venerdì 6 aprile 2012

Il dono di Iemanjà - Capitolo 5


Il pomeriggio del giorno seguente Viola aveva lasciato Didi e Lizge per andare a Pedra Furada. Aveva camminato a lungo ed era arrivata, stanca ma contenta di poter vedere una delle più belle e spettacolari rocce sulla Terra. Non aveva molto tempo se voleva tornare indietro per le undici, in tempo per i festeggiamenti del Capodanno.

Viola camminava stretta nel suo vestito aderente di lino bianco. I capelli raccolti in alto si intrecciavano con alcuni bianchi fiori di palma, le gambe leggermente abbronzate fuoriuscivano da uno spacco laterale profondo che le arrivava fino ai fianchi, ed i piedi scalzi rabbrividivano al contatto mentre l’acqua del mare, fredda, le si attorcigliava alle caviglie. Guardava verso la roccia più bella che avesse mai visto e rimpianse che non fosse luglio, quando, al momento del tramonto, Didi le aveva raccontato che il sole attraversa l’arco di quella pietra con i suoi raggi, regalando agli spettatori sulla battigia uno spettacolo di fuoco.

Decise di tuffarsi, ma esitò al pensiero di non avere nulla per cambiarsi. Aveva freddo, ma la voglia dell’abbraccio materno di quell’acqua era irresistibile in lei. Non c’era nessuno, perchè perfino i turisti erano andati via, attirati dai preparativi per la notte di Capodanno. Quando era passata dal villaggio aveva sentito addosso alla sua pelle l’eccitazione della gente, soprattutto quella dei bambini, che si stavano preparando al battesimo con la dea Iemanjà, alla quale avrebbero offerto il loro primo dono pieno di speranza e che non vedevano l’ora di perdere il respiro in quei minuti in cui non sapevano se la corrente avrebbe trascinato al largo i loro doni, come promesssa di felicità, o li avrebbe riportati verso la riva, come presagio di sventura. Quando era arrivata al mare, ne aveva visti altri provare a cavalcare le onde, di seguito, tutti tesi a non scivolare, perchè quella sera non avrebbero potuto sbagliare nemmeno una delle sette onde sulle quali ci si aspettava che volassero. E inevitabilmente aveva pensato alla sua prima volta con Didi, a Copacabana, a quel momento in cui al quinto salto, mano nella mano, erano scivolate l’una sull’altra, a quella sensazione di sconfitta, al presagio che si era infilato nei loro cuori, nero e melmoso, oscurando la felicità di quel primo Capodanno insieme.


Si guardò intorno, e si accorse di essere rimasta sola. Si sfilò l’abito e il costume e si incamminò verso la Pedra Furada, con le gambe che intirizzivano al contatto con l’acqua, mentre l’eccitazione la prendeva sempre più e sentiva salire il freddo lungo il suo corpo, lentamente, prendendola dai polpacci, scivolando su verso le cosce, su per la pancia, incuneandosi tra i suoi seni. Alla fine si immerse completamente nell’acqua nera e nuotò sotto il cielo di stelle che picchiettavano la loro debole luce, riflettendosi sulle piccole onde che raggrinzivano dolcemente la superficie del mare. Raggiunse la Pedra, si infilò sotto, come seguendo un rituale magico, e ristette lì appena sotto la superficie dell’acqua, ad occhi chiusi, finchè una scossa di freddo non la spinse a fare capolino e respirare l’aria pungente e salmastra.

Uscì dall’acqua, si rivestì, e umida ma felice di una sensazione che sentiva la stava riportando alla vita, si incamminò nuovamente verso la Pousada. Le ci sarebbe voluto almeno un’ora per arrivarci, ma non aveva fretta.

«Dove sei stata Viola?» l’apostrofò Didi al suo rientro, mostrando la sua preoccupazione.

Viola la guardò: era bellissima, più femmina di lei, e intuì in Didi il perchè gli uomini la cercassero così tanto. Aveva dentro di sè la promessa di un sapore magico, un alito di mistero e di fascino che attraeva i sensi e li perturbava. Le sorrise, e Didi ne fu contenta. L’abbracciò e la tenne stretta a sé, finchè Viola non si staccò da lei.

«Stasera dobbiamo farcela, Didi...»

Didi intuì a cosa si stava riferendo Viola e le diede un bacio sulla guancia, sussurrandole: «Io non ho alcun dubbio che ce la faremo...».

