sabato 7 aprile 2012

Il dono di Iemanjà - Capitolo 6

Didi era visibilmente turbata da quell’orribile ricordo che con la velocità di un lampo aveva illuminato la sua memoria. La voce di Viola che parlava tra sé a fior di labbra, inizialmente venne raccolta solo dal vento, rimanendo invisibile, come sospesa nel nulla. Poi qualcosa accadde e Didi soffermandosi come ipnotizzata sulle parole dell’amica, finalmente riuscì a dare un senso a ciò che aveva sentito.

“ Tu lo sapevi, l’hai sempre saputo! Come hai potuto tacere per tutto questo tempo! Come hai potuto restarmi accanto tutti questi anni portandoti nel cuore il peso di quell’orribile abuso perpetrato al mio corpo ed al mio spirito, senza dirmi nulla! Come hai potuto farmi questo! Ti odio! Maledetto il momento in cui ti ho incontrata quella notte e maledetto il giorno in cui sono venuta in Italia! “

“ Didi ti prego, lasciami spiegare…”

Didi sconvolta da quelle rivelazioni, si divincolò dall’ abbraccio di Viola e scappò singhiozzando stretta in quel suo candido vestito bianco ora macchiato dal rosso vivo di quella violenza riaffiorata dai bui meandri della sua mente.

Didi corse a più non posso nel buio della notte guidata dalla luna piena che pareva indicarle la strada. Passò davanti al cimitero e girando sulla destra imboccò il sentiero che l’avrebbe portata alla Pedra Furada. Le mancava il fiato, a tratti era costretta a rallentare il passo e a volte a fermarsi, tanto era il dolore ai piedi scalzi che ormai sanguinavano per quella disperata corsa . Finalmente raggiunse la meta designata e grazie alla bassa marea potè raggiungere la spiaggia sottostante. Il suo corpo e la sua mente distrutti dal dolore si accasciarono sulla sabbia che brillava per effetto della luna. Né la vista dell’ immenso oceano illuminato dai riflessi lunari, né il profilo di quella meraviglia della natura che si ergeva di fronte a lei, riuscirono a dar sollievo al suo dolore.

Didi sentì la necessità di liberare il suo corpo da quegli indumenti che la facevano sentire sporca, inadeguata. Con rabbia si strappò i vestiti da dosso e lasciò che la luna illuminasse il segreto che il suo corpo nascondeva.

Si sdraiò sulla sabbia umida, con braccia e gambe aperte per poter far aderire il più possibile il suo corpo color della cioccolata, a quei finissimi granelli bianchi, alla ricerca di un contatto che potesse coccolargli l’anima e da quella posizione si mise a scrutare il cielo che lo sovrastava. Mentre la sua mente tentava di affrontare quei dolorosi ricordi, i suoi occhi assistettero ad uno spettacolo che rimase per sempre ancorato al suo cuore come un segno di rinascita. Una stella cadente dietro l’altra, passando per il cielo, gli diedero la forza di ricordare.

Socchiudendo gli occhi Didi può sentire lo scroscio dell’acqua che si infrange sull’asfalto. Dorme, ma un lampo illumina la stanza. Ora può vedere nitidamente chi si nasconde dietro quell’immagine sfuocata, come ricorda perfettamente quelle grosse mani che le serrano la bocca e quella cicatrice a forma di croce posta alla base del collo, proprio sotto il pomo di Adamo. Il terrore lo paralizza, è inerme di fronte a quell’uomo che fino a qualche minuto prima aveva considerato come un padre. Non capisce cosa gli stia capitando, tenta di divincolarsi da quella stretta, ma quella grande mano gli sferra un colpo sul viso, non capisce più niente, sente solo un gran dolore mentre le grandi mani del padre di Viola, sollevano il candido lenzuolo di lino e si infilano tra le sue cosce fino ad arrivare al suo pene. Tenta con tutta la forza che ha di scappare, ma un altro colpo gli viene inferto sul viso e lui lo prende, lo gira e lo butta nuovamente sul letto. Ora sente solo un gran dolore, un dolore acuto, non sa individuare da quale parte del corpo provenga. La sua carne è lì, può sentirla contorcersi dal dolore, ma la sua mente si è persa, sta vagando in un mondo parallelo e non vuole far ritorno per non dover affrontare la realtà di quello che sta accadendo.

Forse fu proprio per questo, che Paulo aveva voluto seppellire per sempre il ricordo di quella notte infernale sotto la polvere dell’oblio e che negli anni a venire aveva trasformato il suo corpo in quella che ora si chiamava…Divine.

Divine trovò la forza di alzarsi, il suo meraviglioso corpo nero, ricoperto da candidi granelli di sabbia, brillava al cospetto della luna. Indossava ancora la collana di perle con la quale viene raffigurata Iemanjà, che alternava sette perle bianche a sette perle celesti, poi una bianca ed una celeste, il tutto alternato per sette volte. Lentamente, vestita solo delle perle di Imanjà e dei freddi raggi della luna, si avvicinò alle buie acque dell'oceano attratta dalla bianca scia di quell' astro, che riflettendosi nel mare, pareva indicarle la strada per potersi assentare per sempre dall' eterno dolore che aveva caratterizzato la sua vita.


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