Secondo capitolo
Kelly era addormentata profondamente, nonostante fosse mezzogiorno avanzato.
Era rientrata alle cinque di mattina da uno dei soliti party di Ken, quelli dove prendi un sacco di coca e stai su a farti sbattere da qualche produttore pur di avere una particina in un film di terz’ordine. Sapeva che quell’ultima volta non sarebbe stato necessario, ma aveva voglia di sballare con la coca. Tom non le avrebbe perdonato quella serata in più, non stavolta. Non stavolta, dopo che le aveva chiesto di sposarla. No. Stavolta avrebbero litigato e lei gli avrebbe detto in faccia quello che pensava di lui, che era un fallito, che il libro lo aveva scritto lei e che presto qualcuno del giro avrebbe scoperto che la faccia in copertina non era un bel viso di passaggio, ma era l’autrice stessa e così avrebbe potuto smetterla con tutti quei party frequentati da vecchi bavosi.
Non si accorse delle braccia che la sollevavano dal letto. La testa reclinata all’indietro, il corpo esposto nudo quando le lenzuola scivolarono in giù. Schioccò con la bocca e appoggiò la testa sul collo dell’uomo che la portava in braccio, annidandosi quasi come una bambina nell’incavo tra la testa e la spalla. L’uomo la depose in un sacco per coprirla, lasciandole appena lo spazio per respirare ed uscì da casa sua. Prese l’ascensore di servizio e arrivò dritto al piano dei garage. Aveva lasciato la macchina appena dietro la porta dell’ascensore, sì che nessuno potesse vederlo.
Prese le chiavi dalla tasca, momentaneamente lasciando cadere le gambe di Kelly a terra, aprì il portabagagli della macchina e vi depose il suo corpo quasi addormentato.
Mentre cercava di rialzare le gambe, Kelly si svegliò e nella nebbia che le offuscava il viso percepì qualcosa di storto. Cercò di rialzarsi su. Quando si sentì spinta all’indietro da una mano forzuta, Kelly cercò di urlare. La voce era flebile, quella notte aveva bevuto più del solito, ma lei spingeva aria fuori dalla bocca per gridare più che poteva e si dimenava per ostacolare l’uomo e attirare l’attenzione di qualcuno che fosse capitato lì per caso.
Riuscì a spingere le braccia fuori dal sacco e a farsi forza per alzarsi dal portabagagli. Ogni volta che lei si alzava, l’uomo la spingeva di nuovo giù. Un pugno la raggiunse e le ferì le labbra. Il sapore metallico si diffuse nella bocca, poi il buio. L’uomo era riuscito a richiudere il cofano dell’auto. «E’ finita» pensò Kelly.
Stava quasi per cedere al dolore che le montava dentro dal labbro, quando rivide la luce e davanti a sé scorse il volto della persona che non pensava di rivedere ancora nella sua vita: Eva Peacock.
- Ma guarda un po’ chi si vede… Kelly… Kelly Anderson… la piccola, smorfiosa Kelly Anderson…
- Eva?
- Sì, Eva… pensa un po’… Eva l’omosessuale…
- Ti prego Eva, tirami fuori di qui….
- Mia cara… il fatto che io ti abbia salvato da una morte sicura non vuole assolutamente dire che ti lascio libera senza prima divertirmi un po’ con te… che ne dici? Vuoi seguirmi da sola, con le tue gambine o ti lascio chiusa in questa bella macchina finchè a qualcuno non viene in mente di guardarci dentro?
- Eva, non scherzare…. Fammi uscire di qui!
- Allora? Mi segui docilmente?
- Sì Sì ti seguo, basta che mi fai uscire di qui…
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