Cenarono insieme a Gianluca, Lizge e alcuni ragazzi ospiti della Pousada. L’allegria era troppo coinvolgente per Viola, che si stupiva di riuscire a staccarsi dagli occhi di suo padre che aveva avuto davanti a sé fin da quando era partita, in qualunque momento, qualunque cosa stesse facendo. Pensò che avrebbe potuto restare lì per sempre, visto che dopo circa dodici ore di volo e trenta gradi in più erano riuscite a compiere quel miracolo, che anni dentro di lei non avevano saputo manifestare. L’alcool faceva il resto, accompagnando con le sue frizzanti bollicine ogni singolo pensiero negativo fuori dalla sua testa.

Poi arrivò il momento.
Lo capirono dalle luci delle candele che dalle dune scendevano verso il mare e da un silenzio quasi religioso che a un certo punto aveva interrotto la musica. Didi e Viola uscirono dalla Pousada e si avviarono verso il mare, silenziosamente, con una cesta di bianchi fiori di palma, reggendola l’una da un manico e l’altra dall’altro. Erano tornate bambine, i loro cuori si erano purificati sotto una volta illuminata da stelle che di solito non potevano vedere. Quei cuori tremavano, battevano all’unisono nel silenzio, mentre il mare si avvicinava e con esso il momento della prova.

La gente era già al mare, i bambini stranamente silenziosi erano in acqua e depositavano un fiore dopo l’altro, stando attenti a capire dove portasse la corrente, perchè le loro offerte potessero spingersi al largo e raggiungere la potente Dea.

Didi e Viola entrarono in mare, guardandosi, senza riuscire a staccarsi gli occhi di dosso. Poi si inginocchiarono immergendosi in quell’acqua bruna, con la cesta davanti, e fu Didi per prima a raccogliere un fiore, per porgerlo alla Dea. Aveva gli occhi chiusi per raccogliere i suoi desideri più intimi, quelli più perfetti che solo il cuore conosce e che le parole non sanno esprimere. E poi fu la volta di Viola, che raccolse il suo fiore, lo passò sul suo viso come per coglierne la disperazione che si era celata a lungo dietro le piccole rughe di espressione, lo sfiorò con le labbra, bisbigliando qualcosa che Didi non afferrò e poi lo depose in acqua delicatamente, quasi avesse paura a farlo andare via. E uno dopo l’altro i fiori formarono una scia bianca che scintillava sul mare fino all’orizzonte.

Didi e Viola si guardarono e si sorrisero, poi corsero verso la Pousada, per prepararsi a saltare le sette onde. La tensione dei loro corpi mostrava che la vera prova che aspettavano era proprio quella. Indossarono le collane che Didi aveva preparato con Lizge il pomeriggio, mentre Didi spiegava a Viola che erano come la collana con la quale viene raffigurata Iemanjà, che alternava sette perle bianche e sette perle celesti, poi una bianca ed una celeste, il tutto alternato per sette volte. Presero il cesto di rose e si avviarono verso il mare. Si guardarono e si sorrisero, poi entrarono in acqua, piano, tenendosi per mano. Didi aveva in mano la cesta e Viola prendeva i petali e li gettava in acqua. Poi, quando la cesta fu vuota, la lasciarono galleggiare, si lasciarono le mani, si guardarono e si sorrisero di nuovo. Ognuna proseguì per conto proprio, per affrontare il momento in cui le sette onde sarebbero scivolate sotto di loro.

Viola sentiva una morsa allo stomaco. Guardava i petali davanti a lei, inspiegabilmente splendenti sotto la luce tenue delle candele che dalla spiaggia riuscivano poco ad illuminare il mare scuro e schiumoso. Aveva paura di affrontare quella prova, anche se il sorriso di Didi le aveva infuso un po’ più di coraggio e speranza.

Dentro di sé la sconfitta di quando era bambina la schiacciava, le teneva le gambe fisse al suolo, facendole sprofondare nella sabbia. Stava quasi per essere presa dal panico, quando vide Didi con la coda dell’occhio che aveva appena spiccato il volo e contò i suoi salti: uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette... la vide sollevarsi con le braccia verso il cielo e voltarsi verso di lei, con un sorriso radioso che le illuminava gli occhi. Poi si guardò: non riusciva a fare nemmeno il primo salto e quasi si stava per voltare indietro per tornare a riva, quando una immensa luce bianca illuminò il mare sotto di lei e appena avanti a lei. Le rose si concentrarono in quel punto, come se un vortice le richiamasse, e dopo poco la luce emerse sopra il mare e appena davanti a lei. Attraverso mille particelle di luce, vide la Dea, così come la raffiguravano le icone, avvolta in un abito azzurro, bellissima, con lunghi capelli neri che il vento le scompigliava, le braccia aperte, i seni pieni e prosperosi e lo sguardo ricco di promesse. Guardò le sue mani, e percepì che doveva seguirle ed i suoi piedi si staccarono dal melmoso fondo in cui erano sprofondati, prendendo il volo, attratti da quelle braccia tese e aperte verso di lei, e sentì i suoi piedi scivolare sull’acqua. Le arrivò la voce lontana di Didi che urlava contando: uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette...

