Il sole era alto nel cielo. La
spiaggia era rimasta quasi desolata dopo la notte dei festeggiamenti del
Capodanno. La musica aveva lasciato posto al ritmico infrangersi delle onde
sulla battigia, il buio della notte si era arreso ai colori accecanti del
giorno.
Viola era seduta sulla duna più
alta, sola, con le gambe attaccate al petto e le braccia che le tiravano ancora
di più verso sé. Era chiusa nel suo dolore di sempre, in compagnia dei rimorsi
che le corrodevano la coscienza ancor più che in passato, dopo che Didi le
aveva rinfacciato di non averle mai confessato nulla di ciò che sapeva. Aveva
pianto da quando lei se n’era andata. Non aveva avuto il coraggio di fermarla,
stretta nella sua colpa che la inchiodava a terra e più in giù, nel profondo
del suo cuore. Aveva le labbra ferite per i morsi, il vento ed il sale che
quasi la stavano corrodendo come una roccia erosa dal mare, ma restava lì, con
lo sguardo perso nel vuoto e l’animo che vagava tra il presente ed il passato.
Aveva deciso di confessare tutto
a Didi. Lei l’avrebbe capita. L’aspettava lì, nel punto più alto da dove
l’avrebbe vista tornare.
Lizge la vide e si fece
coraggio. Viola la vide arrivare da lontano. Era la seconda volta che saliva
sulla duna. Lizge non aveva idea di cosa fosse accaduto tra le due amiche, ma
la feriva vedere Viola così disperata. La prima volta che l’aveva raggiunta,
aveva cercato di consolarla, di riportarla giù per mangiare qualcosa e
riposare. Viola si preparava a ripeterle, con calma, che finchè Didi non fosse
tornata, lei non si sarebbe mossa.
«Viola, devi venire giù con me.» le disse Lizge appena
le fu accanto.
«Lizge, sei un angelo, ma io non posso muovermi,
finchè Didi non torna. Devo parlarle, devo aspettarla qui.»
«Viola, devi venire giù con me, mi spiace.» Lizge
abbracciò Viola forte e continuò: «Didi non tornerà...»
«Perchè? Se n’è andata? Non l’ho vista, Dio mio! Non
mi sarò mica addormentata senza accorgermene e non l’ho vista?» le disse Viola,
mentre i suoi occhi iniziavano a riempirsi di terrore ed il suo cervello si
metteva in allarme, certo che qualcosa di più grave fosse successo a Didi.
«Didi... Didi è
morta. Mi spiace.»
«Pedra Furada. E’ entrata in mare e non l’hanno potuta
salvare. C’erano due turisti nascosti dietro la pietra. L’hanno vista entrare,
nuotare e non è più uscita. Hanno provato a chiamare i soccorsi, è uscita anche
una barca, ma Didi non c’era più.»
Lizge si interruppe un attimo, e poi carezzando i
capelli di Viola continuò: «So che avevate
litigato, l’ho capito. Non so perchè, non mi interessa. Ma tu non devi sentirti
in colpa, qualunque cosa sia successa tra di voi. Didi era così, aveva
“un’anima nera” che portava dentro di sé da sempre, almeno da quando la
conosco. Ha prevalso quella, oggi, e se l’è portata con sé.»
«Oh Lizge, è colpa mia, solo colpa mia...»
«Viola, ognuno sceglie il suo destino. Le difficoltà,
per quanto impervie, devono essere sempre scalate. Gli animi forti sanno
affrontarle, come te, sanno conviverci, sanno tenerle a bada e superarle. “Superarle”,
non “dimenticarle”, bada bene. Gli animi deboli se ne lasciano sopraffare e non
è colpa di nessuno se questo succede.»
Viola alzò la testa e guardò in
direzione di Pedra Furada. Gli occhi lucidi si fissarono su un punto del mare e
iniziò a raccontare.
«Avevo otto anni. Ero nella mia cameretta a giocare
con le mie bambole. Era una domenica. Avevo finito i compiti e mia mamma era
uscita per andare a trovare mia nonna. Mio padre entrò in camera, si sedette
sul letto e cominciò a giocare con me e con le mie bambole. Dopo un po’ mi
disse di spogliarle, perchè era curioso di sapere come fossero fatte sotto i
vestiti. E quando io le spogliai, lui le prese e iniziò a sfiorarle con le sue
dita.»
