venerdì 28 ottobre 2011

Il Cigno Nero - Capitolo 6


New York, Agosto 2011

L’email aveva parlato chiaro. Tutti in riunione in Sala Consiglio alle ore diciotto. Allora perchè non c’era ancora nessuno?

Evelyn montò su tutte le furie. Scese al quinto piano, dove si trovava l’ufficio di Dick, ma si bloccò appena uscita dall’ascensore. Marc era seduto alla scrivania di Dick e Dick gli stava illustrando qualcosa. Evelyn decise di avvicinarsi lentamente, per captare, prima di arrivare lì, cosa si stessero dicendo. Man mano che avanzava nell’open space, gli occhi dei suoi dipendenti la guardavano timorosi: sentivano che stava per scoppiare un temporale.
-         Non mi torna! – urlava Marc.
-         Devo rispiegarti di nuovo, Marc? Possibile che non capisci?
-         Come hai fatto ad avere la certezza che questi tre titoli fossero quelli buoni? Porca miseria, ci vuole un indovino con questi mercati! Sento puzza di marcio, lo capisci?
-         Marc, calmati. Il modello mi evidenzia i titoli con la stessa volatilità del mercato...
-         No no no Dick. La volatilità del mercato era stabile, “prima” che voi li acquistaste. Così come era stabile “prima” che voi li vendeste. Come può essere? E’ contrario ad ogni legge economica, lo capisci? Voglio sapere come funziona il modello...
-         Ma era spiegato nel documento che Evelyn vi ha portato in Consiglio, Marc... non farei che ripetermi...
-         Vuoi ripeterlo davanti al Consiglio, Dick? – Marc lo guardò seriamente.



Evelyn entrò, pronta a difendere ciò che le stava di più a cuore: la sua carriera.
-         Marc, cosa ci fai qui? Non è tuo territorio questo...
-         Evelyn, lascia perdere. Voglio capire che cazzo di idea hai avuto. Sento puzza di marcio e con l’Antitrust alle costole non possiamo fare passi falsi. Ci fanno chiudere se solo subodorano che stiamo lavorando sporco.
-         Lavorando sporco? Oh, Marc, tranquillo. Qui stiamo lavorando solo ad ottime idee...
-         Scusami, ma per quanto mi sforzi, non riesco a crederti. Proprio per niente. Credo sia legittimo chiedere approfondimenti sulla roba che ci hai propinato in Consiglio. Giusto?
-         Giustissimo. Convoca un Consiglio d’Amministrazione Straordinario ed io ti spiego per filo e per segno quello che vuoi sapere, ma ora fuori dalle balle e lasciami fare il mio lavoro. Sono ancora il tuo capo, fino a prova contraria.

Marc si alzò decisamente contrariato ed uscì sbattendo la porta.

-         Non mi sembra tu l’abbia convinto a sufficienza – disse Dick a Evelyn, alzandosi dalla sedia e girando intorno alla scrivania.
-         E’ uno stronzo... – rispose la donna.
-         Però ha ragione. Ha un ottimo fiuto...
-         E non è il solo... – commentò Evelyn.

Dick la guardò perplesso, ma non disse nulla e la lasciò continuare.
-         Anche quegli stronzi della J.F.Crombie se ne sono accorti...
-         L’ho sempre detto io che quel Gabriel è una mente unica...
-         No, non mi riferisco a lui... cioè sì, lui è una mente unica, ma mi riferivo a Lauren Legrange. Quella piccola stronza so-tutto-io mi ha chiamato qualche giorno fa. Era infuriata. “Non mi torna la volatilitàààà” urlava per telefono.
-         E tu cosa le hai detto?
-         Nulla. Ho detto a Helena di dirle che non c’ero.
-         Mm...
-         Senti, raduna i tuoi. Dobbiamo accelerare, sennò ci scoprono.
-         Non credo siano maturi i tempi... pensavo di fare ancora qualche prova prima di partire.
-         Non ci pensare nemmeno. Tra dieci minuti venite in Sala Consiglio. Tutti...
-         Ma c’è gente che a quest’ora sarà tornata a casa, non possiamo fare domani? Oggi o domani cosa cambia?
-         Me ne frego, capito? Qui mi sto giocando la carriera, Dick e se non sei capace di capirlo, beh, mi dispiace ma non hai capito proprio nulla di me. ‘Fanculo. Richiamali dovunque siano. Tra dieci minuti nel mio ufficio e chi manca si prepari a fare le valigie.

Evelyn uscì sbattendo la porta.
Dick si sedette tranquillo alla scrivania, si accese la sigaretta elettronica che usava quando aveva voglia di fumare in ufficio e commentò:
-         Per fortuna queste porte sono robuste...  – e rise amaramente tra sé, sicuro che la storia con Evelyn fosse volta al termine.

Non sapeva dire bene cosa lo avesse attratto di più in Evelyn, se il suo fisico mozzafiato, se la sua esuberanza sessuale che la portava a sperimentare nel sesso tutto quello che le passava per la testa oppure se fosse rimasto invischiato nella sua voglia di potere. Sicuramente l’aveva sfruttata abbastanza per la sua carriera e anche se lei l’avesse piantato a quel punto, si era già formato una nomea nel mondo delle tecnologie finanziarie, da poter trovare facilmente un nuovo lavoro. Erano molte le proposte che nell’ultimo anno gli erano arrivate e fino ad allora le aveva bellamente ignorate, soltanto perchè non voleva chiudere il rapporto con Evelyn. Adesso che era lei a piantarlo, non ci avrebbe pensato su nemmeno il tempo di un battito di ciglia.