Viola rimase ferma nell’acqua, chiuse gli occhi e assaporò dentro di sé tutta la speranza e le promesse che la dea le aveva offerto. La immaginò ancora davanti a sé, ma quando aprì gli occhi, davanti vide soltanto il semplice e bianco sorriso di Didi che faceva capolino sul suo viso color cioccolato. Si abbracciarono e si baciarono, senza distinguere il sapore salato delle lacrime da quello salmastro della loro pelle bagnata dal mare.

Poi corsero verso riva e si unirono ai ritmi ossessivi che sulla spiaggia un gruppo di ragazzi suonava, si persero vicino al fuoco per scaldarsi, rimasero incantate come bambine guardando i fuochi di artificio e si addormentarono sulle dune.

Il rumore dell’acqua che lentamente fluiva verso la riva accompagnava un sogno tormentato. Viola in silenzio sulla sabbia era sveglia e guardava il mare nel punto in cui le era sembrato di vedere la Dea e sorrideva a quella immagine propizia. Quando guardò il viso di Didi lo vide contorcersi in una smorfia di dolore. Didi si rigirava sotto il telo bianco di lino che avevano sistemato per coprirsi dall’aria fresca, e sembrava non trovare pace. Viola pensò che forse avrebbe dovuto svegliarla, per far cessare quell’angoscia che la stava afferrando in modo così cupo. Così si avvicinò a lei, piano, lentamente, alle sue spalle. Le carezzò i capelli e discese con la sua mano verso il braccio di lei stretto sulla vita come se volesse proteggersi da qualcosa o da qualcuno.

Fu in quel momento che Didi urlò e si alzò di scatto a sedere sulla sabbia, spalancando gli occhi avanti a sé, come se una verità all’improvviso le si fosse rivelata. Viola l’abbracciò alle spalle, cercando di tranquillizzarla.

«Didi, sono io. Era un sogno, solo un brutto sogno... Buon anno, piccola! Siamo a Jeri... ricordi? Non c’è nulla che ci possa scalfire da ora in poi... abbiamo saltato le sette onde...»

Ma Didi sembrava non ascoltarla. Il suo sguardo terrorizzato la fissava.

«Viola... tuo padre...»
«No Didi, ti prego. Non ci pensiamo, non ora... ci penseremo al ritorno...»
«L’ho sognato, Viola.»
Viola si rese conto che non poteva evitare l’argomento. Doveva parlarne e si sedette affianco a lei per ascoltarla.

«E’ un po’ che faccio un sogno strano.» disse Didi, guardando verso il mare, timorosa di guardare Viola negli occhi. «Sono in un letto e sento una presenza affianco a me. La temo, so che devo temerla, ma non so perchè. La sua mano mi è vicina, credo mi stia per accarezzare, forse, non saprei dire. E’ a pochi centimetri dal mio corpo, so che sta per toccarmi. E anche se poi mi sveglio, all’improvviso, e mi sono sempre svegliata a questo punto del sogno... Viola, io so che arriverà giù fino alle mie parti intime, per violarmi. La prima volta il sogno era indefinito. La seconda ho visto davanti a me il segno di una croce. Stanotte l’ho visto. Quell’uomo del sogno era tuo padre, Viola, tuo padre. Mio Dio... vedere quell’uomo lì sul letto deve avermi sconvolta, solo adesso lo sto tirando fuori... scusami, scusami Viola... andiamo in casa, dài...»

Viola guardò davanti a sé, mentre i sensi di colpa avvolgevano il suo animo e un groppo le bloccava il respiro in gola. “Ero solo una bambina, ero solo una bambina” continuava a ripetersi tra sé e sé a fior di labbra, incurante che qualcuno potesse sentirla, con una lacrima che riuscì a superare il muro di disperazione che il suo cuore aveva costruito contro il mondo. “Cosa potevo fare, mio Dio, cosa potevo fare?”.

1 commento:

  1. Come spiegare che alla fine del racconto ho provato un brivido? Aspetto le due prossime puntate, per scoprire quanta altra malvagità può c elarsi dietro un uomo così...
    Grande Pavone Bianco!

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