Ludovica ci pensò un attimo, non tanto perchè non le
piacesse la proposta, ma perchè le era balenata un’idea in testa. Quindi chiese
a Elettra:
-
Ci stai a seguire le mie indicazioni, senza
chiedere nulla?
-
Mah... non saprei... – rise Elettra. – Dài, va
bene... guidami tu...
Ludovica si orientò un attimo
e poi iniziò ad indicare a Elettra la strada.
Elettra accese la radio e
inserì un CD, abbassando un po’ il volume.
-
Che ne pensi di quei due, Lu?
-
Non so – disse Ludovica – Molto affascinanti, entrambi.
Ma non saprei davvero come collocarli nella nostra vita, se non nella sfera
lavorativa.
-
Dici?
Ludovica fece un attimo di
pausa, quasi per raccogliere le parole giuste per esprimere il suo pensiero.
Parlare le costava fatica, ma sentiva che sarebbe valsa la pena di fare quello
sforzo.
-
Lo so... io stavo quasi baciando Manuel, e tu
eri presissima da Stefano. Mi sono accorta di quanto ci siate rimasti male
quando vi ho chiamato... Eppure dobbiamo stare con i piedi per terra. Storie
fini a se stesse non portano a nulla. Puoi andarci a letto, goderti quelle ore
di puro sesso, ma poi cosa ti resta dentro? Non siamo più da sole come quando
avevamo quindici o vent’anni... Abbiamo vissuto una serata da adolescenti, ma
non lo siamo più... prima o poi dovremo rendercene conto...
-
Vero...
-
C’è da dire che a “loro” basta...
-
“Loro” chi? Manuel e Stefano? E “Cosa basta”? Oh,
sei ancora brilla? – chiese curiosa Elettra, sorridendo.
-
No, era un “loro” generico... – disse Ludovica e
spiegò - gli uomini ed il loro rapporto con il sesso...
Ludovica guardò fuori il
finestrino. La strada era piena di prostitute e macchine ferme al bordo della
strada a contrattare il prezzo del sesso.
-
A volte penso che li invidio gli uomini: potersi
“assentare” dalla vita e tornarci come se nulla fosse successo. Io... io non ce
la farei, non potrei mai andare a letto con qualcuno e poi fare finta di nulla,
rientrare a casa a fare la brava madre di famiglia con un peso così... se non
altro perchè se lo faccio è perchè provo qualcosa ed io non riesco a fingere
con gli occhi...
-
Hai mai tradito? – chiese Elettra.
-
...Ma poi in fondo mi dico che è meglio così... –
continuò Ludovica ignorando la domanda di Elettra e seguendo il filo dei suoi
pensieri - ...cioè il sesso senza qualcosa in più è solo vuoto, non ti riempie,
non ti lascia nulla se non odori, profumi, la sensazione della pelle... insomma
che te ne fai? Queste cose non ti scaldano quando hai freddo dentro, davvero...
-
Hai mai tradito?
-
Gira! Accidenti, scusa...
-
Figurati, aspetta, torno indietro...
-
Guarda che cielo pazzesco stasera!!!
Elettra non tornò più sulla
sua domanda. Era evidente che Ludovica non amasse quell’argomento. Così riprese
la conversazione da un altro capo:
-
Che dici, li chiamiamo noi?
-
Manuel e Stefano?
-
Sì.
-
Vorresti chiamarli adesso?
-
No, intendo dire domani, o dopo...
-
Chiamarli per la storia della sceneggiatura?
-
Eh... magari non solo...
-
Per la sceneggiatura sì. Intendo andare in fondo
e vedere se era solo una balla per cuccarci. – spiegò Ludovica quasi risentita
della possibilità di aver ragione.
-
Non penso... non hai sentito prima cosa
dicevano?
-
Mm... sarà, però io non ci credo finchè non
vedo... Gira qui, ora, a destra...
-
Ma questa non è la strada per Lissone?
-
AhAh, beccata!
Elettra premette
sull’acceleratore, ignorando la domanda di Ludovica, che le chiedeva se non le
sembrava di andare un po’ forte. Quindi iniziarono a canticchiare, ricordando
un po’ la serata appena passata e ridendo ancora di come Elettra aveva sorpreso
tutti con la sua uscita da Sommelier. Tra una musica ed un’altra si scambiarono
un po’ di confidenze su ciò che si erano raccontati quando erano usciti dal
locale in coppia, forse tenendosi troppo a distanza da quello che realmente
provavano, come fosse un tabù parlarne tra di loro o un gentlemen agreement da
rispettare, immaginando e tacendo.
