo della strada a contrattare il prezzo del sesso.
-         A volte penso che li invidio gli uomini: potersi “assentare” dalla vita e tornarci come se nulla fosse successo. Io... io non ce la farei, non potrei mai andare a letto con qualcuno e poi fare finta di nulla, rientrare a casa a fare la brava madre di famiglia con un peso così... se non altro perchè se lo faccio è perchè provo qualcosa ed io non riesco a fingere con gli occhi...
-         Hai mai tradito? – chiese Elettra.
-         ...Ma poi in fondo mi dico che è meglio così... – continuò Ludovica ignorando la domanda di Elettra e seguendo il filo dei suoi pensieri - ...cioè il sesso senza qualcosa in più è solo vuoto, non ti riempie, non ti lascia nulla se non odori, profumi, la sensazione della pelle... insomma che te ne fai? Queste cose non ti scaldano quando hai freddo dentro, davvero...
-         Hai mai tradito?
-         Gira! Accidenti, scusa...
-         Figurati, aspetta, torno indietro...
-         Guarda che cielo pazzesco stasera!!!

Elettra non tornò più sulla sua domanda. Era evidente che Ludovica non amasse quell’argomento. Così riprese la conversazione da un altro capo:
-         Che dici, li chiamiamo noi?
-         Manuel e Stefano?
-         Sì.
-         Vorresti chiamarli adesso?
-         No, intendo dire domani, o dopo...
-         Chiamarli per la storia della sceneggiatura?
-         Eh... magari non solo...
-         Per la sceneggiatura sì. Intendo andare in fondo e vedere se era solo una balla per cuccarci. – spiegò Ludovica quasi risentita della possibilità di aver ragione.
-         Non penso... non hai sentito prima cosa dicevano?
-         Mm... sarà, però io non ci credo finchè non vedo... Gira qui, ora, a destra...
-         Ma questa non è la strada per Lissone?
-         AhAh, beccata!

Elettra premette sull’acceleratore, ignorando la domanda di Ludovica, che le chiedeva se non le sembrava di andare un po’ forte. Quindi iniziarono a canticchiare, ricordando un po’ la serata appena passata e ridendo ancora di come Elettra aveva sorpreso tutti con la sua uscita da Sommelier. Tra una musica ed un’altra si scambiarono un po’ di confidenze su ciò che si erano raccontati quando erano usciti dal locale in coppia, forse tenendosi troppo a distanza da quello che realmente provavano, come fosse un tabù parlarne tra di loro o un gentlemen agreement da rispettare, immaginando e tacendo.

Arrivarono a Lecco dopo circa tre quarti d’ora. La strada a quell’ora era sgombra dal traffico solito. Ludovica guidò Elettra fino al Lungolario, dove lasciarono la macchina.

La sera era davvero eccezionale. Un fresco venticello scompigliava i loro capelli, a volte incrociandoli tra loro, tanto camminavano l’una vicino all’altra in silenzio. Passo dopo passo, lo spettacolo della volta celeste piena di stelle si insinuava nelle pieghe delle loro emozioni. Elettra si staccò e si sedette su una panchina, facendo poi segno a Ludovica di raggiungerla.

Si accesero una sigaretta e una piccola nebbia avvolse le loro confidenze. Non erano mai state vicine come quella sera.
-         Allora, dimmi, come mai lo conosci così bene questo posto? – chiese Elettra.
-         Erano i primi tempi che ero a Milano. Avevo un amico con il quale spesso uscivo la sera. Non c’era nulla tra di noi, ma ogni tanto mi passava a prendere e andavamo in giro in macchina a esplorare luoghi di Milano e dintorni. Qui però ci venivamo spesso, perchè a entrambi mancava il mare e questo posto, in qualche modo, ci colmava quella nostalgia.

Elettra lasciò a Ludovica il tempo di recuperare quel suo passato e poi chiese:
-         Che fine ha fatto?
-         Il mio amico? Boh... l’ho perso di vista un po’ di tempo fa, più di quindici anni fa. Non l’ho più sentito.
-         Devo dire che lo spettacolo è davvero particolare...
-         Sì, ma è ancora più bello d’inverno, quando il vento ti corrode le guance, il freddo ti penetra giù nel petto e ti fa male fino a scoppiare. Io adoro il mare d’inverno, quella tempesta ghiacciata, quelle onde in movimento che ti tengono vivo. Sono così... ho sempre bisogno di qualcosa che mi occupi il cuore...
-         Manuel?
-         Può darsi...

Fu Ludovica adesso a prendersi una pausa. Doveva raccogliere le idee, radunare i sentimenti e capirci qualcosa di quello che aveva provato quella sera:
-         Di solito cerco di fare in modo che non sia l’amore ad occuparmi la testa ed il tempo... perchè prima o poi capita che soffri... Preferisco dedicarmi alle mie passioni...
-         Tipo scrivere?
-         Sì, qualcosa del genere.
-         Intuivo che avevi un rapporto particolare con la scrittura...
-         E’ vero. E’ il mio modo di sognare esperienze diverse, di vivere una vita che vorrei in contrasto con quella che vivo, di immaginare conclusioni diverse a storie quotidiane. E’ il mio modo per caricarmi le giornate, crearmi le speranze. E’ il mio modo di tirar fuori quel “non-so-che” che mi strugge sempre dentro... quello “spleen”, lo chiamo io... che ho sempre avuto e che in certi momenti è talmente forte che esplode nei nervi... Prima lo sfogavo andando in giro... era uno dei modi per prendermi la mia libertà...

