giovedì 16 dicembre 2010

Margherita - seconda parte


Era un caldo pomeriggio di primavera quando suonò il campanello alla porta dell’appartamento dove la piccola Margherita viveva con i suoi genitori e sua sorella. Era un sabato e stranamente erano tutti a casa. La piccola Margherita, sempre solerte ad aiutare i suoi, ma soprattutto curiosa di tutto ciò che succedeva intorno alla sua casa, corse allo spioncino e vide un uomo con uno strano cappello che attendeva che qualcuno lo accogliesse. Margherita aprì e aspettò che lui le dicesse qualcosa. Invece lui rimase zitto, poi si inginocchiò alla sua altezza e le fece ciao con la mano, senza parlare.


Margherita ricambiò il saluto e lo guardò negli occhi quasi a sfidarlo. Lui le fece segno di farlo entrare e allora Margherita gli prese la mano e lo condusse in sala, facendolo accomodare su una poltrona. Stranamente nessuno dei suoi la raggiungeva e questo le cominciava a dare fastidio sempre di più, perchè non si riteneva all’altezza della situazione. Oibò – pensava – finchè son muta io va bene, ma questo qui cosa vorrà? – si diceva girandogli intorno, mentre lui seduto composto semplicemente girava la testa seguendo le sue mosse.

Margherita si sentì in dovere di offrirgli qualcosa e così disegnò pasticcini e the su un foglio di carta e glielo porse. L’uomo le sorrise annuendo con la testa e Margherita si sentì sollevata, avendo una buona ragione per sottrarsi alle attenzioni dell’uomo.

Quando tornò in sala, con un vassoio di pasticcini, una teiera, una zuccheriera e due tazze da the, l’uomo si alzò e l’aiutò a sistemare tutto sul tavolo da pranzo. Si sedettero e silenziosamente gustarono il loro the. Margherita era sempre più meravigliata di quella situazione e non sapeva come reagire, essendo per la prima volta nella posizione di chi doveva interagire con qualcuno che non aveva nessuna intenzione di parlare. 
Margherita non sapeva cosa fare. I suoi erano presi da mille affari e si rifiutavano di assisterla con l’ospite. Lei era imbarazzatissima e rimaneva seduta a disegnare da una parte, mentre il suo ospite la guardava.

Ad un tratto l’ospite si alzò ed andò via. Margherita lo accompagnò alla porta e se ne dimenticò. Il giorno dopo l’ospite tornò e il giorno dopo ancora e ancora per molti giorni. Margherita oramai ne aveva fatta un’abitudine, quasi l’aspettava e si preoccupava se arrivava in ritardo. Quando arrivava lo sistemava in sala, andava a preparare il the e poi si sedevano entrambi alla grande tavola da pranzo. Margherita disegnava finchè ad un certo punto lui si alzava e andava via.

Accadde un giorno quasi per caso che l’ospite non arrivò. Margherita sedeva tutta sola nel suo salotto ad aspettarlo. La teiera oramai non fumava più il the caldo ed i pastelli giacevano sui fogli di carta intonsi. Dopo circa un’ora che era seduta, sua madre entrò in sala e le chiese cosa stesse facendo. Margherita scrollò le spalle poi prese carta e penna e disegnò qualcosa. Dopo molti sforzi, Margherita le fece comprendere che aspettava un ospite.

-         Quale ospite, Margherita? – la mamma proprio non capiva. Allora lei prese un foglio e le scrisse “L’ospite che è venuto per molti pomeriggi qui, non ricordi, mamma?”
-         Ma Margherita, cosa dici? – le disse sua mamma – negli scorsi pomeriggi non è mai venuto nessuno... sei sempre stata qui da sola a disegnare...

Margherita non riusciva a crederci. Era reale sì il suo ospite. Beveva il the, le prendeva la mano per seguirla, le sorrideva, la guardava. Poteva sentirne il respiro davvero se gli si avvicinava al naso. Com’era possibile che lo avesse visto soltanto lei?

