Capitolo 5
Il vederlo finalmente, di nuovo sul quel piccolo schermo provocò in me un grande turbamento, ed una immensa gioia. Da quando era partito, quella notte a Kabul, era la prima volta che lo rivedevo dopo quasi dieci anni.
Lo avevo cercato, più e più volte, anche tramite gli uffici dell'organizzazione umanitaria per la quale lui lavorava, ma inutilmente: sembrava svanito nel nulla. Ora lo sapevo, era sempre restato in Perù, a lavorare a quel suo progetto di ospedale, protetto dai suoi collaboratori.
Il mio pensiero andò subito a quegli ultimi giorni a Kabul, dieci anni fa.
Le nostre giornate erano scandite dall'arrivo di feriti e ammalati, soldati e civili, Afghani ed occidentali: noi soccorrevamo tutti, a prescindere da differenze di etnia, religione, razza...
E nel poco tempo libero che mi restava, io lo amavo.
Pietro allora era per me l'uomo più giusto e generoso che avessi mai incontrato, e la persona più sexy con cui mi fossi mai trovata. A pensarci ora, non riesco neppure a crederci: come facevamo a lavorare in ospedale per 15, a volte addirittura 18 ore al giorno, e passare le restanti nel mio letto, insieme, lasciando sfogare una passione totale quanto perniciosa!
Quasi senza accorgermene, presi in mano il cuoricino d'ambra: me l'aveva regalato quella volta che mi disse che se ne sarebbe volato in Perù. Parlava con aria ispirata e con voce lievemente distaccata, come se la sua partenza fosse una cosa inevitabile, un obbligo naturale per lui e per tutti noi: anzi sembrava che non fosse nemmeno lui quello che se ne doveva partire, né io quella che se ne doveva restare. Era semplicemente la cosa che andava fatta, e comunque la sua abilità con le parole mi aveva convinta che nulla sarebbe cambiato, che già allora lui aveva anche una moglie e una figlia a Milano, e che era una cosa assolutamente naturale che la nostra storia assomigliasse a quella tra lui e sua moglie: amanti appassionati ma divisi da migliaia di miglia per un motivo superiore, ineluttabile.
Quante volte in tutti questi anni avevo ripensato ai giorni successivi alla sua partenza, nei quali il tempo per me sembrava essere immobile, durante i quali le molte migliaia di feriti che passavano sotto le nostre tende erano tornati per me ad essere una teoria di volti, corpi, ferite tutti uguali, nessuno interessante, nessuno importante, nessuno vero...
Il mio cuore in quei giorni era un deserto, arido e insopportabile; il mio animo era depresso e pieno di speranze disilluse, ed il mio corpo era semplicemente orfano delle sue mani e dei suoi baci. Ma ciò non di meno continuavo ad amarlo, a sognarlo, a desiderarlo, a...
E quando poi, dopo qualche settimana, mi accorsi di quello che era veramente successo tra noi, quando avrei dovevo parlargliene, dirglielo, lui non c'era più, non lo ho più trovato.
Mentre gli occhi mi si inumidivano, come sempre quando riflettevo su queste vicende, mi accorsi che dietro a me nel cafè stava ritta una figura, in piedi immobile.
Sentivo il suo sguardo sulla mia nuca, e lentamente mi girai, per capire chi fosse: due occhi attenti ma non aggressivi mi stavano scrutando da dietro i grandi occhiali da sole tartarugati:
- Salve! Speravo davvero di reincontrarla. - mi disse con voce piatta – Ho portato a casa la bambina... - poi senza tendermi nemmeno la mano fece le sue presentazioni: - Io ero la moglie di Pietro, e lei invece deve essere quella di Kabul, vero?
La mia testa aveva cento pensieri sparpagliati in un turbine di polvere:
- Eh?... Ah, beh.. Sì, immagino di sì... Vuole sedersi un attimo?
La donna dai capelli rosso mogano osservò il locale, poi guardò il tiepido pomeriggio fuori dal cafè, e concluse:
- Preferirei fare quattro passi...
Pagai, e ce ne uscimmo per il corso alberato, dirette decise da nessuna parte.
