mercoledì 28 settembre 2011

Cinque pezzi meno facili – Sliding Doors – L’isola magica – Capitolo 8


I piatti si alternavano davanti ai suoi occhi e Roberto percepiva all’interno della sua bocca un gusto diverso rispetto alle solite cose che di solito trangugiava a casa. Ma non ci badava. I suoi occhi erano solo per quella ragazza che gli stava di fronte, che aveva un modo di gesticolare, di guardarlo, di mangiare, di ridere che lo attraeva. Sì, era soprattutto il sorriso che lo incantava. Una fila di denti bianchi avvolti da due labbra carnose rosa alle quali non aveva resistito.

Mariciel continuava a parlare mentre Roberto la guardava. Una voce che era musica gli giungeva alle orecchie. Cercava di capire, intuiva il senso del discorso. Lei gli spiegava i piatti, le tradizioni spagnole, ma a lui interessava solo lei, faceva cenno di sì con la testa, mentre con gli occhi seguiva il profilo del suo viso, le accarezzava con lo sguardo le orecchie, soffermandosi appena sui lobi, desiderando morderli, scendeva lungo il collo fino al punto in cui esso si congiungeva alle spalle e si immaginava come dovesse essere baciarla proprio lì, in quell’incavo che sembrava perfetto per la sua bocca. Poi scendeva sui profili del seno, ne indovinava le curve e appena sotto si fermava il suo percorso reale, proseguendo solo con l’immaginazione, perchè il tavolo gli toglieva la vista sul resto del corpo della ragazza.

Più di una volta Mariciel si fermò per chiedergli “Entiendes?”, certa che la sua mente fosse altrove rispetto alle sue parole. Ma non sembrava volersene a male.

Quando ebbero finito la crema catalana e sorseggiato il Caligo Essencia, Roberto fermò il fiume di parole di Mariciel:
«         Vamos a la playa? » e fece un segno con la mano per accompagnare il suo malvagio spagnolo, pur essendo un po’ sicuro di sé questa volta sulla traduzione, avendo in mente il successo dei Righeira.

Mariciel acconsentì con gli occhi. Roberto la anticipò alla cassa, pagò il conto nonostante le proteste della ragazza e insieme uscirono dal locale.

***

Martino girava per la discoteca da circa mezz’ora a caccia di Mocassini. “Deve essere qui” pensava, ma i volti intorno a lui erano totalmente sconosciuti. Ad ogni passaggio dal bar ordinava una birra e proseguiva il suo tour adocchiando il “parco femminile”. Molte belle ragazze, molto abbronzate, molto giovani e molto disinibite. Donne che rispecchiavano la sua idea di una Spagna libertina, legata al piacere delle cose, al sapore dell’amore, della passione, dell’irriverenza, della rivoluzione.

Al quinto giro la vide. Seduta da sola, al bar, su un alto piedistallo, con in mano un bicchiere di un liquido trasparente che di sicuro non era acqua. Era da sola e questo insinuò in lui un sottile sospiro di sollievo, perchè non sapeva come liquidare Infradito e non aveva trovato una scusa, una qualsiasi scusa, per chiederle di lasciargli il campo libero. Evidentemente era brutta ma intelligente e lo aveva capito da sola... Il gioco stava per iniziare...

Si accostò a Mocassini, da dietro, appoggiandole il mento su una spalla, appena sotto l’orecchio, con la scusa di parlarle da vicino dato che la musica impediva qualsiasi tipo di comunicazione verbale. La vista da quella posizione era assolutamente impagabile. Attraverso il giubbotto di pelle che Mocassini indossava poteva intravedere il profilo interno dei suoi seni e la gonna straordinariamente corta non lasciava invece dubbi sulle splendide gambe. I tacchi a spillo completavano il quadro, restituendo a Martino una eccitazione che gli era partita nella testa fin dal pomeriggio.
Allora sei venuta...?

