martedì 8 marzo 2011

Corrispondenze - Cap. 6

Cap 6

Lo scompartimento era vuoto, Deborah era andata chissà dove, ed i due ragazzi si sedettero vicini, accanto al finestrino. La giornata sembrava solatia, e tra un paio d’ore sarebbero arrivati. Alexander prese il suo prezioso quadernetto gualcito dall’uso, e tenendolo in grembo guardò negli occhi Elen, inalberando un sorriso complice.
- Ale! Mi stai dicendo che…
- Sì. Ho deciso che ti presento i miei personaggi.
- Ma perché? Voglio dire: ieri notte tu…
Alexander abbassò lo sguardo sulla copertina lisa, e la accarezzò con infinita dolcezza, poi disse:
- Stanotte è successa una cosa stranissima, che sulle prime … mi ha… spaventato, ecco. – poi alzando lo sguardo sul viso di Elen, continuò - Ma poi ci ho riflettuto meglio: immagino che certe coincidenze non possano avvenire per caso.
- Quali coincidenze?
- Beh, il fatto che noi siamo nello stesso vagone, in questo stesso viaggio della memoria. Il fatto che solo quando ti ho vista ho sentito fluire in me l’energia vitale dell’ispirazione. Il fatto che entrambi fissiamo le immagini, io con le parole e tu con le arti grafiche…
- Continuo a non capire… Che c’entra la mia pittura con i tuoi scritti?
- Adesso vedrai.
E detto questo, aprì per la prima volta ad un altro essere umano il suo quadernetto più prezioso, e iniziò a raccontare:
“Quel giorno una bambina di circa 8 anni era ferma alla fermata del tram, completamente fradicia di pioggia. Il suo nome era Emma.
Emma aveva frequentato la prima e la seconda elementare in una scuola pubblica del suo quartiere, era una ragazzina felice ed amatissima dalla sua famiglia.
Viveva a Milano in una bella casa della piccola borghesia insieme a suo padre ed ai suoi nonni, in quanto sua madre era morta poco dopo la sua nascita…”
Elen ascoltava la storia: ma mentre Alexander narrava, lei osservava il suo profilo. Forse non era bello secondo i canoni machisti imperanti, ma aveva un fascino particolare: la sua voce, forse. O come inclinava leggermente il capo mentre, narrando, la guardava. E quel suo sguardo, che adesso era ispirato, puro, franco.
Istintivamente gli prese la mano, e gliela strinse forte, mentre il racconto proseguiva…
“Emma svolta in una strada laterale, continuando a correre più velocemente possibile e ormai è talmente affaticata da non vedere più dove va. Improvvisamente viene afferrata dalla vita e immobilizzata. L’hanno presa? È il poliziotto?
-Non urlare, fidati di me.- Una voce sussurra vicina al suo orecchio, ma l’unica cosa di cui si preoccupa ora è di ricominciare a respirare regolarmente. E poi di avvisare qualcuno.
Si abbandona tra le braccia di quella persona sconosciuta. Sente una porta chiudersi. Poi salgono le scale. Un’altra porta si apre e poi si richiude.
-Tranquilla piccola, e fidati di me.-"

Ed Elen si fidò. Guardando negli occhi Alexander, Emma provò finalmente sollievo alla sua paura, e gli sussurrò:
- Chi sei?
- E’ meglio se il mio nome vero non sia conosciuto: chiamami zio.
- Ah, va bene. Zio: due poliziotti hanno arrestato la nonna, e stavano rincorrendo anche me, per prendermi…
L’uomo le circondò con un braccio le tenere spalle, e le disse:
- Sii forte! Per la nonna non so cosa potremo fare, ma per te stai tranquilla. Fino a che ci sarà lo zio, nessuno potrà farti male. Come ti chiami?
- Emma. Emma Milani.
- Ah, sei la figlia di Milani: accidenti!
L’uomo scosse la testa, e mentre si sedeva su una sedia un’ombra passò sul suo viso.
- Tuo padre è miracolosamente sfuggito alla cattura, stamattina presto. Era appena arrivato in banca dove lavora, ed improvvisamente un manipolo mi svergognati della polizia politica ha fatto irruzione. Fortunatamente la segretaria di tuo padre, Elen, quella inglese, è riuscita ad avvisarlo appena in tempo, e lui è riuscito ad evitare la cattura… Lei invece…
Emma aveva gli occhi spalancati dalla paura:
- E papà adesso… dov’è?
L’uomo la guardò con profonda tristezza, poi si inchinò verso di lei, le pose le mani sulle spalle e le confidò:
- Non lo sappiamo, Emma. Non lo sappiamo. Speriamo che si sia nascosto, ma starà lontano da casa vostra… Non lo so: mi auguro che sia al sicuro.
La bimba abbassò la testa, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime:
- E… la segretaria?
- Ah, lei? L’hanno portata alla centrale: non tollerano questo genere di collaborazionismo, loro!
- Le faranno… del male?
- Beh… Sì, temo di sì.
- Oh, no! Povera signora…
Emma abbracciò lo sconosciuto, e pianse.

