mercoledì 13 aprile 2011

Lo scrittore

Quarto capitolo

La luce si accese improvvisamente e Kelly strizzò gli occhi. Aveva dormito. Aveva mal di testa. Sicuramente quella pazza aveva fatto qualcosa per farla addormentare. Un sonnifero? No, non ricordava di aver bevuto o mangiato qualcosa, anzi! Il suo stomaco quasi brontolava… figurarsi!! E la sua bocca era asciutta, la gola riarsa sentiva il bisogno di bere.

Appena ebbe il tempo di riadattarsi alla luce, vide sul tavolino vicino a sé un bicchiere d’acqua ed un panino. Si avventò. Mangiò a grandi morsi, ma quei pochi bocconi se li sentì di nuovo subito in gola... Bevve, ma la sua gola non trovò ristoro.

Provò a parlare…
- Eva? Ci sei?
- Certo. Sono sempre qui. Dove vuoi che vada? Sto aspettando…
- Co… cosa?
- Che tu risponda alla mia domanda, piccola Kelly… non te la ricordi?
- No… Eva ti prego, fammi uscire. Ti giuro che farò qualunque cosa mi chiederai, ma fammi uscire di qui. Non resisto…
- Cosa ti ricordi di me?

Kelly non rispose. Mise il broncio come una bambina dispettosa che vuole farti cedere con il suo silenzio. Ma Eva non sembrava voler mollare...
- Cosa ti ricordi di me? Rispondi, Kelly…
- E va bene… ma poi mi fai uscire?
- Il gioco lo conduco io. Rispondi e basta. Cosa ti ricordi di me?

Kelly si arrese. Si stese sul divano e chiuse gli occhi, come se volesse recuperare davanti a sé tutti i suoi ricordi. «Adesso immagino di essere in uno studio di una psicologa» diceva tra sé e sé, come se cercasse un motivo, un beneficio per richiamare a sé il suo passato, lo stesso passato che aveva voluto dimenticare. Rimase in silenzio cinque minuti. Eva non parlava. Probabilmente la stava osservando. Ma da dove? Non aveva visto telecamere… in realtà non aveva guardato molto in giro… Si arrese e iniziò a parlare a se stessa…

- Io… io ho una immagine di te che non ho mai scordato. E’ la prima che mi viene in mente… Eri sulle scale della scuola. Credo fosse estate, forse uno degli ultimi giorni di scuola. Eri seduta sugli ultimi gradini, quelli più in alto, appena fuori dall’ingresso. Io ero arrivata in anticipo e a quell’ora praticamente non c’era nessuno. … Sì, nessuno se non te. Mi ero fermata a guardarti da giù, in fondo alla gradinata. Avevi una maglietta rossa con le maniche corte ed i jeans. I libri sulle ginocchia. Ed in mano un krapfen. Un krapfen di quelli tondi, pieni di zucchero fuori e di crema dentro. Lo avevi appena addentato. Lo zucchero era tutto intorno alla tua bocca. Masticavi con gusto. Dal pezzo di krapfen che avevi in mano trasudava una crema gialla chiara e tu prendevi ogni tanto con l’indice dell’altra mano un pezzettino di crema e lo mettevi in bocca e te lo succhiavi, alzando gli occhi per il piacere. Io… ecco, io quelle cose non potevo permettermele. Mia madre odiava i dolci e ci teneva alla linea in un modo che oggi qualsiasi persona giudicherebbe “malato”. Dovevo fare le colazioni sane, con frutta, yogurt e cereali. Qualche volta, se ero stata brava mi meritavo due biscotti, di quelli secchi, però. Mai una volta che potessi sgarrare. Anche la merenda… tu portavi le focacce, i panini con il salame o il prosciutto. Io ti invidiavo. Anche se forse tu eri da sola, ferma da qualche parte in giardino, sotto un albero… ed io ero con le altre amiche, beh, io ti invidiavo. A me era concesso un pacco di crackers e basta. Se avevo ancora fame dovevo tenermela fino a pranzo. Guai a mangiare qualcosa di diverso.

- Ma scusa… se avessi mangiato qualcosa di diverso come avrebbe fatto tua mamma a scoprirti?
- Forse non avrebbe mai potuto… Eppure quelle volte che per caso aveva scoperto che avevo mangiato un cioccolatino, un po’ di patatine… cose così insomma… beh, mi aveva lasciato senza cibo per un giorno intero. Solo acqua ed un po’ di pane… e botte, tante botte… Io… vedi io non mi azzardavo nemmeno ad assaggiare qualcosa che mi veniva offerto, per paura che lei conoscesse un modo per scoprirlo.
- Capisco perché sei così magra, allora…
- No… è stato molto peggio di quello che ti ho raccontato. Durante l’adolescenza alla fine ho trovato il modo per ribellarmi. Lei voleva che mi controllassi nel mangiare «perché le persone grasse hanno mille difficoltà nella vita e poi sono brutte, a vedersi, non hanno amici, tutti li lasciano da soli» ! Se ti vedesse… scoppierebbe… sai, lo so che sei diventata importante… li leggo i giornali…
- Sì.. ma non è di me che voglio parlare. Avanti…
- Ecco… lei voleva che io mi controllassi ed alla fine ce l’ho fatta talmente bene che sono diventata anoressica. Quel poco che lei mi dava, alla fine lo vomitavo, perché era un po’ come vomitare lei. Io non la sopportavo. Non so se fosse un modo per dimostrarle che ero più brava di quello che lei pensasse, addirittura controllandomi più di quanto lei mi chiedesse o se fosse un modo per punirla, riducendomi ad un mucchietto di ossa ricoperto di pelle secca.
- Come ne sei uscita?
- Oh no… non ne sono uscita… o meglio, sono stata molto male verso i diciassette anni. Sono stata in ospedale, ho saltato l’anno della maturità. Mi hanno curato ma appena uscita ho ripreso. Meno di prima… cioè mi limitavo fortemente ma qualcosa mangiavo. Mangiavo e mangio come un uccellino… ancora adesso. Odio il cibo. Odio tutto ciò che rappresenta. Hai visto prima? Avevo tanta fame che ho ingurgitato il panino, ma era più l’idea della realtà… Odio mia madre per quello che mi ha fatto. Anche se è morta da qualche anno, il dolore che ho provato per la sua morte non è riuscito a far sì che la potessi perdonare per quello che mi ha fatto. Era troppo per una bambina. E’ ancora troppo…
- E tuo padre?
- Mio padre… un uomo assolutamente vile, senza polso. La lasciava fare. Lui non sapeva come trattarmi, non sapeva come fare con me perché ero una bambina… si curava di mio fratello più piccolo, lo portava in giro alle partite di calcio, lo allenava, passava un mucchio di tempo con lui. Io soffrivo… perché lo adoravo! Lo guardavo come fosse un dio! E lo desideravo un po’ per me… Lui non c’era mai per me: io ero dedicata a quella madre secca nel cuore almeno quanto lo era anche nel fisico.

Kelly rimase per un attimo in silenzio. Poi si mise seduta sul divano e chiese:
- Posso avere un po’ d’acqua, per favore?

Le rispose il silenzio. Dopo un po’ le luci si spensero per qualche minuto, durante i quali percepì solo ad un certo punto una lieve brezza. Quando si riaccesero una bottiglia di acqua era sul tavolinetto affianco a lei. Si guardò in giro. Non aveva sentito nulla e si chiese se era la sua debolezza a non farle percepire il mondo che respirava accanto a sé oppure se era circondata da fantasmi. Decise che forse la prima opzione era quella più rassicurante. Si sdraiò e chiuse gli occhi per riposare.




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