Mocassini rimase ferma qualche secondo con lo sguardo in avanti, ma Martino non perse un malcelato sorriso. Quindi la donna si girò:
«         Ciao Italiano! »
«         Io sono Martino. E tu, TacchiASpillo? »
«         Eva. Piacere. » e si voltò porgendogli la mano.

Martino sorrise, le afferrò la mano e la riaccostò a sé con impertinenza, schioccandole un bacio sulla guancia, inebriandosi del suo profumo.
«         Sola? » indagò Martino.
«         Eh sì... Stefania è rientrata in albergo dal marito. Non sopportava la musica. Io... stavo quasi per andare... »
«         Oh no, Eva TacchiASpillo... Ora ci sono qui io.... vediamo... cosa stai bevendo? »
«         Vodka. »
«         Ohoh... ci vai giù duro... e a che bicchiere sei? »
«         Mm... secondo? Terzo? Sinceramente non ci ho fatto caso... tu invece mi sa che sei già al quinto? »
«         Sei una strega o mi avevi visto e non mi hai chiamato? »
«         Sei già brillo... Martino...? »
«         Già? Beh, a dire il vero credo di non esser mai tornato davvero sobrio da quando sono partito dall’Italia... eh.. lasciamo perdere, meglio... »
«         Oh ma mi piace... beh, non troppo... ma alla fine ci si lascia andare di più... siamo in vacanza no? Almeno... io sono in vacanza e tu? »
«         Oh sì sì... anche io... e dimmi... cosa ti piacerebbe fare stasera? »
«         Mm.. vediamo... siamo in una discoteca... dunque... ballare? »
«         Prego, madame » disse Martino mimando un galantuomo di altri tempi e porgendole la mano mentre scendeva dal trespolo del bar. Quindi scolò la birra restante nel suo bicchiere e la vodka rimasta nel bicchiere di Eva e la seguì.

Si portarono verso il centro della pista. La musica house rimbombava dagli altoparlanti e le luci si rincorrevano tra soffitto e pavimento, espandendosi a dismisura nella testa di Martino. Eva si muoveva in modo sinuoso e provocante, guardando fisso Martino negli occhi e questo gli dava la certezza del risultato. Si era tolta il giubbetto di pelle, scoprendo uno splendido decolleté coperto a malapena da un top di lamé che spingeva ancora più in alto il suo desiderio. Martino non riusciva a smettere di guardarla e più la guardava, più desiderava appoggiare su di lei il suo corpo che vibrava al ritmo della musica. Così, sfidando il ritmo prepotente, all’improvviso la prese per la vita e la strinse su di sé, per assaporarne le curve, il profumo e la morbidezza della pelle. Conosceva quel profumo... Iniziò a baciarla sul collo, scostandole i capelli biondi per raggiungere l’orecchio. Le mani la cercavano lungo tutto il corpo, finchè lei non lo fermò:
«         Senti... ma andarcene in un posto più tranquillo? »
«         Eh... oh... mm... beh vieni... vediamo cosa c’è qui… »

Martino si avviò verso i bagni e scorse un corridoio un po’ buio laterale, sulla sinistra, ed una porta dove trionfava la scritta “RESERVADO”. Provò ad aprirla e godette nel sentire la maniglia cedere sotto al suo palmo. Entrarono in uno stanzino illuminato da una luce fioca. Non capiva cosa ci fosse. Forse era un piccolo magazzino o una stanza delle scope. Non gli importava. Spinse la donna contro il muro e iniziò a baciarla.