Elen si accorse che Alexander si era fermato nella sua narrazione, e la stava osservando.
- Tutto bene? – le domandò.
- Sì, benissimo: è una storia così… così…
- Ho visto: ti sei commossa…
La ragazza sobbalzò, poi si passò la punta di un dito sotto gli occhi, e si accorse che aveva gli occhi umidi. Imbarazzata, sorrise e disse:
- Ehm, sì… E’ vero: mi capita spesso che…
- Ah…
- No, sai… Ma, ancora non capisco: questa Emma, la sento così vicina a me, così… conosciuta…
Alexander sorrise, scosse un po’ il capo e finalmente aggiunse:
- Forse è meglio che continui la storia…

Un chiassoso vociare risuonò nella via: l’uomo si avvicinò alla finestra chiusa, e attraverso i listelli delle persiane osservò preoccupato la strada. Un gruppo di poliziotti e di miliziani delle SS si stavano disperdendo nei vari portoni della via, alla ricerca di qualcuno.
- Presto, ragazzina, sono già arrivati! Noi dobbiamo andarcene subito da qui!
E presala per una mano, afferrò con l’altra un cappotto scuro e se la trascinò dietro sulle scale che portavano in soffitta.
- Dove andiamo? – piagnucolò con un filo di voce la bambina
- Ssttt! – le intimò sottovoce l’uomo – Ora andiamo in soffitta. Lì c’è un passaggio segreto, che ci farà arrivare nella soffitta del palazzo che è proprio dietro a questo, ma che ha il portone di ingresso affacciato su un’altra strada. Con un po’ di fortuna, mentre loro ci cercano di qua, noi gli sgattaioleremo via sotto il naso..
Entrarono in un sottotetto basso, buio e polveroso, ingombro di ogni vecchiume lasciato lì alla rinfusa. L’uomo si accertò che la porta fosse ben chiusa, poi si diresse verso un ammasso di calcinacci, e scostò un paio di vecchie tavole: lì dietro si intravvedeva un pannello di legno, che l’uomo spostò di lato.
Emma lo guardava in piedi, zitta e spaventata. L’uomo le sorrise:
- Coraggio, bimba: tra poco saremo fuori da qui.
Poi si piegò davanti al pertugio: un piccolo corridoio corto e basso collegava le due soffitte: lì dentro il buio regnava sovrano.
- Vieni, Emma. – disse l’uomo porgendole la mano.
Quando entrambi furono dentro al corridoio, l’uomo riappoggiò prima le vecchie tavole davanti all’ingresso, poi fece scorrere il pannello di legno: solo allora accese una piccola candela.
Il cunicolo era lungo solo un paio di passi. Sull’altro lato l’uscita era celata da un analogo pannello di legno, questo ancor più vecchio e macilento: l’uomo lo spostò con infinita circospezione. Dietro al pannello apparvero i fondi di 4 vecchi bauli appoggiati al muro: tra di loro filtrava un po’ la luce del giorno. L’uomo spense la candela, e spinse delicatamente i bauli: poi osservò con circospezione la nuova soffitta, ed infine disse:
- Via libera: vieni cara.
Emma entrò un po’ titubante: questa soffitta era più spaziosa e luminosa di quella precedente. Molti mobili erano ammassati così un po’ alla rinfusa, ed Emma incuriosita gironzolò qua e là mentre l’uomo che si faceva chiamare ‘zio’ richiudeva il pannello, e risistemava i bauli.
- Emma: dobbiamo trovare un nome nuovo per te. Se hanno arrestato la nonna, ed hanno cercato di prendere tuo papà, quei maledetti staranno cercando anche te. Scegli tu: che nome preferiresti?
Mentre si aggirava tra i vecchi mobili, Emma rifletteva sulla fuga fortunosa del padre alla cattura, e sulle azioni così coraggiose di quella segretaria inglese, a lei del tutto sconosciuta, che aveva messo a repentaglio se stessa per favorire il suo papà. D’un tratto giunse davanti ad un vecchio comò, sul quale troneggiava una grande specchiera con il vetro rotto. Quando Emma si specchiò, il cuore di Elen si fermò nel vedere l’immagine che il vecchio specchio le rimandava.

Elen si alzò di scatto, si diresse verso la sua cuccetta, e dopo una piccola ricerca affannosa prese il suo bozzetto dalla cartelletta verde oliva: lo alzò per vederlo meglio e se lo portò dinanzi al viso. La testa le girava, e si dovette sedere:
- Non è possibile!
- E’ proprio quello che ho pensato anche io… - aggiunse Alexander.
- Questo è il ritratto di Emma!
- Esattamente. Proprio come io l’ho immaginata!
Elen si lasciò scivolare il suo bozzetto sulle gambe, e contemporaneamente appoggiò testa e busto allo schienale, mentre il suo sguardo vagava fuori dal vetro, senza vedere nulla.
Il silenzio regnò immobile in quello scompartimento per lunghi attimi, mentre i due ragazzi assimilavano la sorpresa.
Poi Alexander sussurrò:
- Allora? Che si fa?

- Ho appena deciso. – rispose la ragazza mentre manteneva lo sguardo fisso, guardando fuori dal vetro del treno - Il mio nuovo nome non sarà più Emma, ma Elen, come la segretaria di papà. – poi alzò fiera il giovane capo da ragazzina di soli otto anni e si girò verso l’uomo che l’aveva salvata dal poliziotto, quindi aggiunse – Io sarò coraggiosa come quella donna! Ma.. io posso chiamarti… ‘Zio Ale’?
L’uomo scosse le spalle, e annuì:
- Certo, Emma.. Anzi, Elen! Ora però dobbiamo andare: vieni, su.
E presala per mano, si diressero verso la porta di uscita dalla soffitta. 

(segue)

1 commento:

  1. Ecco... i magici intrecci della trama di questo racconto stanno finalmente creando un disegno ben definito. Oppure no? Mah, aspettiamo domani e sapremo! Bravo anche a te, Bart!

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