Viola si fermò e guardò Lizge
che aveva assunto un’espressione tra lo stupore del racconto e l’orrore di ciò
che immaginava Viola stava per confessarle. Quindi continuò: «Poi mi disse: “Adesso spogliati tu... vediamo se sei
uguale e se non sei uguale, allora paghi un pegno”. Io non capivo quel gioco,
ma mio papà mi fece l’occhiolino ed io pensai che forse era colpa mia se non lo
capivo. Così mi tolsi la maglietta ed il pantalone. Lui mi disse: “No, le tue
bambole non hanno la canotta e le mutandine. Devi togliere anche quelle, sennò
paghi un pegno.” Ed io lo feci e mi vergognai terribilmente, perchè ero un po’
precoce, avevo i seni che iniziavano a gonfiarsi un po’. Lui rise e disse:
“Vedi, avevo ragione che non sei così come loro... vediamo un po’”. E iniziò a
toccarmi e nell’istante in cui mi sfiorò io sentii che non erano le solite
carezze che mi aveva dedicato fino ad allora. Era qualcosa di più, qualcosa di
sporco. Mi sentivo così, sporca e colpevole, perchè avrei dovuto dirgli di no,
ma ero io... ero io che in fondo non capivo il suo gioco.»
Lizge l’abbracciò. Non sarebbe
stato necessario continuare oltre, perchè Lizge ebbe un’intuizione di quale
fosse il segreto che stava dietro la violenta litigata con Didi e preferiva che
Viola non le raccontasse altro. Le interessava solo stare affianco a Viola e
sorreggerla in quel momento così difficile. Ma Viola aveva iniziato un percorso
di liberazione dal suo orrore che per anni l’aveva trascinata per le strade,
costretta a vendere il suo corpo a uomini, che comunque riteneva migliori di
suo padre.
«Quella volta mi toccò soltanto. Mi toccò i seni e mi
sfiorò il pube, ma non fece altro. Mi disse di rivestirmi, mi disse che presto
avremmo fatto un altro gioco simile e mi chiese se fossi stata contenta di come
mi aveva toccato. Gli avevo risposto di “Sì”, perchè nonostante fossi certa che
quel gioco non fosse come altri, io non volevo deluderlo. Mi disse di non
parlarne con mia madre, perchè lei quel gioco non lo aveva mai capito e mi
avrebbe punito seriamente. Continuò per quattro anni, e lo fece anche con Paulo
– Didi, perchè è così che si chiamava allora – ed io non ebbi mai il coraggio
di dire nulla, nè a mia madre, nè a Didi stessa. Didi non ricordava nulla, l’ha
scoperto soltanto stanotte. Io sì, ma non ho mai avuto il coraggio di
dirglielo, perchè mi illudevo che lei fosse più fortunata di me e avesse
rimosso completamente quelle notti. In realtà non era così... a lei, quel
ricordo ha trasformato anche il corpo, oltre che la mente, e ancora la
ossessionava. A me ha rovinato una vita. Mio padre andò via di casa quando
avevo dodici anni. Mia madre ha continuato a parlarmene sempre, mi diceva che
lo aveva lasciato perchè continuava a frequentare prostitute in un privé vicino
casa, che era un pervertito. Forse nemmeno lei sa quello che succedeva nella
mia camera, quando lei non era a casa. Ed io... io ho giurato di vendicarmi. Ho
incominciato a prostituirmi, con il solo scopo di incontrarlo. Frequentavo quel
privé tutte le sere, senza tregua. Ero convinta che lui non mi avrebbe potuta
riconoscere, perchè ero una bambina quando se n’era andato. Io... io avevo
quella cicatrice a forma di croce stampata nei miei occhi, quella che mi
tormentava la vista quando lui saliva sul mio corpo. L’avrei riconosciuto
ovunque e l’avrei punito per ciò che ci aveva fatto... E qualche giorno fa l’ho
incontrato. E’ per questo che Didi mi ha portata via.»
«L’hai denunciato?» chiese Lizge.
