domenica 8 aprile 2012

Il dono di Iemanjà - Epilogo


Il sole era alto nel cielo. La spiaggia era rimasta quasi desolata dopo la notte dei festeggiamenti del Capodanno. La musica aveva lasciato posto al ritmico infrangersi delle onde sulla battigia, il buio della notte si era arreso ai colori accecanti del giorno.

Viola era seduta sulla duna più alta, sola, con le gambe attaccate al petto e le braccia che le tiravano ancora di più verso sé. Era chiusa nel suo dolore di sempre, in compagnia dei rimorsi che le corrodevano la coscienza ancor più che in passato, dopo che Didi le aveva rinfacciato di non averle mai confessato nulla di ciò che sapeva. Aveva pianto da quando lei se n’era andata. Non aveva avuto il coraggio di fermarla, stretta nella sua colpa che la inchiodava a terra e più in giù, nel profondo del suo cuore. Aveva le labbra ferite per i morsi, il vento ed il sale che quasi la stavano corrodendo come una roccia erosa dal mare, ma restava lì, con lo sguardo perso nel vuoto e l’animo che vagava tra il presente ed il passato.

Aveva deciso di confessare tutto a Didi. Lei l’avrebbe capita. L’aspettava lì, nel punto più alto da dove l’avrebbe vista tornare.

Lizge la vide e si fece coraggio. Viola la vide arrivare da lontano. Era la seconda volta che saliva sulla duna. Lizge non aveva idea di cosa fosse accaduto tra le due amiche, ma la feriva vedere Viola così disperata. La prima volta che l’aveva raggiunta, aveva cercato di consolarla, di riportarla giù per mangiare qualcosa e riposare. Viola si preparava a ripeterle, con calma, che finchè Didi non fosse tornata, lei non si sarebbe mossa.

«Viola, devi venire giù con me.» le disse Lizge appena le fu accanto.
«Lizge, sei un angelo, ma io non posso muovermi, finchè Didi non torna. Devo parlarle, devo aspettarla qui.»
«Viola, devi venire giù con me, mi spiace.» Lizge abbracciò Viola forte e continuò: «Didi non tornerà...»
«Perchè? Se n’è andata? Non l’ho vista, Dio mio! Non mi sarò mica addormentata senza accorgermene e non l’ho vista?» le disse Viola, mentre i suoi occhi iniziavano a riempirsi di terrore ed il suo cervello si metteva in allarme, certo che qualcosa di più grave fosse successo a Didi.
«Didi... Didi è morta. Mi spiace.»
Viola scoppiò a piangere di tutte le lacrime che ancora le restavano in corpo, accasciandosi tra le braccia di Lizge. Lizge le spiegò:
«Pedra Furada. E’ entrata in mare e non l’hanno potuta salvare. C’erano due turisti nascosti dietro la pietra. L’hanno vista entrare, nuotare e non è più uscita. Hanno provato a chiamare i soccorsi, è uscita anche una barca, ma Didi non c’era più.»

Lizge si interruppe un attimo, e poi carezzando i capelli di Viola continuò: «So che avevate litigato, l’ho capito. Non so perchè, non mi interessa. Ma tu non devi sentirti in colpa, qualunque cosa sia successa tra di voi. Didi era così, aveva “un’anima nera” che portava dentro di sé da sempre, almeno da quando la conosco. Ha prevalso quella, oggi, e se l’è portata con sé.»
«Oh Lizge, è colpa mia, solo colpa mia...»
«Viola, ognuno sceglie il suo destino. Le difficoltà, per quanto impervie, devono essere sempre scalate. Gli animi forti sanno affrontarle, come te, sanno conviverci, sanno tenerle a bada e superarle. “Superarle”, non “dimenticarle”, bada bene. Gli animi deboli se ne lasciano sopraffare e non è colpa di nessuno se questo succede.»

Viola alzò la testa e guardò in direzione di Pedra Furada. Gli occhi lucidi si fissarono su un punto del mare e iniziò a raccontare.

«Avevo otto anni. Ero nella mia cameretta a giocare con le mie bambole. Era una domenica. Avevo finito i compiti e mia mamma era uscita per andare a trovare mia nonna. Mio padre entrò in camera, si sedette sul letto e cominciò a giocare con me e con le mie bambole. Dopo un po’ mi disse di spogliarle, perchè era curioso di sapere come fossero fatte sotto i vestiti. E quando io le spogliai, lui le prese e iniziò a sfiorarle con le sue dita.»

