Immobile davanti alle macerie, Ascanio non riusciva a pensare ad altro che alla sua Sabrina.
Quelle macerie sembravano uno strano e terribile segno del destino.
Era sempre stato particolarmente superstizioso, tanto da aver quasi gioito alla notizia che il gatto nero di Sabrina fosse scomparso, e quel ponte, quel simbolo di unione crollato lo metteva in agitazione come non mai. Ammetteva che era una cosa stupida, che un vecchio ponte decide di crollare nello stesso giorno e nell’esatto punto dove doveva incontrare la donna che non vedeva e che aspettava da vent’anni era solo una coincidenza. Una stranissima coincidenza.
-Forse non è destino.- disse a sé stesso rassegnato. Aspettò ancora qualche minuto, sperando di vederla arrivare di corsa, attirata dallo stesso rumore, ma non vide altro che cielo e macerie per i minuti successivi.
Tornò a passi lenti verso l’auto e ripartì alla volta della città.
Guidava lentamente, non sentiva nemmeno gli insulti che gli rivolgevano gli altri automobilisti, o forse semplicemente non gli importava. “Non è destino” si ripeteva.
Era meglio credere che fosse stato il destino a non volerli più insieme piuttosto che pensare che fosse successo per una precisa scelta di Sabrina. Lei non poteva non essersi presentata di proposito, c’era una promessa tra loro due. Si, decisamente era colpa del destino.
Raggiunse finalmente il centro città, sempre guidando pigramente e senza voglia.
Senza pensarci raggiunse il piccolo bar dove la loro compagnia si ritrovava tutti i pomeriggi, estate o inverno, freddo o caldo, bello o brutto tempo. Loro erano sempre li, sempre tutti insieme. E se uno non poteva venire, non andavano nemmeno gli altri. Mancava qualcosa se mancava qualcuno del gruppo. O almeno fu così finché lui e Sabrina non diventarono una coppia. Allora sì, ci si trovava al bar, ma puntualmente i due sentivano l’estremo bisogno di staccarsi per un po’, di rimanere soli. E allora raggiungevano a piedi, tagliando per le viuzze strette del paese, il castello e li i loro pomeriggi correvano in un batter d’occhio.
Ascanio scese dall’auto ed entrò nel piccolo bar affollato. C’era caldo li dentro, c’era sempre caldo. Il che può far comodo in inverno, ma già da maggio lo rende poco sopportabile. Eppure la gente faceva la fila per i cappuccini e i croissant, rigorosamente da ordinare insieme. Erano ottimi davvero, Ascanio lo sapeva bene visto che Sabrina li adorava, ma non riusciva a finirli e quindi era costretto a mangiare la sua porzione più quello di lei.
Si riscosse dai suoi pensieri quando il proprietario lo salutò e gli chiese se aveva già scelto cosa ordinare. “Il solito, grazie”, che poi era quello che dicevano tutti.
Il barista tornò poco dopo e si appoggiò al bancone guardando Ascanio da sopra gli occhiali.
-Dì un po’, hai incrociato Ennio di recente?- Ascanio negò con la testa.
-Ha fatto i soldi caro mio, eh si. Ha una gran bella macchina, uguale alla tua. E non vorrei sbagliarmi, ma io non mi sbaglio mai… Comunque, secondo me ha fatto qualcosa al viso. Sarà la barba, un po’ come la tua, ma ha un naso piuttosto diverso da quello da pugile che mi ricordavo. Sai, quel naso schiacciato che gli creava quella voce irritante…- il vecchio barista continuava a parlare, mentre i pensieri di Ascanio si erano fermati al “Ha fatto i soldi”.
Che cosa aveva fatto Ennio della sua vita? Non erano rimasti in contatto e in 20 anni non si erano più incontrati.
“Buffa la vita. Torni per incontrare la donna che ami e rischi di incrociare l’uomo che la ama”. Pensava sorseggiando il cappuccino.
Si voltò verso la sua auto parcheggiata li fuori. Ora anche Ennio aveva una Ferrari.
“E la sta parcheggiando accanto alla mia!”
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