- C’era una volta...
- Un re!
- No, no dai.. facciamo che c’era una volta una regina...
- Che noia tutti questi re e regine! C’era una volta una principessa...
- E tu, Margherita, cosa diresti?
- Io? ...beh... io... c’era una volta Margherita!
- Allora, c’era una volta... Margherita.
Prima Parte
C’era una volta Margherita.
Io lo so chi era Margherita. Anche se non l’ho mai conosciuta è come se ora l’avessi davanti agli occhi: era una bambinetta magrolina, con i capelli sempre arruffati, tenuti su da una fascia elastica che le stringeva sempre maledettamente la testa. Ogni mattina la mamma le sistemava i capelli in una coda che neanche dieci minuti dopo era disfatta. I capelli erano castani tendenti al biondo. Erano ricci e Margherita col tempo imparò a dire “troppo” ricci ed a guardare con un po’ di invidia le bambine con i capelli lisci come seta. Sprizzavano da tutte le parti e non stavano mai fermi, ricadendole sul viso solleticandole la pelle quando meno se lo aspettava.
Gli occhi erano verdognoli, di un vispo che si farebbe fatica a credere. Eppure erano nascosti dietro un paio di lenti spessissime, che li rimpicciolivano. A Margherita non piacevano affatto, ma era costretta a portarli perchè senza non ci vedeva proprio nulla. Non si sentiva presa in giro, ma semplicemente non era a suo agio e si sentiva un po’ bruttina. Così si rinchiudeva sempre più in se stessa, giorno dopo giorno.
Non aveva molte amiche e sua sorella non se la filava molto, impegnata com’era a giocare a “essere già grande”.
Così Margherita cresceva portandosi dietro il suo piccolo fagotto di delusioni e rimpianti.
Innanzi tutto per i giochi da cortile... tipo la campana. Lei non ci aveva mai giocato: sua mamma pensava che le bambine per bene dovessero restare a casa e comunque non aveva un giardino dove poter giocare, perchè viveva in città, in una strada molto trafficata. Così lei rimaneva nella sua stanza a disegnare per ore. Oppure giocava a fare l’investigatore, nascondendosi dietro i muri e sparando a sua sorella, a sua mamma o a suo papà, che puntualmente si arrabbiavano e finivano per sequestrarle la pistola. Una volta un amico del nonno le regalò un volante e lei fu contentissima: per mesi interi il suo passatempo preferito fu sistemare le sedie del soggiorno come fossero un pulman, sedendosi al posto del guidatore, per condurre i suoi immaginari passeggeri da una parte all’altra del mondo.
I pomeriggi li passava principalmente a casa, perchè sua mamma non guidava e suo papà era spesso via. Nessuno poteva accompagnarla di qui e di là. Non che le interessasse molto fare sport, come tutte le sue amiche di scuola. Però non le sarebbe dispiaciuto frequentare il corso di pattinaggio: aveva seguito un corso solo un anno, grazie al pulmino delle suore che la riaccompagnava a casa dopo la lezione, e quell’anno era bastato per innamorarsi di rincorse, gambe incrociate e angeli volanti. Poi l’istruttrice di pattinaggio era morta e la scuola aveva smesso di organizzare corsi, così la sua occasione da pattinatrice era volata in cielo con l’anima della sua insegnante.
Margherita usciva raramente il pomeriggio. Trascorreva il pomeriggio a volte con suo nonno ad ascoltare racconti militari di una guerra che sembrava tanto lontana, mentre la nonna, la mamma e la sorella se ne andavano in giro a fare spese o passavano il tempo a spettegolare la famiglia, chiuse in cucina. La maggior parte del tempo lo passava da sola, cullandosi nei suoi pensieri, lasciando fuori tutto il mondo intorno a sé: in fondo era convinta che quel mondo non la capisse o non la potesse capire, il che alla fine era per lei equivalente.
Più cresceva e più si sentiva diversa e lontana da ciò che la circondava. Più cresceva, più la sua voglia di parlare non trovava sfogo naturale nelle chiacchiere tra sorelle o tra mamma e figlia o tra amiche. Fu così che Margherita lasciò pian piano i disegni infantili per riempire pagine di parole, ritagli, fotografie. Persa nelle sue stesse parole, i suoi sogni incominciarono a confondersi con la realtà e ad allontanarsene sempre più.
Finchè un giorno Margherita smise di parlare.
I genitori erano preoccupatissimi e la portarono in giro cercando un medico che potesse curarla. L’unico modo per raccontarsi che Margherita aveva era quello di esprimere i suoi sentimenti così come li figurava nella sua mente, ma poichè nessuno li capiva, alla fine smise anche di raccontarsi. I medici raggiunsero il loro verdetto unanime che non c’era nulla che non andasse in Margherita e che bisognava aspettare che decidesse di riprendere a parlare da sola, uscendo da quel suo piccolo mondo dove si era cacciata. Frequentò per mesi importanti luminari di psicologia, senza alcun risultato: la piccola Margherita rimaneva attaccata al suo mondo tramite milioni di piccole ventose e staccarne una non avrebbe portato a nulla.
(continua)
Direi addirittura... da brividi! (e non è paura)
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