mercoledì 6 luglio 2011

ALBA - Cap. 4

IERI
Lei è distesa di fianco a te.
Dorme profondamente, nuda sul copriletto, i seni che si alzano e si abbassano con regolarità, la bocca semiaperta come pronta a ricevere un bacio.
Mentre ascolti il suo respiro, ti alzi piano e ti infili i jeans e le scarpe da ginnastica. Esci piano sulla veranda, cercando di non fare troppo rumore. Ad ogni scricchiolio delle assi sul pavimento ti fermi aspettandoti di sentire la sua voce che ti chiede “Dove vai?”.
Ma Sara continua a dormire.
Ti chiudi la porta alle spalle mentre senti già il sudore che ti fa rabbrividire a contatto con l’aria fredda della notte. Ci saranno meno di quindici gradi. La pelle ti si accappona sulle braccia.
Accendi una sigaretta e soffi piano il fumo della prima boccata che sibila tra le tue labbra, che tremano leggermente. Un brivido.
Davanti ai tuoi occhi, gli abeti sono una macchia indistinta contro il nero del cielo. La luna è velata. Ti sembra quasi di guardarla con gli occhi ancora appannati di chi si è appena svegliato.
Lontano, alla tua destra, avverti il cigolio discreto del pozzo a vento.
Stai cercando di imprimerti negli occhi e nella testa quello che stai vedendo, quando dietro di te senti scricchiolare il pavimento.
Sara è in piedi, avvolta nel copriletto navajo.
“Non riesci a dormire?”, ti chiede.
“Stavo per farti la stessa domanda”, rispondi. “In realtà stavo pensando”.
“Fammi fare un tiro”, dice lei, indicando la sigaretta. Gliela passi. Sara aspira una boccata, sbuffa il fumo dalle narici e te la restituisce.
“A cosa?”
“A questo”, rispondi, allargando le braccia. “Ascolta. Questo… Silenzio. Non ti sembra… Non ti sembra davvero di essere in un altro mondo?”
“O magari in un altro tempo”, replica Sara.
“Già. Se non facesse tanto guida turistica, lo descriverei come ‘suggestivo’. Si, è la parola adatta”.
“Suggestivo, sì”, ripete lei, come se volesse assaporare il gusto di quella parola. Si stringe ancora di più nel copriletto. “Se solo non facesse così freddo”.
Annuisci. “Rientriamo, prima di beccarci una polmonite. Non vorrei ammalarmi qui. Non credo nemmeno che sappiano cos’è un dottore”.
Sara ride.
“Il posto ideale per ambientarci una saga familiare alla Steinbeck, hai presente? Tipo Furore, roba così. Isolamento spaziale e culturale, fortissimi legami familiari, opprimente cultura religiosa di matrice protestante…”, dici.
Sara si mordicchia una pellicina sul pollice.
“Hai voglia di scrivere? Intendo… Di questo?”
Annuisci di nuovo. “In realtà non ho in mente niente di particolare ma voglio farlo. Appunti, sensazioni. Voglio… Voglio fissare questo momento”.
Si avvicina e appoggia la testa sulla tua spalla. “Ti amo”.
Non te lo aveva mai detto.
Mai prima di allora, mai negli otto – otto? Sono già otto? – mesi in cui vi siete frequentati.
Era ovvio che foste attratti l’uno dall’altra fin dall’inizio. Era evidente che foste splendidi, insieme. Tutti i vostri amici lo sostenevano. La coppia perfetta, dicevano, se mai ne fosse esistita una.
Ma Sara non te lo aveva mai detto, e tu fino a quel momento non avevi mai realizzato quanto avessi bisogno di sentirtelo dire. Quanto fosse bello sentirselo dire.
Hai di nuovo un brivido, ma sai che non è per il freddo questa volta.
“Anch’io ti amo”, rispondi.
La abbracci, il suo calore contro la tua pelle gelida.

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