martedì 5 luglio 2011

ALBA - Cap. 3

OGGI
Appoggi la borsa con il portatile sul tavolo accanto al letto.
Più tardi proverai a scrivere qualcosa. Buttare giù qualche idea, rivedere qualche pagina tra le centinaia che hai scritto negli ultimi sei mesi, e che come molte altre cose nella tua vita sono state lasciate a metà. Incompiute.
Quando pubblicasti la prima raccolta di racconti, per un editore di secondo piano della scena romana, ti sembrava di aver finalmente sfondato. Pensavi già di dedicarti seriamente alla letteratura, all’Arte. Accarezzavi il sogno di abbandonare la carriera di giornalista di un anonimo bisettimanale con la pretesa di essere il punto di riferimento giornalistico del comprensorio di Casale Monferrato – e che troppo spesso dedicava la prima pagina alla lotta alle zanzare o al preoccupante caso del vino adulterato.
In realtà, dedotte le spese, il compenso dell’editore si rivelò appena sufficiente per qualche cena con gli amici in ristoranti eleganti in cui esisteva addirittura una carta dei vini e non una generica indicazione “rosso della casa”, qualche regalo per tua moglie e un viaggio alle Eolie.
Il secondo libro andò meglio, e fu un ottimo trampolino di lancio per permetterti di agganciarti ad un editore serio, che comprò il terzo libro e pubblicò il quarto – un’altra raccolta di racconti.
Continuavi a lavorare al giornale ma, come dicevi da ragazzo, tanto per. Ti dava l’idea di essere quello che tuo padre avrebbe definito una persona inquadrata. Potevi coltivare il tuo hobby – nessuno dalle tue parti l’avrebbe mai potuta considerare una professione seria, dopotutto – con la consapevolezza di avere una sorta di “paracadute” nel caso in cui la tua vena creativa si fosse prima o poi prosciugata.
Ora hai lasciato anche il giornale.
Non c’è più bisogno di nessuno che ti ricordi che sei tornato ad essere quello che non hai mai avuto il coraggio di ammettere, né con tuo padre, né con Sara, né tantomeno con te stesso.
Hai soltanto bisogno di quel momento. Ci stai pensando da sei mesi.
Il cellulare che squilla ti riporta violentemente alla realtà. Sbatti un paio di volte le palpebre e lo prendi. Guardi il display. Luca.
Il tuo agente. Ti sta chiamando dall’Italia – dove sono più o meno le quattro del mattino. Conoscendo Luca, non è del tutto sorprendente.
“Luca”, lo saluti senza entusiasmo.
“Ciao, bwana”. Luca ti ha appioppato quel nomignolo dopo essere stato in Africa. Non particolarmente originale, ma ti faceva ridere. “Come procede il viaggio?”
“Sono arrivato nello Utah, nei pressi di Bryce”.
“Dove volevi arrivare, giusto?”
“Dove volevo arrivare, più o meno. Che c’è? Chiami per dirmi che mi hanno fatto senatore a vita per il mio contributo fondamentale alla letteratura italiana?”
Luca ride. “Non sei così fortunato. Anzi, cazzo, io non sono così fortunato”. Una pausa. “No, la verità è che stavo tornando a casa e mi sono detto, ‘beh, perché non sentiamo come sta il vecchio bwana?’”
“Grazie per aver usato il termine vecchio in una frase di cui io sono l’oggetto.”
“Naaah, lo sai che mi va di scherzare. Non sei vecchio. Non si è mai troppo vecchi per scrivere, giusto? Prendi Hemingway…”
Sospiri. “Hemingway si è ammazzato. Per cui forse dopotutto si sentiva vecchio.”
“Hemingway si è ammazzato perché ha capito che quello che scriveva era un dannatamente palloso, didascalico e così carico di testosterone da far venire un orgasmo multiplo a una ninfomane. Tu sei decisamente meglio. Hai scritto qualcosa, ultimamente?”
Sapevi che Luca voleva arrivare lì. D’altra parte, il principio che regola la tua attività è relativamente semplice: la casa editrice paga, per cui devi saltare quando schiocca la frusta.
“Qualcosa sì. Niente che mi farà vincere il Nobel per la letteratura, almeno per quest’anno, comunque.”
“Cristo, voi piemontesi del cazzo. Sempre a fare understatement. Mi mandi qualche aggiornamento, per favore?”
“Siamo ancora alle bozze, Luca. Sai che detesto mandare in giro roba non revisionata.”
Senti lo sbuffo di Luca attraverso il cellulare. Non è la risposta che voleva sentirsi dare.
“Senti, bwana, devi darmi qualcosa da buttare in pasto all’editore, altrimenti quello si incazza, okay?”. Pausa. Si sta accendendo una sigaretta. Senti nettamente lo scatto dello Zippo che si richiude. “E noi non vogliamo che l’editore si incazzi, giusto?”
“Digli che è colpa mia. Necessità artistiche. Cerco la forma perfetta. Il romanzo a chiave. Stronzate così, inventati qualcosa.”
“E’ un po’ troppo tempo che stai cercando la forma perfetta… Però loro non si aspettano che tu scriva la pagina definitiva della letteratura italiana.”
“Se stessi scrivendo quel tipo di roba, probabilmente non lavorerei per loro”, commenti acido. “Che differenza vuoi che faccia una volta in più o una volta in meno, Cristo santo?”
“Fa differenza. Una differenza enorme. La differenza tra l’essere sotto contratto e il non essere sotto contratto”. Luca aspira furiosamente una boccata. Ti sembra quasi di vederlo, mentre risucchia le guance avvolgendo il filtro con le labbra. “Per quanto mi riguarda, e scusa la franchezza, la differenza fra il percepire una percentuale e il non percepirla.”
“Allora affanculo il contratto”. E la tua commissione del cazzo, vorresti aggiungere.
Un altro sbuffo.
“Ascolta, bwana, io capisco che stai attraversando un periodo di merda…”
“Luca, non mi va di parlarne”, cerchi di interromperlo.
“…Però quel cazzo di contratto prevede un libro entro il primo trimestre del 2011, e tenendo presente che siamo alla metà di agosto del 2010, sai com’è…”
“Non mi va di parlarne”, dici. Schiacci il tasto che decreta la fine della conversazione con Luca, che cerca invano di dire qualcosa mentre la linea viene interrotta. Ti dispiace, ma è così che va, oggi. Spegni il cellulare, per evitare un secondo round che non potresti assolutamente reggere.
Al diavolo i contratti.
Al diavolo l’editore.
Al diavolo anche Luca.
Semplicemente, non ha più senso.
Non sei infastidito dal riconoscere, dopo ogni telefonata di questo tipo, che quella che dovrebbe essere produzione artistica in realtà viene considerata alla stregua di qualsiasi altro bene o servizio, per cui scrivere un libro non è considerato sostanzialmente diverso dallo sfornare una frittella. Sei sufficientemente disincantato per capire che non funziona più così. E il sapere che non stai scrivendo pagine immortali che verranno tramandate ai posteri non è mai stato un problema per te.
Quello che ti dà fastidio è l’intollerabile abuso della tua privacy, il fatto che Luca – e per suo tramite l’editore – si insinuino di soppiatto in un momento che desideri rimanga assolutamente e totalmente privato. Tuo. Il fatto che non lavori più in un ufficio, che non sia tenuto a rispettare rigidi orari o schemi, non li autorizza a considerarti perennemente al lavoro.
Inoltre, non sei a Two Pines per una vacanza.

Nessun commento:

Posta un commento