Fu lei che iniziò per prima a parlare:
- Come vi siete conosciuti?
- Io sono medico anestesista, ed in Afganistan operavo nel gruppo di Emergency, sa, quello di Gino Strada..
- Ah, già. Come se no? Lui.. Pietro, voglio dire... E' un uomo magnetico, vero?
Titubai un attimo prima di risponderle:
- Sì. La persona migliore che mi fosse mai capitato di incontrare.
- Immagino che sia andata proprio così! Anche io me ne sono subito perdutamente innamorata. Poi, d'un tratto, è partito per l'Afganistan...
La donna dai capelli color mogano si schiarì un attimo la voce, poi riprese.
- Gli avevo appena comunicato che stavo aspettando un figlio da lui, ma Pietro ha sentito la 'chiamata', ed è corso ad aiutare un mucchio di altra povera gente, dall'altra parte del mondo.
Io la osservavo, annuendo.
L'avevo sempre saputo: anche da me Pietro era scappato, ma non l'avevo mai voluto ammettere così apertamente con me stessa. Mi ero sempre ingannata, mi dicevo che erano la sua integrità e la sua generosità che lo portavano sempre via, lontano, verso dei nuovi, veri bisognosi..
La donna continuò:
- Dopo Kabul, è tornato a casa qualche giorno, giusto per conoscere sua figlia. Allora abitavo ancora a Milano, nella casa di lui. E' stato in quei giorni che mi ha raccontato di lei, della sua Donna di Kabul, della grande passione che vi univa...
Mentre quella donna parlava così tranquillamente di me, mi sentivo in grande imbarazzo davanti all'amarezza ed alla disillusione con cui mi narrava quegli avvenimenti, e contemporaneamente ero lusingata e felice di sapere che lui mi ricordasse così. Le chiesi:
- Ma... Non le dispiacque sapere che suo marito l'aveva tradita con un'altra donna?
- No. - rispose con voce ancor più piatta – Ormai lo sapevo, ero abituata a risolvermi da sola tutte le situazioni, senza di lui. Ormai lo aspettavo solo per formalizzare la nostra separazione, per lasciare quella casa e quella città che non sono mai state mie, e tornare qui a Roma. C'era una sola cosa che a quel tempo ancora ci univa: Alice.
Un pesantissimo colpo si abbattè sul mio capo, e quasi perdetti l'equilibrio:
- Come ha detto, scusi?... Alice?!?
La donna si fermò, e si girò verso di me: per la prima volta quel giorno sollevò le lenti scure, ed i suoi occhi castani venati da una tristezza inconsolabile mi fissarono per un lunghissimo istante; poi rispose:
- Sì: Alice. Il nome di nostra figlia, quella ragazzina di quasi undici anni che lei ha visto oggi pomeriggio.
Non ci potevo credere: il mio cuore perse un battito, un turbinio polveroso si impossessò di nuovo dei miei pensieri, e per un momento mi sentii le gambe molli sul punto di cedere.
- Anche io ho avuto una figlia... intendo dire una figlia sua... poco più di nove anni fa... - le dissi.
La donna sorrise impercettibilmente, si rimise gli occhiali, e scuotendo appena la testa fece per continuare a camminare, ma io la presi per un braccio e le domandai:
- Aspetti! Mi dica: chi ha scelto il nome? Lei o Pietro?
La donna si bloccò, girò il capo verso di me e rispose:
- Pietro non c'è più stato. Dopo che quel pomeriggio è partito, non l'ho quasi più sentito, ed ho dovuto fare sempre tutto io, da sola. Io ho scelto il nome di nostra figlia: lui era là in Afganistan, a curare feriti e malati che nemmeno conosceva.
Apprezzai che non avesse fatto cenno al fatto che in Afganistan ci fossi anch'io con Pietro, mentre loro figlia nasceva. Poi lei continuò:
- Ma perchè le interessa così tanto la storia di questo nome...?
Udii la mia voce che stentava ad uscirmi dal petto, tremula:
- Perchè... vede... anche io... ho chiamato mia figlia... Alice...
(segue)
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