Roberto sospirò sdraiato sul letto nella stanza d’albergo.
Aveva abbandonato il suo amico così, poche ore prima, come se nemmeno lo conoscesse, come se non gli importasse di lui. Probabilmente quell’urlo gli era venuto così strozzato per colpa dell’alcol, per colpa della percezione alterata della realtà. Martino non capiva cosa era successo, era solo spaventato tutto qui. Ed era ora che si arrangiasse, no? Poteva benissimo prendersi le sue responsabilità, quel cretino. Si voltò su un fianco e lo sguardo gli cadde sulla valigia sfatta di Martino, sommersa di vestiti provati e ributtati sopra. Quella valigia era come lui. Un disastro. Ma bastava sistemare un paio di cose, ripiegare i vestiti e tutto sarebbe tornato perfetto. Peccato che Martino di sistemare le cose se ne sbatteva altamente.
Viveva nel suo felice mondo chimico e nessuno poteva fare o dire qualcosa a riguardo. Viveva il momento, se ne fregava delle conseguenze.
E puntualmente toccava a lui pensare alle conseguenze. Ma stavolta no, stavolta l’avrebbe lasciato solo, l’avrebbe lasciato al suo destino e soprattutto nelle mani di suo padre. Si girò nuovamente nel letto, sdraiandosi di nuovo sulla schiena e fissando il soffitto.
Doveva essere la loro vacanza. Doveva essere una vacanza senza problemi, senza preoccupazioni, senza tutto quello schifo che si sorbivano tutto l’anno.
Eppure era iniziata male e sembrava finire ancora peggio.
Non erano mai stati insieme e per quel poco che l’avevano fatto avevano litigato.
Che idea geniale avevano avuto.
E l’indomani doveva uscire con Mariciel. Di nuovo loro due, di nuovo soli.
Per quanto l’idea gli piacesse, Roberto non riusciva a smettere di pensare al padre di Martino. Sapeva già cosa sarebbe successo.
Suo padre sarebbe arrivato a grandi falcate, con lo sguardo che lanciava maledizioni e la sua fida valigetta da grande avvocato. Si sarebbe fermato davanti al figlio, senza aprire bocca e non appena Martino avesse osato dire una sillaba, gli avrebbe rifilato uno di quegli scapaccioni che fanno male solo a guardarli. Assisteva a quella scena da anni, eppure ancora lo terrorizzava.
Si augurava di non provocare mai l’ira di quell’uomo, neppure per sbaglio.
Pensò di nuovo a Mariciel, poi pensò a Silvia.
Il pensiero gli attraversò la mente come un fulmine, lasciandolo scosso nel profondo. Silvia l’aveva proprio rimossa dalla sua mente. Iniziò a chiedersi come stesse, cosa stesse facendo, cosa pensasse, se pensasse ancora a lui.
Prese il cellulare e controllò se ci fossero chiamate perse o messaggi non letti.
Nulla. Niente da fare. Lo spense e lo riaccese, nella vana speranza che la linea facesse arrivare qualcosa. Ma niente. Lanciò il telefono sul letto di Martino, abbastanza lontano perché non gli venisse voglia di alzarsi e prenderlo e magari scrivere a Silvia o fare qualche cavolata del genere. Sospirò di nuovo e si decise ad alzarsi dal letto, per andare a farsi un’altra doccia. Nel tragitto pensò di fermarsi e prendere il telefono, lo prese in mano e pochi secondi dopo lo ributtò tra i vestiti dell’amico. Niente Silvia. Basta Silvia.
*
Nemmeno Mariciel riusciva a dormire. Pensava a quell’italiano praticamente sconosciuto, che però le faceva battere il cuore come una ragazzina innamorata. Era successo tutto così in fretta quel giorno.
Nemmeno il tempo di ricordare il suo nome e già lo stava baciando, senza rimorsi. Sorrise guardando la bellissima notte fuori dalla finestra.
Poche ore e si sarebbe fatto giorno, poche ore e sarebbero stati di nuovo assieme. Voleva mostrargli un sacco di cose, fargli vedere centinaia di posti, voleva passare con lui più tempo che poteva a fare tutte le cose che amava.
Sentirlo parlare quel suo pessimo spagnolo e guardarlo mentre faceva quei gesti strani che sottolineavano le sue parole.
Le venne poi in mente quell’amico strano di Roberto, Martino. L’avevano lasciato tutto solo, conciato malissimo e con la promessa che suo padre sarebbe arrivato il giorno seguente, cosa che non doveva piacere molto a Martino, visto la disperazione con cui aveva cercato di richiamare l’attenzione di Roberto. Ma dopotutto si sa che a nessuno piace finire nei guai e vedersi arrivare i genitori a dover risolvere la situazione, no? Eppure vedere Roberto reagire così l’aveva lasciata un po’ perplessa, non se l’aspettava ecco.
Sospirò fermandosi a riflettere. Forse tutta quella storia stava correndo un po’ troppo. Forse, come sempre le succedeva, si lasciava incantare da belle parole e risate e si dimenticava che una persona non è fatta solo di quello. Che una persona può fingere le risate, può inventarsi le belle parole. Un’angoscia improvvisa le prese il petto. Cosa stava facendo?
Sospirò di nuovo, più volte, cercando di dissipare il blocco che opprimeva il suo petto. Sorrise a sé stessa. Sarebbe andato tutto bene. Sarebbe stata un’avventura, comunque fosse finita. Mancavano poche ore all’alba, e quella giornata l’avrebbe passata con Roberto. Sdraiata nel letto provò a mantenere il sorriso, ma si accorse di non riuscirci.
Un cappello pieno di ciliege, di Oriana Fallaci
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Avevo iniziato a leggere questo libro molti anni fa e non ero riuscita a
superare le prime dieci pagine. Adesso, forse complice un’età più avanzata
e un...
3 mesi fa
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