«Molto di più. Ma questa non è una storia
interessante. Speravo di riuscire a dimenticarlo qui, tra queste spiagge
meravigliose, lontano dalla puzza di marcio nel quale ho vissuto tutti questi
anni, andando a letto con uomini che sapevano di povertà, bastardi che si
comprano il tuo corpo per qualche ora per farci i loro porci comodi, che ti
prendono e ti lasciano come se fossi un oggetto vuoto che vogliono riempire del
loro orgoglio. Mi facevo schifo ogni volta che mi guardavo nello specchio, e
resistevo ogni giorno, svegliandomi ogni mattina con la sola speranza di poter
incontrare mio padre e vendicarmi di lui, per quello che aveva fatto a me e a
Didi. E adesso io mi sono finalmente liberata del mio incubo, ma davvero non
potevo immaginare che il prezzo da pagare fosse Didi, la mia Didi... Oh mio
Dio... è tutta colpa mia, anche questo è colpa mia... se solo avessi saputo
fermare mio padre allora... se solo l’avessi fermata invece di ostinarmi ad
aspettarla qui... tutto questo non sarebbe successo...»
Viola scoppiò in un pianto a
dirotto e Lizge la prese verso di sé, cercando di consolarla con parole che non
conosceva, perchè la sua vita era stata diversa, se non altro “pulita” da quel
lordume che Viola le aveva confessato. «Viola, non è colpa
tua. Non è colpa tua se Didi è morta, cerca di capirlo. Vieni con me...»
Lizge non fece molta fatica ad
alzare il corpo di Viola ridotto a un cencio e a trascinarlo a casa. Nei giorni
seguenti Viola rimase sempre in casa, dormicchiando sull’amaca fuori o seduta
sulla veranda a guardare qualche punto indistinto nel cielo. Passava fuori
anche la notte, seduta sull’erba, alla ricerca di stelle che illuminassero,
seppur con una fioca luce, il buio pesto che ora affossava la sua anima.
***
Era luglio, erano passati molti
mesi dalla morte di Didi, ma Viola era ancora a Jeri. Gianluca e Lizge si erano
offerti di ospitarla per un po’, finchè il suo dolore non si fosse acquietato. Gianluca
aveva piantato una croce bianca sulla roccia della Pedra Furada e Viola si
recava lì ogni giorno, trascorrendo molte ore a guardare il mare.
Gianluca e Lizge avevano sempre
rispettato il suo dolore e non avevano mai disturbato il suo colloquio
silenzioso con Didi. Perciò Viola si stupì, appena prima del tramonto, nel
vedere la donna che giungeva a piedi da lontano, e scese giù dalla roccia,
andandosi a sedere sulla sabbia, intanto che Lizge arrivava.
Lizge si sedette affianco a lei
e rimasero per molto tempo silenziose. Poi Lizge guardò Viola e si decise a
parlarle:
«Cosa pensi di fare, Viola? Devi tornare alla vita,
non puoi abbandonarti in questo modo...»
«Non lo so. Ho paura. Ho sbagliato tutte le scelte
della mia vita fino ad ora. Non saprei nemmeno da dove cominciare e non ho
nemmeno Didi con me... Non riesco a trovare una strada...»
«Ecco Viola... io e Gianluca volevamo ampliare la
nostra Pousada, ma non ce la faremmo da soli io e lui. Io... ecco, io... sono
incinta Viola, e non posso aiutare Gianluca più di tanto. Potresti fermarti qui
da noi... per sempre o per quanto vorrai... se vorrai... »
Viola l’abbracciò e Lizge sentì
che una nuova speranza stava nascendo in lei, che finalmente aveva iniziato a
staccarsi dal suo passato per incamminarsi verso il futuro. E proprio in
quell’istante, il sole penetrò con i suoi raggi attraverso la Pedra, il mare si
ritirò e sulla spiaggia Viola vide qualcosa di bianco e celeste, che faceva
capolino tra la spuma delle onde. Si alzò e urlò a Lizge di seguirla. Il cuore
le batteva fortissimo dentro il petto e le lacrime le scendevano sulle guance
copiosamente. Si chinò e raccolse la collana di perle, sentendo dentro di sé la
certezza che appartenesse a Didi.
Iemanjà non aveva potuto
restituirle il corpo dell’amica, ma le stava donando una speranza.
Viola guardò Lizge e sorrise.
Lizge ricambiò il sorriso, la
prese per mano e incamminandosi verso casa, le sussurrò: «E’ un maschio. Si chiamerà Paulo.»
White Peacock, Snowflake COMPLIMENTI!
RispondiEliminaI vostri due stili si contemperano in maniera veramente efficace; per chi è appassionato d'arte ricordano un Caravaggio ed un Botticelli, con momenti di contrapposizione ma sempre di...alta maestria. Grazie.
Gabriele