Ma che cazzo…, pensò Roberto mentre sentiva Martino scrosciare allegramente contro le pareti del water. Aveva armeggiato con il suo telefono e aveva cancellato un pezzo del registro delle chiamate. Ne era sicuro. Prima di entrare in doccia aveva visto la chiamata non risposta di Silvia. Poi, al rientro in stanza… Martino è lì, con la sua espressione più innocente… e guarda caso la chiamata non risposta è sparita.
Era riuscito a dissimulare alla perfezione il suo stupore di poco prima quando, navigando tra le schermate del telefono, aveva visto che il registro chiamate era stato modificato. In un’altra circostanza, se ne sarebbe compiaciuto, ma in quel preciso momento aveva altri pensieri che gli ronzavano per la cabeza.
Ovvio che non poteva essere stato che Martino. Nessun altro era entrato in quella stanza, e di certo l’iPhone non cancellava le chiamate da solo.
Roberto sentiva le vene delle tempie pulsare violentemente, e il margine del suo campo visivo diventare color ruggine mentre la familiare, fastidiosa sensazione della gola che si stringeva fino a raggiungere le dimensioni di uno spillo cominciava ad assalirlo. Per quale motivo Martino poteva aver fatto una cosa del genere?
Strinse il telefono tra le dita come se volesse sgretolarlo e valutò l’opportunità di sorprendere Martino sotto la doccia e farlo confessare.
Perché? Perché? Roberto scosse la testa. Non aveva senso. Sapeva che Silvia gli era sempre stata antipatica, ma da lì a cancellare una sua chiamata per cercare di… di impedire a Roberto di riallacciare i contatti? Ma poi, soprattutto… Da quando in qua Martino trafficava con i telefoni altrui, e segnatamente (un altro avverbio che sua madre avrebbe sicuramente apprezzato) con quello di Roberto?
Si accese una sigaretta e cominciò ad aspirare nervosamente mentre sentiva Martino che cominciava a canticchiare sotto la doccia.
Guardò l’ora. Aveva ancora mezz’ora prima di essere in ritardo all’appuntamento con Mariciel. Si domandò cosa dovesse fare. Di certo c’era una spiegazione. Martino avrà avuto una ragione più che valida per fare una cosa del genere. Ma quale, perdio?
Sentì l’acqua cessare di scorrere, e attese per qualche istante fino a quando non sentì la porta scorrevole della doccia che veniva aperta.
Martino era uscito. L’istinto gli diceva di entrare in bagno, prenderlo di sopresa e metterlo con le spalle al muro, come facevano i poliziotti americani nei film che guardava da ragazzo con Martino e suo fratello. Spingerlo a confessare a suon di cazzotti. Sbattergli la testa contro le piastrelle, e poi magari scusarsi con una pacca sulle spalle se la versione di Martino fosse stata convincente.
Ma no, doveva concedere il beneficio del dubbio al vecchio Tino. Non poteva aver agito che per il suo bene. O magari aveva solo schiacciato il tasto sbagliato. Con quel catafalco di telefono che si portava sempre dietro, figurarsi se era in grado di maneggiare un iPhone.
Sì, doveva essere sicuramente per quella ragione. Eppure qualcosa non lo convinceva del tutto. Si mise il telefono in tasca, e decise di dissimulare i suoi sospetti e lasciare che il gioco andasse avanti senza forzature.
O no.
Ebbe un’idea geniale.
Se avesse avuto uno specchio a disposizione, si sarebbe compiaciuto anche del suo ghigno luciferino.
Martino si asciugò rapidamente. Si passò un velo di dopobarba sulla barba di tre giorni, si scompigliò i capelli che di lì a poco avrebbe nascosto sotto il cappello, si diede una controllata al pacco e determinò che sì, tutto sommato la tardona avrebbe potuto essere soddisfatta, anche se difficilmente sorpresa.
Accennò fischiettando l’aria della Gazza Ladra (mica perché gli piacesse l’opera: era così che aprivano i concerti i Marillion e lui aveva letteralmente consumato il vinile di Thieving Magpie che aveva comprato a Novegro). Buttò l’asciugamano sul pavimento e uscì ciabattando dal bagno.
Trasalì improvvisamente quando vide Roberto seduto sul bordo del letto che fumava tranquillamente, giocherellando con il telefono. Lo faceva girare tra le dita come faceva quel tipo in Top Gun con la penna. Aveva sempre invidiato la manualità di Roberto. Del resto, suonava da dio, e aveva abituato le sue dita alla velocità e alla precisione in anni e anni di esercizio.
