martedì 15 febbraio 2011

Brillantina - Cap 2

Capitolo 2

-Cosa… Cosa ci fai qui?- chiesi balbettando come una tredicenne timida.
Lui sorrise e allargò le braccia.
- A te che sembra? Non ho forse l’aspetto del perfetto insegnante di ginnastica? –
- Beh, si, cavolo! – risposi prima che il mio cervello potesse registrare l’informazione.
E la recepì pochi secondi dopo, piombandomi in testa come un mattone.
Insegnante di ginnastica? Pensai tra lo sconvolto, l’incredulo, l’entusiasta e chissà cos’altro.
- Beh, insomma. Si, ti trovo bene. Ora insegni ginnastica? -  annuì sorridendo.
- Ma comunque, cosa ci fai tu qui invece? -  mi chiese sistemandosi i capelli con una mano e poi incrociando le braccia sul petto. Seguii per un momento il suo profilo, dagli occhi alle spalle e dalle spalle ai suoi bicipiti.
Un po’ di contegno insomma. Mi rimproverai e tornai a guardarlo dritto negli occhi.
- Mio figlio ha combinato un casino. Devo parlare con il prof. De Crescenzo. – il suo sorriso sparì per un momento, poi tornò, ma era un sorriso di convenienza, non il solito sorriso alla Danny.
- Ci stai parlando proprio ora. – disse in tono piatto, raddrizzando le spalle. Rimasi basita a quella affermazione. Possibile che fosse lui? Beh, tutto era possibile dal momento che di lui sapevo solo il nome, Leonardo, e che aveva un anno in più di me. Ah già, aveva frequentato lo scientifico. Ecco, era tutto quello che avevo saputo di lui in 5 anni di liceo. E ora, in soli dieci minuti, avevo scoperto molto di più. Forse poteva essere un vantaggio. Forse avrebbe potuto aiutarmi in quel pasticcio. E forse se mi fossi fatta vedere almeno una volta agli allenamenti le cose sarebbero andate diversamente. Forse, forse, forse.
- Io vorrei capire cos’è successo. Insomma mio figlio… -
- Scusa se te lo dico, ma non hai fatto un gran lavoro di educazione con Nicolò. –
Le sue parole mi colpirono come uno schiaffo ed esattamente come uno schiaffo mi arrossarono le guance.
- Come puoi dire una cosa del genere? – sentivo gli occhi riempirsi di lacrime.
- Chiamare qualcuno “Terrone di merda” non è esattamente segno di educazione. –
- Ok, ha sbagliato, ma non vedo come un singolo episodio possa… -
- Ha sfondato una porta. Non è solo maleducazione, è anche violenza. Hai mai pensato ad uno psicologo? –
Non capivo. Come poteva essere così freddo? Nemmeno dieci minuti prima sembravamo tornati al liceo, tra risate e battute scherzose, e adesso mi diceva di essere una pessima madre. Il mio orgoglio era ferito nel profondo, e non solo come madre, ma anche come diciassettenne invaghita di quel sorriso adorabile. Si, avevo sentito di nuovo le farfalle nello stomaco rivedendo quel sorriso, ma dopotutto è normale no? Insomma, non lo vedevo da anni e… Ok, basta scuse. Sii professionale.
- Cosa posso fare riguardo l’incidente di oggi? -  chiesi mantenendo la voce ferma e distaccata.
- Incidente… - disse ridacchiando tra sé e sé.
-Si, chiamiamolo così. In ogni caso ho chiesto la sospensione di Nicolò. Tre giorni, con obbligo di frequenza. Poi l’obbligo di presenza ai miei allenamenti. Oltre che alle spese di riparazione a carico della famiglia, ovviamente. – annuii alle sue parole, mordendomi la lingua per evitare che i miei commenti uscissero.
- E’ tutto? – chiesi raddrizzando le spalle e preparandomi ad uscire.
- Per ora si. Poi, si vedrà. –
- Buona giornata, Professore. – dissi voltandogli le spalle e allontanandomi verso l’uscita.
- Arrivederci.- mi fermai e mi voltai per guardarlo.
- Spero proprio di no. – lui sorrise.
- Arrivederci. -
Quell’ultima parola mi lasciò i brividi. Mi allontanai a grandi passi e in pochissimo tempo rientrai in macchina e mi allontanai da quella scuola.
Quella giornata non aveva più senso. Cosa stava succedendo? Mi fermai in un parcheggio, spensi l’auto e appoggiai la fronte sul volante. Era tutto folle, semplicemente folle.
Quello che succedeva a me, a Nicolò. Il comportamento di Leonardo / Danny nei miei confronti. E nei confronti di Nicolò.
Quella sensazione stupida, poi. Quelle farfalle nello stomaco. Oh, che stupida. Gli occhi si riempirono di nuovo di lacrime. Come avevo potuto sentirmi così dopo 30 anni? Dopo anni di matrimonio? Dopo figli?
Alzai la testa, spaventata dal ticchettare di una mano sul vetro. Un’anziana signora mi guardava preoccupata. Le sorrisi e le feci segno di non preoccuparsi e lei si allontanò continuando a guardarmi incuriosita. Sospirai e mi guardai nello specchietto retrovisore.
Il trucco era un disastro ormai. E dovevo tornare a casa da Nicolò. Mi sistemai meglio che potevo e feci marcia indietro fino a casa, guidando il più lentamente possibile.
Salii le scale con calma innaturale e mentre stavo per tirare fuori le chiavi dalla borsa, la porta si spalancò e Nicolò mi guardò.
- Le hai date a me, ma’. E mi hai appena citofonato perché non potevi aprire altrimenti. -  sospirai. Ma dove avevo la testa?
- Ho fatto un casino, eh mamma? -  chiese lui spostandosi per farmi passare.
- No, Nico… -
- Beh, non saresti così incavolata se non fosse così. –
- Non sono incavolata. – lui mi guardò scettico, poi sospirò e si trascinò fino in camera sua.
Sospirai e mi voltai per riordinare i piatti del pranzo, ma notai che era già tutto pulito e in ordine. Guardai l’orologio e capii il perché. Erano già le 16.00, ero rimasta tutto quel tempo fuori, a chiedermi cosa sarebbe successo adesso. E ancora non ne avevo idea.


(segue)

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