Viola si fermò e guardò Lizge che aveva assunto un’espressione tra lo stupore del racconto e l’orrore di ciò che immaginava Viola stava per confessarle. Quindi continuò: «Poi mi disse: “Adesso spogliati tu... vediamo se sei uguale e se non sei uguale, allora paghi un pegno”. Io non capivo quel gioco, ma mio papà mi fece l’occhiolino ed io pensai che forse era colpa mia se non lo capivo. Così mi tolsi la maglietta ed il pantalone. Lui mi disse: “No, le tue bambole non hanno la canotta e le mutandine. Devi togliere anche quelle, sennò paghi un pegno.” Ed io lo feci e mi vergognai terribilmente, perchè ero un po’ precoce, avevo i seni che iniziavano a gonfiarsi un po’. Lui rise e disse: “Vedi, avevo ragione che non sei così come loro... vediamo un po’”. E iniziò a toccarmi e nell’istante in cui mi sfiorò io sentii che non erano le solite carezze che mi aveva dedicato fino ad allora. Era qualcosa di più, qualcosa di sporco. Mi sentivo così, sporca e colpevole, perchè avrei dovuto dirgli di no, ma ero io... ero io che in fondo non capivo il suo gioco.»

Lizge l’abbracciò. Non sarebbe stato necessario continuare oltre, perchè Lizge ebbe un’intuizione di quale fosse il segreto che stava dietro la violenta litigata con Didi e preferiva che Viola non le raccontasse altro. Le interessava solo stare affianco a Viola e sorreggerla in quel momento così difficile. Ma Viola aveva iniziato un percorso di liberazione dal suo orrore che per anni l’aveva trascinata per le strade, costretta a vendere il suo corpo a uomini, che comunque riteneva migliori di suo padre.

«Quella volta mi toccò soltanto. Mi toccò i seni e mi sfiorò il pube, ma non fece altro. Mi disse di rivestirmi, mi disse che presto avremmo fatto un altro gioco simile e mi chiese se fossi stata contenta di come mi aveva toccato. Gli avevo risposto di “Sì”, perchè nonostante fossi certa che quel gioco non fosse come altri, io non volevo deluderlo. Mi disse di non parlarne con mia madre, perchè lei quel gioco non lo aveva mai capito e mi avrebbe punito seriamente. Continuò per quattro anni, e lo fece anche con Paulo – Didi, perchè è così che si chiamava allora – ed io non ebbi mai il coraggio di dire nulla, nè a mia madre, nè a Didi stessa. Didi non ricordava nulla, l’ha scoperto soltanto stanotte. Io sì, ma non ho mai avuto il coraggio di dirglielo, perchè mi illudevo che lei fosse più fortunata di me e avesse rimosso completamente quelle notti. In realtà non era così... a lei, quel ricordo ha trasformato anche il corpo, oltre che la mente, e ancora la ossessionava. A me ha rovinato una vita. Mio padre andò via di casa quando avevo dodici anni. Mia madre ha continuato a parlarmene sempre, mi diceva che lo aveva lasciato perchè continuava a frequentare prostitute in un privé vicino casa, che era un pervertito. Forse nemmeno lei sa quello che succedeva nella mia camera, quando lei non era a casa. Ed io... io ho giurato di vendicarmi. Ho incominciato a prostituirmi, con il solo scopo di incontrarlo. Frequentavo quel privé tutte le sere, senza tregua. Ero convinta che lui non mi avrebbe potuta riconoscere, perchè ero una bambina quando se n’era andato. Io... io avevo quella cicatrice a forma di croce stampata nei miei occhi, quella che mi tormentava la vista quando lui saliva sul mio corpo. L’avrei riconosciuto ovunque e l’avrei punito per ciò che ci aveva fatto... E qualche giorno fa l’ho incontrato. E’ per questo che Didi mi ha portata via.»

«L’hai denunciato?» chiese Lizge.

