mercoledì 16 febbraio 2011

Brillantina - Cap 3

Dovevo riordinare le idee, dovevo cercare di calmarmi, ero arrabbiata… si…molto arrabbiata, non riuscivo ancora a capire se ce l’avevo di più con mio figlio o con Leonardo per le parole di fuoco usate ai danni di Nicolò.
Entrai in cucina feci partire il bollitore dell’acqua, ero veramente agitata, le mani mi tremavano, il cuore batteva all’impazzata, lo stomaco mi doleva e la mia mente era incapace di formulare pensieri che potessero essermi utili per poter affrontare la situazione.
Forse una camomilla mi avrebbe aiutata a calmarmi.
Cercavo di respirare lentamente e profondamente per allontanare da me quella sensazione di disagio, intanto sorseggiavo la mia pozione calmante, la mente tuttavia non era ancora del tutto sgombra, non riusciva a pensare lucidamente.
Piano piano mi calmai e cercai di interrogarmi su quella mia reazione alquanto estranea al mio modo di essere : - Ma come e’ possibile che me la sia presa tanto? In fondo Leonardo non aveva tutti i torti nel dire che Nicolò era stato fortemente maleducato. E che dire del fatto che aveva sfondato una porta dalla rabbia? Lui l’ha chiamato violento, e come potergli dare torto? Quindi perche’ mi sento così offesa? Se invece di Leonardo ci fosse stato davanti a me il Professor De Crescenzo, emerito sconosciuto, non gli avrei forse dato ragione? Non mi sarei forse scusata? - La risposta fu… - si… credo proprio che gli avrei dato ragione - .
Mi sentivo più tranquilla, ero riuscita a sciogliere questo nodo spinoso che mi tormentava…o forse no!.
Ma se Leonardo aveva ragione, allora perche’ me la sono presa tanto? Allora perche’ questo fastidioso sfarfallio nello stomaco continuava ad accompagnarmi? – Sfarfallio nello stomaco? Sfarfallio nello stomaco!!! –
Incominciavo a capire.
Nella mia mente si aprì uno squarcio di luce che illuminò i miei pensieri, rendendoli visibili, quasi palpabili e così lo sfarfallio prese forma, sembianza umana, in quel preciso istante mi resi conto che Leonardo era rimasto per lunghi anni sepolto sotto la polvere dell’oblio della mia memoria, il vederlo aveva riportato a galla i sentimenti più reconditi legati all’amore che provavo per lui.
Come una diga che tiene prigioniere le sue preziose acque, per poi rilasciarle improvvisamente, riversandole in un fiume che andrà a formare un tranquillo laghetto, così fecero i miei pensieri.
Dopo la forza dirompente provata nel rivederlo, ora stavo scivolando lungo il corso dei ricordi, ripercorrendo quel nostro amore mai svelato a nessuno, forse neanche a noi stessi, fatto di sguardi, di sorrisi e culminato in quel bacio appassionato pieno di promesse mai mantenute.
Ed ora mi ritrovavo immobile, in quel lago, cercando di dare significato a ciò che sembrava smarrito, sprofondato in un buco oscuro.
Nulla mi apparteneva più, era come se mi fossi persa.
Mi vennero in mente le parole di Platone quando diceva: “l’anima se ne sta smarrita per la stranezza della sua condizione, non trova sonno ne di notte ne riposo di giorno. Questo patimento dell’anima e’ ciò che gli uomini chiamano amore.”
Ed io, anche se stentavo a crederlo, mi sentivo proprio così.

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