Sto fissando il cursore lampeggiante da mezzora ormai.
Il foglio rimane immacolato, non compare nulla. Solo il cursore sporca la pagina immacolata.
A volte compaiono parole, piccole frasi, ma durano pochi secondi e subito dopo spariscono, cancellate da una mano arrabbiata e scoraggiata. Non so fare più nemmeno questo. Non so più nemmeno scrivere qualcosa di utile, qualcosa di bello o qualcosa di almeno leggibile.
Dov’è finito l’entusiasmo di un tempo? Dov’è finita la passione? L’energia di cui vibravano le parole che velocemente iniziavano a riempire lo schermo? Andata, sparita. Non è rimasto più nulla di tutto quello che un tempo dava un altro colore alle giornate. Fuori dalla finestra il tempo è triste, anche il panorama cittadino si rifiuta di offrire uno spunto.
Vedo il cielo grigiastro, con momenti alternati di sole e nuvole, ma tutto rimane stinto e senza vita.
Il canto di un passerotto su un tetto vicino si fonde con il passare delle auto e il vociare nella via sotto la mia finestra. Un filo d’aria arriva e mi lascia un brivido sulla pelle. Fa quasi freddo, nonostante il giorno dell’inizio dell’estate si stia avvicinando sempre di più. Molto più probabilmente sono io che sento più freddo di quanto in realtà non sia. Meglio chiudere la finestra in ogni caso.
Lentamente mi alzo e con passi faticosi e pesanti mi avvicino alla finestra e la chiudo. Mi soffermo un momento a guardare fuori, a osservare quel panorama che conosco fin troppo bene, che vedo da troppo tempo. Sospiro e torno lentamente alla scrivania piena di libri e occupata dal piccolo computer portatile, che ancora non so se odiare od amare.
Odiare, perché tutti questi aggeggi tecnologici che ti promettono magie e miracoli, in realtà stanno rendendo tutto troppo facile, troppo moderno e troppo distante dalla realtà.
Amare, perché per il sottoscritto è una grande comodità, un valido aiuto.
Certo, preferisco e preferirò sempre vedere inchiostro vero su carta vera, piuttosto che una cosa finta e fin troppo perfetta dietro uno schermo, ma in fondo devo ammettere che senza questo piccolo aiutante sarei morto già da un pezzo. O almeno, la mia mente sarebbe morta. La mia passione e i miei ricordi, la mia arte e le mie capacità, la mia saggezza acquisita con anni di studio personale. E la vita qui, in questa piccola stanza dalle pareti verde pallido, con fiori freschi cambiati ogni due giorni e l’inconfondibile odore di ospizio sarebbe stata solo un susseguirsi di giorni bui e tristi. Guarda un po’, sono riuscito a riempire quasi una pagina. Ma rimango comunque un povero vecchio che vive di ricordi e rimpianti, chiuso qui, in un edificio che di verde ha solo le pareti delle stanze e pieno di persone come me.
Mi hanno detto, le infermiere e i parenti, che se passassi più tempo nella sala comune troverei moltissimi spunti per i miei scritti, ma io di storie del passato di vecchie persone ne ho abbastanza, mi basta la mia. E non voglio essere ricordato come uno scrittore di biografie, voglio poter scrivere di nuovo cose importanti come una volta. Come prima del maledetto Parkinson.
Un cappello pieno di ciliege, di Oriana Fallaci
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Avevo iniziato a leggere questo libro molti anni fa e non ero riuscita a
superare le prime dieci pagine. Adesso, forse complice un’età più avanzata
e un...
3 mesi fa
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