Per molti pomeriggi Margherita rimase in salone ad aspettare il suo amico, ma di lui non ci fu più traccia. Sua mamma la spiava un po’ preoccupata da fuori e lei faceva finta di non accorgersene, perchè un po’ se ne vergognava. Alla fine si stufò di aspettare e incominciò a non preparare più i pastelli e la carta, poi non preparò più il the ed alla fine se ne dimenticò.

Margherita divenne grande. Non aveva più parlato ed i genitori si erano arresi all’evidenza che nessun dottore l’avrebbe mai potuta curare. Nè parlava nè cercava di comunicare con gli altri, se non lo stretto indispensabile per sopravvivere. Scriveva sempre. Scriveva dappertutto. Su ogni pezzetto di carta lei scriveva scriveva scriveva quello che le capitava e poi dimenticava in giro tutti i pezzetti di carta, sperando che qualcuno li leggesse.

Tornando da scuola, un giorno, incontrò per strada un bambino su una bicicletta.  Questi le sorrise e lei, colta di soprassalto, spontaneamente gli ricambiò il sorriso. Il giorno dopo lo incontrò di nuovo e il giorno dopo ancora e ancora per molti giorni. Margherita oramai ne aveva fatta un’abitudine, quasi se l’aspettava di incontrarlo e si preoccupava se non lo incrociava sempre al solito posto.

Un giorno non lo incontrò e si fermò su una panchina ad aspettarlo. Si fece pomeriggio, le luci del giorno calarono e si fece sera. Margherita tornò a casa preoccupata ed il giorno dopo si svegliò tesa e desiderosa che la scuola finisse presto per andare a vedere se il suo piccolo amico era lì ad aspettarla. Nulla. Nè il giorno dopo era lì, nè il giorno dopo ancora e ancora tutti gli altri giorni.

Margherita era disperata. Per la seconda volta nella sua vita un suo piccolo amico era scomparso nel nulla e lei si sentiva sempre più sola.

Passarono gli anni e Margherita diventò una donna. Trovò un lavoro ed era anche molto brava. Il lavoro le piaceva, aveva la sua casa che teneva con cura e la sera scriveva favole. Tutti i giorni prendeva il tram per andare a lavorare e le piaceva curiosare nei volti delle persone. Ne scrutava i vestiti, guardava le loro scarpe. Se erano signore e aprivano le loro borse ci infilava gli occhi dentro per capire cosa portavano. E di ogni ricchezza che il mondo le regalava lei continuava a scrivere parole su parole.

Fu quasi per caso che un ragazzo della sua età un giorno le sorrise. Lei si sentì un po’ confusa. Era una ragazza per bene e non sarebbe stato conveniente sorridergli e dargli confidenza. Così il primo giorno girò lo sguardo altrove, il secondo guardò in aria e infine il terzo ripiombò nei suoi occhi sorridendogli. Ogni giorno fecero il viaggio insieme scambiandosi sorrisi. Giorno dopo giorno e ancora per molti giorni. Margherita oramai ne aveva fatta un’abitudine, quasi se l’aspettava di incontrarlo e si preoccupava quando la mattina saliva in tram e non lo trovava seduto al solito posto.

Una mattina lui non c’era. Margherita si sentì male al pensiero di perdere ancora una volta un amico. Eppure non lo incontrò più. Per questo, ella si chiuse ancora più in se stessa, convinta che in fondo aveva fatto bene a non regalare le sue parole a nessuno, tenendole a girare solo nella sua testa.

Margherita invecchiò. Con il tempo le sue mani non riuscirono più nè a disegnare nè a scrivere. Ella perciò passava il suo tempo triste su una panchina, al sole nel parco, a guardarsi in giro e ad invidiare ciò che gli altri avevano, chiedendosi come mai le fosse stata riservata una vita così solitaria.
(continua)

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