Un piccolo gabbiano atterrò sul lungolago e Elettra e Ludovica si fermarono a guardarlo un po’ intontite tra sonno e emozioni.
-         Ti manca quel periodo? Quel periodo del quale mi parlavi? – chiese Elettra.
-         Non saprei dirtelo. Da un lato era bellissimo: ero da sola, potevo decidere quello che volevo, dove andare, con chi stare, cosa fare. Nessuno mi vincolava. Era la prima esperienza fuori casa ed è stata... è stata uno sballo, davvero, a conti fatti. Mi sentivo finalmente libera. Tutte quelle notti passate da adolescente a riempirmi la bocca di libertà sembravano essersi all’improvviso cristallizzate nella realtà. Dall’altra però ero sola. E a volte la solitudine era difficile. Passavo intere domeniche a piangere, sul letto, in un bilocale di quaranticinque metri quadri dove se aprivi la finestra guardavi un garage. Non c’era nessuno, e questo era l’altro lato della mia libertà. Dovevo farmi forza da sola, schiaffeggiarmi, dirmi che ero una stupida a piangere così inutilmente. Avevo qualcosa dentro che ogni tanto ritrovo in me, quello “spleen” del quale ti parlavo, quel qualcosa che ti porta a non accontentarti mai e poi mai, che ti porta a fissarti un altro obiettivo appena ne hai raggiunto uno, solo perchè non puoi stare sola con te stessa e devi per forza avere qualcosa al quale pensare... E quando lo ritrovo è devastante... Dici che la gente cambia, ma secondo me io non sono mai cambiata. Sono ancora quella che ricerca la libertà, che insegue sogni impossibili, si fa dei cinema inutili per poi ritrovarsi con il culo a terra a piangere da sola.
-         Anche per me, più o meno è così...
-         Allora scrivo... e butto fuori tutto...
-         Sembra quasi che tu stia parlando di me, per certi versi...
-         Io non riesco a parlare alle persone. E’ la cosa più difficile da fare. Molti mi rimproverano di parlare a bassa voce, ma in realtà è che io non amo parlare. Preferisco restare nei miei lunghi silenzi, disegnando o scrivendo quello che penso. Sono un’asociale da quando ero piccola. Me ne rendo conto...
-         Non sembra, però...
-         So che dal di fuori può sembrare diverso, ma cerco di evitare il contatto con gli altri, quando posso. Non riesco a parlare. Dammi da scrivere e ti racconto quello che vuoi, ma non chiedermi di aprire bocca...
-         Siamo più simili di quello che sembra...
-         Già... – disse Ludovica e sorrise a Elettra.

Rimasero così, sigaretta dopo sigaretta, a godersi le stelle, in silenzio, ciascuna con la propria dose di parole pensate. Dopo circa una mezz’ora ripresero l’auto. Elettra era un po’ stanca e consegnò le chiavi a Ludovica, che girovagò un po’ per una Lecco illuminata e poco trafficata ed alla fine voltò verso Milano.

Appena arrivate in città si fermarono ad una stazione di servizio a fare benzina.
-         Yawn... come si dice nei fumetti... – fece Elettra stiracchiandosi.
-         Stanca?
-         Mah... no, nemmeno più di tanto, però ho fame. Dài, facciamo colazione...

Entrarono nel bar e si guardarono in faccia ridendo come due ragazzine, appena scoprirono che era il classico bar da camionisti. Si avviarono verso il bancone con aria superiore, fingendosi di quelle che hanno la “puzza sotto il naso” e questo le fece molto divertire. Furono squadrate da quattordici occhi vibranti di desiderio, ma  finsero di non curarsene, mentre sottovoce si indicavano a vicenda le facce bavose degli avventori. Si sedettero in un tavolino un po’ appartato, con due cappucci e due briosche e tornarono in silenzio ad osservare le macchine sulla superstrada, che iniziavano a entrare a Milano, con a bordo carichi di pendolari.

Presto ripartirono. Ludovica si portò a casa e sotto il portone cedette le chiavi dell’auto a Elettra.
-         Volevo dirti “Buonanotte”... ma mi sa che non si può più... sta sorgendo il sole – disse Ludovica e scoppiò a ridere. - Devo dire che è stata davvero una bella nottata...
-         Anche per me... ti ho scoperta un po’ di più di quanto non fosse avvenuto fino ad ora...
-         Mi riferivo a questo, sai? – le sorrise Ludovica. – Ma che facciamo con quei due? Telefoniamo magari tra un paio di giorni?
-         Sì... vediamo se si fanno vivi. Facciamo una volta tanto le preziose...– rispose Elettra.
-         Assolutamente d’accordo... buona giornata...
-         Ne abbiamo bisogno...

Ludovica prese le chiavi dalla borsa ed entrò in casa.
Tutto era immobile intorno a lei, ma sembrava un’immobilità fragile.
Qualcosa di veramente potente si era smosso in lei quella notte e la sensazione più forte che sentiva in sé era la paura.

Guardò l’orologio. Aveva tempo, prima di doversi fare una doccia per andare al lavoro: quindi, aprì il computer e iniziò a scrivere.

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