“Che… che ci fai ancora qui?”, chiese Tino, afferrando i bermuda e infilandoseli. A pelo, come diceva lui.
“Niente”, rispose Roberto stringendosi nelle spalle. Soffiò una boccata di fumo e lo guardò, senza particolare espressione. “Fumavo una paglia prima di uscire”
“Ah”, disse Martino. Controllò l’orologio che non toglieva mai dal polso e disse: “Ma non sei in ritardo?”
“No, macché ritardo. E poi mica devo far vedere che ho fretta di timbrare il cartellino. Anzi, penso che me la prenderò con tutta calma…”
Tino si infilò la camicia e cominciò ad armeggiare con i bottoni. “Beh, comunque io adesso prendo la macchina e… sì, ci vediamo tipo… dopo le tre…”
Roberto annuì gravemente. “Ma sì, tranqui… C’è mica fretta…”. Gli fece l’occhiolino. Guardò fisso il telefono. “Sai cosa, Tino?”
“Dimmi”
“Stavo pensando…”
“A cosa?”
“Mah, pensavo che… Che forse sono stato proprio un po’ stronzo con Silvia…”
Tino si girò verso la porta del bagno per chiudere gli ultimi bottoni. Sentì i muscoli della schiena tendersi sotto la stoffa, e gli occhi di Roberto piantati sulla sua nuca.
“Perché? Perché saresti stato stronzo, scusa?”
“Mah, non so… Insomma, potevo… Dopo la litigata, potevo cercare di ricucire… Potevo invitare anche lei, voglio dire…”
Martino si girò e lisciandosi la camicia disse: “Eh va beh, che cazzo… non doveva essere l’ultima vacanza da soli eccetera eccetera, il fandango del cazzo e tutto il resto...”
Roberto scosse la testa. “Forse hai ragione, però… Però mi sento di essermi comportato male… E anche la storia di Mariciel… Insomma, così, dopo solo qualche giorno…”
Martino si avvicinò a Roberto e gli appoggiò una mano sulla spalla. “Ehi, Robi… E’ andata così, e non devi rimproverarti niente… Per quello che ne sai…”. Si fermò, e lo guardò fisso per un istante, come implicando molto con il suo silenzio. Ma alla fine non potè non distogliere lo sguardo.
“Appunto”, replicò Roberto. “Per quello che ne so”.
Martino si ritrasse e tirò fuori una sigaretta anche lui. La accese e si infilò le infradito. “E quindi?”
“Quindi non so… Che dici? Magari la chiamo io…”
Martino si fermò. Continua a comportarti normalmente cazzo altrimenti questo se ne accorge che c’è qualcosa che non va continua a comportarti normalmente cazzo altrimenti questo se ne accorge che c’è qualcosa che non va
“Chiamare… Silvia?”. Deglutì. Sapeva che non aveva prodotto il minimo suono, ma nel suo cervello la saliva all’interno dell’esofago riecheggiava come la goccia dalla stalattite dei film horror.
“E chi sennò, vecchio troglodita? Di chi stiamo parlando? Di Valeria, forse?”, disse Roberto sorridendo e alzandosi di scatto per dare un buffetto in testa a Martino. Questi si ritrasse istintivamente, non senza aver notato come il sorriso di Roberto non arrivasse agli occhi. E’ il tuo senso di colpa del cazzo, non può sapere niente.
“Ehiii, Tino… Cos’hai? Cazzo sei saltato via come se avessi visto un serpente… Oh ma non è che sei ancora stonato dall’altra sera? Guarda che se esci con la tipa così mi sa che non riesci nemmeno a farlo…”
Martino gli diede una pacca sul torace. “Cazzo dici, non c’è problema… però forse devo essere ancora un po’ stanco… Pensavo che la doccia mi facesse ripigliare del tutto…”
“Meglio così, dai… Se no mi devo preoccupare anche di te oltre che per Silvia… Dai, adesso la chiamo almeno per chiarire e poi…”
“Chiarire? Cosa devi chiarire? E’ lei che non ti ha risposto, no? Per prima, intendo… Cioè insomma… Voglio dire…”
Roberto lo fissò inarcando un sopracciglio.
“Per prima?”
Martino indietreggiò di un passo. “Voglio dire…”
“Vuoi dire per prima. Quindi chi è che non ha risposto, per secondo?”. Roberto gli piantò gli occhi addosso. “Io, forse?”
Un cappello pieno di ciliege, di Oriana Fallaci
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Avevo iniziato a leggere questo libro molti anni fa e non ero riuscita a
superare le prime dieci pagine. Adesso, forse complice un’età più avanzata
e un...
3 mesi fa
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