giovedì 7 ottobre 2010

Senza lancette - Capitolo 3

Quella notte feci uno strano sogno. Ero in campagna, a giocare con i vermi della terra, il mio passatempo preferito. Li prendevo, li spezzavo con un rametto e godevo della vista dei loro umidi corpi che continuavano a camminare e ad arrotolarsi ancora nonostante il sezionamento. Dopo un po’ perdevano vigore e rimanevano lì, cibo pronto per uccelletti di campo. Mi divertivo così nel tempo libero che passavo da solo, quando i miei amici erano occupati in altre faccende. Ero alle prese con la vittima di turno, quando ad un certo punto dalla terra si alzavano dei raggi di luce. Sembrava di essere in una delle favole che mio nonno era solito raccontarmi prima di dormire: mille raggi di luce che si alzavano verso il cielo, ciascuno circondato di un fascio luminoso pieno di piccoli brillantini sospesi nell’aria. E tutti i raggi partivano da un unico punto della terra, per spargersi poi verso il cielo, a formare strane forme geometriche.


Mi svegliai che il sole era appena spuntato in cielo ed i mille colori dell’alba avevano iniziato a colorare il paesaggio fuori dalla mia finestra. Stropicciai gli occhi ripensando al sogno che avevo fatto, ripercorrendone ogni istante. Finchè capii: i raggi che avevo visto brillare verso il cielo partivano da un solo punto della terra, proprio sotto l’albero di ciliegio dove mio nonno mi aveva regalato l’orologio e i disegni in cielo ripercorrevano esattamente quelle strane figure che avevo visto sulla scatola di legno bianco che custodiva l’orologio.


Non persi tempo quella mattina: quel sogno non era capitato lì per caso. Mi lavai velocemente, evitai di mangiare per fare presto e corsi sotto il ciliegio. Non ricordavo esattamente dove fosse il punto dove mio nonno aveva scavato e così iniziai a rimestare la terra un po’ dovunque, come un cagnolino che non trova più il suo osso e scava con le sue zampette un po’ dovunque, rimescolando la terra di continuo. Ero disperato per la scarsa attenzione che avevo prestato a quel momento così importante per la mia vita: mio nonno non sarebbe stato orgoglioso di me! Alla fine mi accorsi che un po’ di terra era più umida dell’altra e i primi raggi del sole la stavano illuminando, facendo brillare come piccoli diamanti le gocce di rugiada che su di essa si erano posate. Immaginai fosse quello il punto e con le mani e le unghie già intrise di terra nera, iniziai a tirar via quella poltiglia di fango, fino a scoprirne qualcosa di bianco e duro: la scatola.


La portai in casa e la pulii con delicatezza con il panno che mia mamma era solita usare per i mobili. Pulii ciascun intarsio con un bastoncino di legno che mi ero procurato fuori in giardino e dopo circa un paio d’ore la scatola era perfetta, quasi nuova! Adesso potevo studiare quel magico disegno, che nel sogno era stato proiettato in cielo, andando ad aderire perfettamente nei vertici su ciascuna stella che la volta celeste offriva alla mia vista. “Una costellazione! Certo…” mi dissi “ma quale?” e così andai a prendere il libro di astronomia che mio padre teneva in bella vista sul camino. Mi ero spesso chiesto cosa ci facesse quel libro in casa di un umile contadino, ma non ero riuscito mai a trovare una risposta. Adesso forse non avevo una risposta, ma iniziavo a capire. Sfogliai con attenzione pagina dopo pagina, finché riconobbi tra le decine di costellazioni che vi erano rappresentate una forma familiare: la costellazione dell’Orologio. Sicuramente aveva attinenza con la storia di mio nonno, ma non capivo ancora come, perché quella costellazione non contiene alcuna stella luminosa, a parte α Horologii. E dunque? Scorsi velocemente la descrizione di quella costellazione finchè lessi che per individuare l’Orologio ci si poteva aiutare con la costellazione di Eridano, a partire dalla sua stella più brillante, Achernar. Ripercorsi avanti e indietro il libro per cercare qualcosa su Eridano e lessi con avidità tutte le sue caratteristiche, fino a ripetere tra me e me i nomi delle stelle principali della costellazione: Achernar, Cursa, Zaurak, Acamar, δ Eridani, ε Eridani.. e come un rito magico ripetevo, ripetevo, ripetevo… Achernar, Cursa, Zaurak, Acamar, δ Eridani, ε Eridani… Achernar, Cursa, Zaurak, Acamar, δ Eridani, ε Eridani… Achernar, Cursa, Zaurak, Acamar, δ Eridani, ε Eridani : “ACZA δ ε”.

Ebbi appena finito di pronunciare quella parola magica, formata dalle iniziali dei nomi delle stelle di Eridano che sentii un forte calore alla gamba. Qualcosa bruciava e istintivamente misi la mano in tasca, ricordandomi che vi avevo messo l’orologio. Era quasi bollente, lo estrassi e rimasi incantato: lo schermo era blu notte ed in esso migliaia di stelle brillavano, finchè alcune più delle altre si illuminarono, dando vita alla forma che oramai potevo riconoscere ad occhi chiusi. Improvvisamente delle immagini cominciarono a scorrere velocemente, immagini di tempi e luoghi diversi: piramidi, castelli, guerre, paesaggi desertici, astronavi, chiese romaniche, chiese gotiche, immagini lunari. Una dopo l’altra si proponevano scene di vita diverse, distanti l’una dall’altra nel tempo e nello spazio.

Capii. Capii che era arrivata l’ora di decidere: potevo fermare quell’orologio su uno di quei teatri ed essere risucchiato lì o potevo richiudere per sempre l’orologio nella scatola, aspettando che il cielo illuminasse Eridano per gli occhi di un altro Sebastian. Chiusi gli occhi e pronunciaii la parola magica mentre nella mia mente si figurava una sola possibilità: “ACZA δ ε”…

(segue)

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