Arrivarono a Lecco dopo circa
tre quarti d’ora. La strada a quell’ora era sgombra dal traffico solito.
Ludovica guidò Elettra fino al Lungolario, dove lasciarono la macchina.
La sera era davvero
eccezionale. Un fresco venticello scompigliava i loro capelli, a volte
incrociandoli tra loro, tanto camminavano l’una vicino all’altra in silenzio.
Passo dopo passo, lo spettacolo della volta celeste piena di stelle si
insinuava nelle pieghe delle loro emozioni. Elettra si staccò e si sedette su
una panchina, facendo poi segno a Ludovica di raggiungerla.
Si accesero una sigaretta e
una piccola nebbia avvolse le loro confidenze. Non erano mai state vicine come
quella sera.
-
Allora, dimmi, come mai lo conosci così bene
questo posto? – chiese Elettra.
-
Erano i primi tempi che ero a Milano. Avevo un
amico con il quale spesso uscivo la sera. Non c’era nulla tra di noi, ma ogni
tanto mi passava a prendere e andavamo in giro in macchina a esplorare luoghi
di Milano e dintorni. Qui però ci venivamo spesso, perchè a entrambi mancava il
mare e questo posto, in qualche modo, ci colmava quella nostalgia.
Elettra lasciò a Ludovica il
tempo di recuperare quel suo passato e poi chiese:
-
Che fine ha fatto?
-
Il mio amico? Boh... l’ho perso di vista un po’
di tempo fa, più di quindici anni fa. Non l’ho più sentito.
-
Devo dire che lo spettacolo è davvero
particolare...
-
Sì, ma è ancora più bello d’inverno, quando il
vento ti corrode le guance, il freddo ti penetra giù nel petto e ti fa male
fino a scoppiare. Io adoro il mare d’inverno, quella tempesta ghiacciata,
quelle onde in movimento che ti tengono vivo. Sono così... ho sempre bisogno di
qualcosa che mi occupi il cuore...
-
Manuel?
-
Può darsi...
Fu Ludovica adesso a prendersi
una pausa. Doveva raccogliere le idee, radunare i sentimenti e capirci qualcosa
di quello che aveva provato quella sera:
-
Di solito cerco di fare in modo che non sia l’amore
ad occuparmi la testa ed il tempo... perchè prima o poi capita che soffri...
Preferisco dedicarmi alle mie passioni...
-
Tipo scrivere?
-
Sì, qualcosa del genere.
-
Intuivo che avevi un rapporto particolare con la
scrittura...
-
E’ vero. E’ il mio modo di sognare esperienze
diverse, di vivere una vita che vorrei in contrasto con quella che vivo, di
immaginare conclusioni diverse a storie quotidiane. E’ il mio modo per
caricarmi le giornate, crearmi le speranze. E’ il mio modo di tirar fuori quel
“non-so-che” che mi strugge sempre dentro... quello “spleen”, lo chiamo io... che
ho sempre avuto e che in certi momenti è talmente forte che esplode nei
nervi... Prima lo sfogavo andando in giro... era uno dei modi per prendermi la
mia libertà...
Un piccolo gabbiano atterrò
sul lungolago e Elettra e Ludovica si fermarono a guardarlo un po’ intontite
tra sonno e emozioni.
-
Ti manca quel periodo? Quel periodo del quale mi
parlavi? – chiese Elettra.
-
Non saprei dirtelo. Da un lato era bellissimo:
ero da sola, potevo decidere quello che volevo, dove andare, con chi stare,
cosa fare. Nessuno mi vincolava. Era la prima esperienza fuori casa ed è
stata... è stata uno sballo, davvero, a conti fatti. Mi sentivo finalmente
libera. Tutte quelle notti passate da adolescente a riempirmi la bocca di
libertà sembravano essersi all’improvviso cristallizzate nella realtà.