Non sapeva dire quanto tempo fosse passato, ma già la sua pelle era a contatto con quella di lei ed il desiderio era al culmine, quando percepì che la musica era cessata e numerosi voci urlavano e gridavano appena dietro la porta. All’improvviso la porta si aprì e poliziotti in divisa con manganelli e mitra in mano entrarono nel magazzino sorprendendoli. Non capiva cosa stessero dicendo. Un po’ i fumi dell’alcol, un po’ quelli del sesso gli impedivano di realizzare la situazione intorno a lui. Si sentì solo trascinato fuori a spinta, senza possibilità di parlarsi con Eva e si ritrovò con lei e numerosi altri ragazzi all’interno di un cellulare. Dopo circa cinque minuti di curve iniziò a soffrire di claustrofobia e lo stomaco gli urlò fuori dal corpo con un conato di vomito che finì sul pavimento e sulle scarpe di un ragazzo alto molto più di lui e pesante il doppio. Questi si alzò e gli sferrò un pugno al quale Martino rispose senza paura. Dopo vari pugni, un gancio ben piazzato sul viso lo stese a terra e quando si risvegliò scoprì di essere solo in una cella, con le mani ed il volto piene di sangue raggrumato e vomito rappreso. “Porco zio!” pensò “Stavolta sono davvero nei guai”. Di Eva non c’era più traccia nè intorno a lui, nè nei suoi pensieri.

Urlò fino a che un poliziotto non si presentò alla porta e chiese di fare una telefonata.
«         Roby... c’è stato un golpe. Il generale Franco mi ha catturato... Sono alla centrale... vienimi a prendere, per favore... »

Quindi ricadde svenuto, sentendo solo nel profondo subconscio le bestemmie dell’amico. Ma tanto ci era abituato...

***

Quando Roberto arrivò alla centrale, gli spiegarono sommariamente che Martino era stato coinvolto in una retata in discoteca. Tutto sarebbe andato liscio, se non fosse stato per il fatto che era visibilmente ubriaco, lo avevano trovato seminudo in uno sgabuzzino con una donna e aveva partecipato alla scazzottata nel cellulare della polizia. Ora era in arresto, in attesa di un avvocato. Per fortuna Roberto si era portato anche Mariciel, che aveva pazientemente tradotto quello che il poliziotto gli spiegava in stretto dialetto catalano.

 Il poliziotto fece cenno a Roberto di entrare in uno stanzino. Roberto si sedette, aspettò circa dieci minuti e poi sentì la porta aprirsi alle spalle. Quello che vide non era il suo amico. Aveva i pantaloni e la camicia sporchi di sangue. Il volto pieno di lividi, sangue e qualcosa d’altro che non riuscì a definire. Lo sguardo era perso nel vuoto.
«         Ma che ca... spita hai combinato, si può sapere? Non ti posso lasciare... »
«         Senti, non farmi la predica. Mi tirava quella di oggi pomeriggio, mi sono infilato in uno stanzino per farmela e lei ci stava... oh dovevi vedere come ci stava la “sciura”.... una bomba... sembrava non vedere un... »
«         Senti Martino... qui la faccenda è seria. Non fare il deficiente come al solito. »
«         Oh.. sembri mio padre. Vabbè, vaffanculo tu e la spagnola. Vaffanculo! Chiama mio padre e vattene dove cazzo vuoi. Lasciami in pace. Ne ho abbastanza di prediche! »
«         Va bene lo chiamo. Hai... hai bisogno di qualcosa? »
«         Sì, cazzo... che te ne vai tu e quello sguardo perbenista che ti porti appresso. ‘Fanculo a te e a quella stronza... vattene... »

Visibilmente alterato Roberto si alzò e chiuse la porta, mentre dal di dentro un urlo lo ferì alle orecchie.
«         Roby..... »

Non si lasciò intenerire. Chiamò il padre di Martino, prese per mano Mariciel e uscì dalla centrale.

Mariciel non parlava. Alla fine fu Roberto che decise di spezzare il silenzio con un sorriso.
«         Dici che mañana.. amigos a Ibiza? Insieme? »
«         Y Martino? » gli chiese Mariciel visibilmente preoccupata.
«         Oh Martino.... su padre vienes aquì mañana. Ci piensa lui. Es avocado... »

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