venerdì 29 luglio 2011

La pecora nera - Epilogo

Irma prese la busta con mani tremanti senza distogliere lo sguardo dagli occhi di Edgardo. Cosa avrebbe trovato, una volta aperta la busta? Lui la invitò ad aprirla con lo sguardo e lei lo fece con gesti lenti. Tirò la lettera fuori dalla busta e cominciò a leggere lentamente, come sapendo che sarebbe stata spaventata dalle parole che vi avrebbe trovato. Lesse una volta, lesse una seconda. Poi lesse il mittente, sgranò gli occhi e rilesse un’altra volta, stavolta saltando con lo sguardo da una parola all’altra, senza vederle davvero. Poi inspirò a fondo e tornò a guardare Edgardo.
- Chi è mai questo Piero, Edgardo? – L’uomo scosse la testa. Non lo sapeva davvero.
- Sono anni che faccio ricerche, ma non mi hanno portato a nulla. – Irma sospirò.
- Sono parole forti quelle che ho letto in quella lettera. Sono parole che non sono state scritte a cuor leggero, tutt’altro. Sono parole sofferte.- Irma annuì gravemente.
- Hai mai provato a cercare il nome della donna? – Edgardo arrossì.
No, non ci aveva mai pensato. L’ultimo dei suoi problemi era sempre stato quel nome femminile, Rebecca Calamandrei. Si arrabbiò con sé stesso per non averci mai pensato, ancora rosso in viso si avvicinò al computer e, con non poche difficoltà, riuscì a ricercare quel nome sul motore di ricerca. I primi risultati erano deludenti, solo pagine di social network, qualche impresa con lo stesso nome, pagine che non c’entravano nulla.
Non si scoraggiò e tentò la sorte cercando in altre due o tre pagine di risultati. Poi cercò sulle immagini, e una in particolare attirò la sua attenzione. Una crocerossina, una foto in bianco e nero che ritraeva una giovane donna sorridente. Cliccò sull’immagine e venne reindirizzato ad una pagina dedicata ai conflitti della prima e seconda guerra mondiale, che riportava un articolo pubblicato pochi anni prima.
Nell’articolo l’autore sosteneva di aver raccolto le testimonianze dei sopravvissuti, di chi aveva vissuto quelle esperienze. E proprio un articolo era dedicato a Rebecca. L’intervista era datata 6 marzo 2006 e Rebecca parlava della sua esperienza come crocerossina, cominciata a soli 17 anni nel lontano 1936. La donna parlava della vita in missione, degli orrori, delle paure, di tutta quella terribile vita che aveva vissuto. Un pezzo dell’intervista colpì Edgardo: la donna parlava di uno stupro, dopo il quale era rimasta incinta e dal quale aveva avuto un bambino. Il bambino le era stato portato via, lei accusata di tradimento dal marito, che poi era partito e non si era più fatto vedere.
“Mio marito, Piero, partì non appena gli rivelai il nome dell’alto grado che mi aveva violata. Mi picchiò quella notte. Poi partì alla ricerca di quel Maresciallo.”.
Piero, ecco quel nome. Irma si portò le mani al petto, stringendo la piccola croce dorata che aveva al collo. I due cominciarono poi a parlare concitati, a fare supposizioni, a porsi domande che non trovavano risposta. Improvvisamente, Edgardo non parlò più. Iniziò a respirare faticosamente e i suoi occhi non videro più nulla. Le sue orecchie percepirono la voce di Irma che chiamava aiuto. Poi tutto si dissolse.

Quando riaprì gli occhi, Edgardo vide un soffitto bianco e dei cavi penzolare sopra la sua testa. Era in ospedale, non riusciva a muoversi e respirava grazie a una macchina. Sentiva solo il suo volto, le sue spalle, le sue braccia. Nulla di più. Mosse gli occhi a destra e a sinistra, ma la vista era ancora annebbiata.
Le sue orecchie percepivano rumori ovattati. Rumore di passi.
Un volto entrò nel suo campo visivo. Era un medico, o almeno così sembrava.
- Lei è fortunato, mio caro signore. Non avevo mai avuto a che fare con sopravvissuti del Sarin. E sinceramente mi chiedo dove diamine lei abbia avuto la fortuna di imbattersi in un gas dell’epoca dei conflitti della Seconda Guerra Mondiale.- Se lo chiedeva anche Edgardo. Ma più di tutto si chiedeva dove fosse Irma. Sussurrò il nome con voce roca al dottore, che si sistemò gli occhiali sul naso, poi li tolse per pulirli e poi li rimise al loro posto.
- La signorina Irma è ricoverata. È entrata in coma e sinceramente non mi sento di dire che supererà la notte. Intossicazione da Sarin.-
A Edgardo si riempirono gli occhi di lacrime, che poi cominciarono a scorrere sulle guance. La povera Irma era stata vittima di un attacco che doveva essere rivolto solo e solamente a lui. Non poteva morire per causa sua, non la povera Irma. Il dottore si schiarì la voce e parlò di nuovo prima di andarsene.
Edgardo non aveva capito, ma capì quando entrò nel suo campo visivo Andrea.
L’uomo lo guardò sprezzante.
- C’è chi uccide con iprina e c’è chi ci prova con Saprin. Chi uccide con l’iprina fa migliaia di vittime, chi con il Saprin nemmeno una. La vita è ingiusta.- Edgardo non poteva credere alle sue parole. Aveva gli occhi sgranati e l’accelerare del suo battito cardiaco era segnalato dal rumore delle macchine.
Andrea si avvicinò di più al volto di Edgardo.
- Mio nonno è stato ucciso da quel cane di Graziani. E per difendere l’onore di sua moglie. Mio nonno era un eroe.-
Andrea era discendente di Rebecca. Andrea lo odiava perché i loro passati si erano incontrati e scontrati violentemente. Il nonno di Andrea era andato a caccia di Graziani e quando l’aveva trovato aveva provato la sua vendetta, ma invano. Era morto per difendere l’onore della giovane moglie. Questo era quello che diceva Andrea. Ma Edgardo aveva un’altra storia da raccontare.
Con la voce ancora roca e la gola dolorante aprì la bocca per parlare.
Lo sguardo di Andrea era quello di un uomo pieno d’odio.
- Nella mia stanza. Una lettera con una busta avorio. Inviata dal Maresciallo Graziani. Leggila. Torna se sono vivo. Torna e riportala.-
Andrea non capì quelle parole, ma si allontanò a grandi passi, diretto verso la casa di riposo, pensò Edgardo. Ma Andrea ci era stato quella mattina.