Dall’altra però ero sola. E a volte la solitudine era difficile. Passavo intere
domeniche a piangere, sul letto, in un bilocale di quaranticinque metri quadri
dove se aprivi la finestra guardavi un garage. Non c’era nessuno, e questo era
l’altro lato della mia libertà. Dovevo farmi forza da sola, schiaffeggiarmi,
dirmi che ero una stupida a piangere così inutilmente. Avevo qualcosa dentro
che ogni tanto ritrovo in me, quello “spleen” del quale ti parlavo, quel
qualcosa che ti porta a non accontentarti mai e poi mai, che ti porta a
fissarti un altro obiettivo appena ne hai raggiunto uno, solo perchè non puoi
stare sola con te stessa e devi per forza avere qualcosa al quale pensare... E
quando lo ritrovo è devastante... Dici che la gente cambia, ma secondo me io
non sono mai cambiata. Sono ancora quella che ricerca la libertà, che insegue
sogni impossibili, si fa dei cinema inutili per poi ritrovarsi con il culo a
terra a piangere da sola.
-
Anche per me, più o meno è così...
-
Allora scrivo... e butto fuori tutto...
-
Sembra quasi che tu stia parlando di me, per
certi versi...
-
Io non riesco a parlare alle persone. E’ la cosa
più difficile da fare. Molti mi rimproverano di parlare a bassa voce, ma in
realtà è che io non amo parlare. Preferisco restare nei miei lunghi silenzi,
disegnando o scrivendo quello che penso. Sono un’asociale da quando ero
piccola. Me ne rendo conto...
-
Non sembra, però...
-
So che dal di fuori può sembrare diverso, ma
cerco di evitare il contatto con gli altri, quando posso. Non riesco a parlare.
Dammi da scrivere e ti racconto quello che vuoi, ma non chiedermi di aprire
bocca...
-
Siamo più simili di quello che sembra...
-
Già... – disse Ludovica e sorrise a Elettra.
Rimasero così, sigaretta dopo
sigaretta, a godersi le stelle, in silenzio, ciascuna con la propria dose di
parole pensate. Dopo circa una mezz’ora ripresero l’auto. Elettra era un po’
stanca e consegnò le chiavi a Ludovica, che girovagò un po’ per una Lecco
illuminata e poco trafficata ed alla fine voltò verso Milano.
Appena arrivate in città si
fermarono ad una stazione di servizio a fare benzina.
-
Yawn... come si dice nei fumetti... – fece
Elettra stiracchiandosi.
-
Stanca?
-
Mah... no, nemmeno più di tanto, però ho fame.
Dài, facciamo colazione...
Entrarono nel bar e si
guardarono in faccia ridendo come due ragazzine, appena scoprirono che era il
classico bar da camionisti. Si avviarono verso il bancone con aria superiore,
fingendosi di quelle che hanno la “puzza sotto il naso” e questo le fece molto
divertire. Furono squadrate da quattordici occhi vibranti di desiderio, ma finsero di non curarsene, mentre sottovoce si
indicavano a vicenda le facce bavose degli avventori. Si sedettero in un
tavolino un po’ appartato, con due cappucci e due briosche e tornarono in silenzio
ad osservare le macchine sulla superstrada, che iniziavano a entrare a Milano, con
a bordo carichi di pendolari.
Presto ripartirono. Ludovica
si portò a casa e sotto il portone cedette le chiavi dell’auto a Elettra.
-
Volevo dirti “Buonanotte”... ma mi sa che non si
può più... sta sorgendo il sole – disse Ludovica e scoppiò a ridere. - Devo
dire che è stata davvero una bella nottata...
-
Anche per me... ti ho scoperta un po’ di più di
quanto non fosse avvenuto fino ad ora...
-
Mi riferivo a questo, sai? – le sorrise
Ludovica. – Ma che facciamo con quei due? Telefoniamo magari tra un paio di
giorni?
-
Sì... vediamo se si fanno vivi. Facciamo una
volta tanto le preziose...– rispose Elettra.
-
Assolutamente d’accordo... buona giornata...
-
Ne abbiamo bisogno...
Ludovica prese le chiavi dalla
borsa ed entrò in casa.
Tutto era immobile intorno a
lei, ma sembrava un’immobilità fragile.
Qualcosa di veramente potente
si era smosso in lei quella notte e la sensazione più forte che sentiva in sé
era la paura.
Guardò l’orologio. Aveva tempo,
prima di doversi fare una doccia per andare al lavoro: quindi, aprì il computer
e iniziò a scrivere.
Che notte piena di emozioni!
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