«Molto di più. Ma questa non è una storia interessante. Speravo di riuscire a dimenticarlo qui, tra queste spiagge meravigliose, lontano dalla puzza di marcio nel quale ho vissuto tutti questi anni, andando a letto con uomini che sapevano di povertà, bastardi che si comprano il tuo corpo per qualche ora per farci i loro porci comodi, che ti prendono e ti lasciano come se fossi un oggetto vuoto che vogliono riempire del loro orgoglio. Mi facevo schifo ogni volta che mi guardavo nello specchio, e resistevo ogni giorno, svegliandomi ogni mattina con la sola speranza di poter incontrare mio padre e vendicarmi di lui, per quello che aveva fatto a me e a Didi. E adesso io mi sono finalmente liberata del mio incubo, ma davvero non potevo immaginare che il prezzo da pagare fosse Didi, la mia Didi... Oh mio Dio... è tutta colpa mia, anche questo è colpa mia... se solo avessi saputo fermare mio padre allora... se solo l’avessi fermata invece di ostinarmi ad aspettarla qui... tutto questo non sarebbe successo...»

Viola scoppiò in un pianto a dirotto e Lizge la prese verso di sé, cercando di consolarla con parole che non conosceva, perchè la sua vita era stata diversa, se non altro “pulita” da quel lordume che Viola le aveva confessato. «Viola, non è colpa tua. Non è colpa tua se Didi è morta, cerca di capirlo. Vieni con me...»

Lizge non fece molta fatica ad alzare il corpo di Viola ridotto a un cencio e a trascinarlo a casa. Nei giorni seguenti Viola rimase sempre in casa, dormicchiando sull’amaca fuori o seduta sulla veranda a guardare qualche punto indistinto nel cielo. Passava fuori anche la notte, seduta sull’erba, alla ricerca di stelle che illuminassero, seppur con una fioca luce, il buio pesto che ora affossava la sua anima.

***

Era luglio, erano passati molti mesi dalla morte di Didi, ma Viola era ancora a Jeri. Gianluca e Lizge si erano offerti di ospitarla per un po’, finchè il suo dolore non si fosse acquietato. Gianluca aveva piantato una croce bianca sulla roccia della Pedra Furada e Viola si recava lì ogni giorno, trascorrendo molte ore a guardare il mare.

Gianluca e Lizge avevano sempre rispettato il suo dolore e non avevano mai disturbato il suo colloquio silenzioso con Didi. Perciò Viola si stupì, appena prima del tramonto, nel vedere la donna che giungeva a piedi da lontano, e scese giù dalla roccia, andandosi a sedere sulla sabbia, intanto che Lizge arrivava.

Lizge si sedette affianco a lei e rimasero per molto tempo silenziose. Poi Lizge guardò Viola e si decise a parlarle:
«Cosa pensi di fare, Viola? Devi tornare alla vita, non puoi abbandonarti in questo modo...»
«Non lo so. Ho paura. Ho sbagliato tutte le scelte della mia vita fino ad ora. Non saprei nemmeno da dove cominciare e non ho nemmeno Didi con me... Non riesco a trovare una strada...»
«Ecco Viola... io e Gianluca volevamo ampliare la nostra Pousada, ma non ce la faremmo da soli io e lui. Io... ecco, io... sono incinta Viola, e non posso aiutare Gianluca più di tanto. Potresti fermarti qui da noi... per sempre o per quanto vorrai... se vorrai... »

Viola l’abbracciò e Lizge sentì che una nuova speranza stava nascendo in lei, che finalmente aveva iniziato a staccarsi dal suo passato per incamminarsi verso il futuro. E proprio in quell’istante, il sole penetrò con i suoi raggi attraverso la Pedra, il mare si ritirò e sulla spiaggia Viola vide qualcosa di bianco e celeste, che faceva capolino tra la spuma delle onde. Si alzò e urlò a Lizge di seguirla. Il cuore le batteva fortissimo dentro il petto e le lacrime le scendevano sulle guance copiosamente. Si chinò e raccolse la collana di perle, sentendo dentro di sé la certezza che appartenesse a Didi.

Iemanjà non aveva potuto restituirle il corpo dell’amica, ma le stava donando una speranza.

Viola guardò Lizge e sorrise.

Lizge ricambiò il sorriso, la prese per mano e incamminandosi verso casa, le sussurrò: «E’ un maschio. Si chiamerà Paulo.» 


Pedra Furada
Jericoacoara, Brasile

1 commento:

  1. White Peacock, Snowflake COMPLIMENTI!
    I vostri due stili si contemperano in maniera veramente efficace; per chi è appassionato d'arte ricordano un Caravaggio ed un Botticelli, con momenti di contrapposizione ma sempre di...alta maestria. Grazie.
    Gabriele

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