Quella mattina.

Irruppe nella stanza di Edgardo e cercò come una furia quella lettera. La trovò e la lesse velocemente. Era indirizzata alla famiglia Calamandrei, il cognome del nonno materno che Andrea aveva adottato anni prima. Lesse una prima volta, ma non ci credette. Così lesse di nuovo.
Il Maresciallo si presentava. Parlava delle sue origini, della sua posizione sociale, del suo ruolo nell’esercito. Raccontava dell’esperienza nei luoghi maledetti della storia. E in quegli stessi luoghi collegava Rebecca, la crocerossina che aveva sposato. Era in quel punto che la lettura diventava difficoltosa per Andrea. Il Maresciallo aveva sposato Rebecca, allegava tanto di documento, e il figlio nato in quella relazione era legittimo.
E Rebecca aveva confessato tutto al funerale del marito a un ufficiale che lavorava per il Maresciallo. Aveva confessato di essere stata la promessa sposa di Piero in Italia. Di aver accettato, accecata dall’illusione di potere e ricchezza, il matrimonio con il Maresciallo, celebrato in terra straniera. E poi l’arrivo del promesso marito e la scoperta della relazione tra Rebecca e il Maresciallo. Cosa fare se non inventare una storia che fosse credibile per quel tempo anche a distanza di anni? Era stato semplicissimo, era bastato accusare l’attuale marito, il Maresciallo, di violenza per scatenargli contro l’ira del promesso sposo, e non solo. E come se nulla fosse, una volta tornata in patria aveva potuto sposare il suo promesso sposo.
Subito dopo il matrimonio con Rebecca era partito alla ricerca del Maresciallo, ma l’aveva trovato solo anni dopo, fallendo nella sua vendetta. Aveva avuto una figlia nel frattempo, la madre di Andrea, che non vide mai.
Aveva lasciato la moglie incinta per vendicare una violenza mai accaduta e Rebecca non aveva fatto nulla per fermare il marito che andava incontro a morte certa.
Ad Andrea girava la testa.
Il Maresciallo aveva accettato che la versione di Rebecca diventasse la versione ufficiale. Aveva accettato che si spargesse la voce della violenza, che fosse resa ufficiale la sua crudeltà mai esistita, per salvare quella donna tanto amata, che dimostrò di non amarlo affatto come invece giurava.
Si dispiaceva per quella morte ingiusta e lasciava tutti i suoi averi, anche se pochi, alla famiglia Calamandrei, come gesto di perdono.
Andrea lasciò cadere la lettera a terra.
La pecora nera era sua madre, in quella storia.
Il Maresciallo era la pecora nera della Storia, ma sua madre era la pecora nera in quella storia. E quella storia era quella con cui avrebbe dovuto convivere fino alla fine dei suoi giorni. Il Maresciallo era ricordato per il male che aveva fatto, sua madre per quello che non aveva subito, che fingeva di aver subito.
La sua esistenza, colma di odio e desiderosa di vendetta era basata sul nulla.
Pieno di vergogna, di rabbia, di tutti i sentimenti peggiori che l’animo umano può provare aveva bagnato la busta col gas in forma liquida, avendo prime preso ogni precauzione possibile con la calma tipica di chi è mosso da follia e odio e l’aveva rimessa al suo posto.
Andrea sapeva la verità, probabilmente la sapeva anche Edgardo. Ma era meglio che fosse lui l’unico a custodirla.
Il Maresciallo doveva continuare ad essere odiato. E con lui la sua discendenza.
Uscì dalla piccola stanza e si allontanò, attendendo di udire il suono dell’ambulanza.

Edgardo era uscito dall’ospedale due settimane dopo. Irma un mese dopo.
Insieme erano tornati alla casa di riposo, entrambi privati di qualche capacità di movimento. Entrambi segnati da quella storia, colpiti dalla lettera che sapeva troppo e che per fortuna non esisteva più.
Edgardo non parlò mai più di quella storia. Aveva acceso il computer e cancellato quella storia ancora priva di nomi certi a cui stava lavorando. Parlava di un personaggio sanguinolento e controverso e raccontava quella vita sconosciuta che lo rendeva più umano.
Non gli importava più di ricordare quella storia che solo lui sapeva.
Edgardo aveva smesso di credere nella redenzione delle persone.

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