Guardò l’orologio e mandò un Blackberry Message a tutti i collaboratori: «La Gazzella ci vuole a rapporto. Stasera è un Leone. Tra dieci minuti in Sala Consiglio. Chi non ci sarà, potrà iniziare a fare le valigie». Non gli importava di essere irriverente verso Evelyn di fronte ai loro comuni collaboratori. Non gli importava in realtà più di molto restare lì dentro e togliersi da quell’impiccio che puzzava di marcio stava diventando il suo unico pensiero.

***
-         Sono davvero contenta di come avete lavorato in questi mesi. Ho seguito passo per passo i vostri sviluppi ed i vostri test e sicuramente il risultato da voi ottenuto è quello al quale io intendevo giungere.

Aveva indorato la pillola a sufficienza per i suoi gusti. Adesso doveva affondare.
-         Tuttavia alcune persone dalla mente molto acuta iniziano a sospettare che ci siano dei movimenti strani. Sto parlando di persone interne alla nostra azienda e di clienti.

Un mormorio si diffuse in sala. Evelyn visibilmente contrariata, sbatté la mano sul tavolo e pretese il silenzio. Quando l’aria fu tersa dal rumore, riprese:
-         Non sto scherzando, signori. Non voglio chiacchiericcio da paese. Siamo un’azienda seria. Siamo la prima azienda del settore e non possiamo permetterci di perdere tempo. Voglio il passaggio in produzione entro una settimana. Sono cancellate tutte le ferie, vi voglio al completo. Vi assicuro che per chi mi supporta ci saranno ottime possibilità: ho intenzione di aprire due sedi in Asia ed in Europa ed ho bisogno di due Direttori Generali e Dirigenti per coprire i vertici. Se c’è qualcuno che non ci sta, lo dica subito e se ne vada domani.

Detto questo si alzò, uscì dalla sala e si rinchiuse nel suo ufficio.
***
Evelyn sentiva che le stava crollando tutto intorno e non vedeva una via di uscita. Perfino  Dick se l’era fatta addosso e l’aveva piantata. Era arrivata a pensare addirittura che lui l’amasse davvero e invece si rendeva conto ora che l’aveva solo sfruttata per quello che poteva rappresentare: carriera e potere. Si sentì montare la rabbia ed un groppo le si formò alla gola. Si impose di ributtarlo giù, anche se per la prima volta da anni aveva voglia di sfogarsi piangendo. Eppure non doveva, non poteva arrendersi in questo modo alla prima difficoltà seria che incontrava.

Si mise a riflettere su quale fosse la mossa giusta. Aveva bisogno di tranquillità per pensare. Così prese la sua giacca e uscì dall’ufficio, prese l’ascensore e percorse l’atrio a testa alta, nonostante si sentisse davvero a terra. L’autista le venne incontro, ma lei lo allontanò con un gesto della mano, un misto tra “non mi dire nulla” e “grazie, no”. Iniziò a camminare lungo la Fifth Avenue. Le faceva bene camminare tra la gente, confondersi con altre persone che non avevano nulla a spartire con lei, sentirsi inutile come pensava che la maggior parte della gente si sentisse. Si fermò pochi isolati più in là in un bar. Chiese qualcosa di forte e guardò male il barista che aveva a provato a chiederle cosa desiderasse in particolare.

“I baristi dovrebbero saperlo di cosa ha bisogno un cliente, no?” si trovò a pensare tra sé e sé, guardando il ragazzo che si era girato e passava la mano sopra le numerose bottiglie, cercando qualcosa di davvero particolare da darle. Si voltò indietro verso l’ingresso, per essere sicura che nessuno l’avesse seguita e quando si rigirò verso il barista, davanti a sé trovò un bicchiere.
-         Le ho dato...

Non lo lasciò finire. O forse il ragazzo finì la frase ma a lei non interessava affatto sapere cosa era pronta a bere. Le era sufficiente avere davanti a sé una qualunque dose di alcool da mandare giù in corpo. Ripensò all’ultima volta che si era ritrovata davanti ad un bancone con la voglia di dimenticare. Era stato circa sei anni prima, per Gabriel. La prima volta che era andata a letto con lui. Era stato magnifico, pensava di aver trovato il suo principe azzurro. E invece lui l’aveva trattata peggio di una puttana, se l’era portata in un letto e poi l’aveva lasciata lì a leccarsi le ferite. Gli aveva giurato vendetta e si era posta di ricambiargli un giorno quello che lui le aveva fatto. Ora era il momento e quegli stupidi idioti le stavano mettendo il bastone tra le ruote. Era arrivata a un pelo dal risultato... Ne era sicura, una crisi così Gabriel non avrebbe mai potuto immaginarla neppure. Avrebbe perso tutto, il lavoro e Lauren. E invece non stava andando come aveva pianificato. Non vedeva alcun modo di uscirne, se non fare il colpo grosso e sparire fregandosi tutti i  soldi investiti. Ma senza Gabriel, quel successo non avrebbe avuto lo stesso sapore.

Il suo cellulare squillava. Se ne rese conto dopo un po’. Rispose:
-         Evelyn, sono Dick.
-         Oh Diiiiick – disse ironicamente. – Che mi racconti? Siete passati in produzione?
-         Evelyn, mi spiace. Ho... ho parlato con Marc e con Gabriel...
-         Cosa hai fatto? Mio Dio Dick, mi hai rovinato...
-         Evelyn, mi spiace...
-         Stronzo...

Furono le ultime parole che disse. Bevve tutto d’un sorso il bicchiere, lasciò cinquanta dollari sul bancone e uscì di corsa dal locale.

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