Cap.2
Era passata una settimana ed il caso era ancora fermo.
Il commissario Polesel era nero di rabbia. Ancora una volta non era riuscito a fare emergere nulla di significativo sulla vita del suicida: brava persona, vita regolare, carriera pulita. Nessuno si spiegava ragionevolmente perchè si fosse suicidato. Eppure lui sapeva che qualcosa di grosso era successo nella vita di quell’uomo. Poteva essere qualcosa di assolutamente improvviso che gli aveva sconvolto la vita o qualcosa che lentamente, goccia su goccia, aveva eroso la sua stabilità mentale.
La sua famiglia lo dipingeva come un uomo solitario, forse un po’ pessimista e triste, con le sue insoddisfazioni e le sue delusioni, ma non disperato al punto di suicidarsi. Per i colleghi era un avversario leale, per i collaboratori un buon capo e per i responsabili una persona affidabile. Dunque? Tutto qui? La motivazione del suicidio restava ignota. Presto gli avrebbero chiesto di chiudere il caso e lui non poteva farci nulla, perchè la sua responsabilità finiva nel momento in cui si accertava che il morto si era suicidato. Il perchè non era suo compito scoprirlo.
Anche ad Alfredo il tarlo era rimasto, soprattutto perchè in quegli ultimi giorni era aumentata la puzza di marcio che aveva sentito al suo arrivo. Decise che avrebbe dovuto andare a fondo e chiese a Polesel di temporeggiare ancora per qualche giorno.
- Clara, mi chiami.. dunque: dottor Semeraro delle Operations, dottor Pasquini e dottor Riboldi delle due Direzioni di Produzione, dottor Galli della Ricerca, tutti i riporti del dottor Ferrari ed i pari livello delle altre direzioni.. insomma tutta la prima e seconda linea e i riporti di Ferrari. Okay? Oggi pomeriggio alle quattro in sala consiglio. Chi non c’è può firmare la lettera di dimissioni e andarsene già da domani.
***
Alle quattro meno cinque Alfredo era già seduto nella sala consiglio, con un blocco dove si era fatto segnare da Clara i nomi di tutti quelli che avrebbero partecipato alla riunione. Nel giro di qualche minuto la sala si riempì di colleghi, ma al contrario delle altre occasioni in cui ciò avveniva – auguri di Natale o di Pasqua, dimissioni o nuove assunzioni – stavolta erano tutti concentrati a guardare il pavimento ed erano pochi gli occhi che svolazzavano tranquilli e senza colpa in giro per la stanza.
Tra di loro c’era anche Anita, chiusa in un tailleurino blu di gabardin ed una camicetta rosa shocking, unica donna presente, che ammirava l’arredamento di quella sala che raramente aveva occasione e tempo di osservare nel dettaglio. Stava ammirando i quadri di Mirò e cercando di leggere i titoli nell’etichetta di metallo appoggiata appena sotto la cornice, quando Alfredo annunciò l’inizio della riunione con qualche colpetto di tosse, chiese conferma a Clara che fossero arrivati tutti e la invitò ad uscire chiudendosi la porta alle spalle. Pensò un attimo quanto sarebbe stato buffo se Clara li avesse chiusi a chiave nella sala consiglio e lasciati lì per tutto il tempo: poteva essere un’idea per raggiungere il suo obiettivo, ma quella era un’altra storia.
- Vi starete chiedendo come mai vi ho convocati – e qui tutti accondiscesero con la testa o dei sorrisi stupidi di circostanza – Bene. Il motivo è la morte del dottor Ferrari della quale tutti avete saputo. – si fermò un attimo finchè il mormorio dettato da quella rivelazione non si autocensurò – Io non posso pensare che un uomo – prese il suo blocco e lesse il rapporto del commissario, sottolineando le parole – “gentile... educato... gran lavoratore... onesto... un bravo capo ed un bravo responsabile... “ da un giorno all’altro decida di appendersi per il collo in ufficio. Silenzio! – intimò – E’ per questo che, indipendentemente da quella che è stata l’indagine scientifica e la sentenza di suicidio del commissario Polesel, peraltro non ancora formalmente chiusa, per onestà nei confronti di quest’uomo che apparentemente sembrava amato da tutti, ho deciso di fare la mia indagine personale e mi aspetto che tutti voi, e ho detto “tutti” voi, siate estremamente collaborativi. Domande?
Anita si sentiva particolarmente interessata. Era l’unica donna presente ed era la persona che aveva scoperto il cadavere. Era ancora scioccata e dispiaciuta. Alzò timidamente la mano e quando Alfredo le diede la parola gli chiese: - Che tipo di collaborazione si aspetta... cioè cosa dovremmo fare?
- Anita... giusto? – e lei fece un cenno d’approvazione – so che lei è stata particolarmente colpita da questo avvenimento. Il commissario mi ha raccontato tutto del suo interrogatorio, visto che è la testimone principale. La ringrazio per come ha saputo collaborare con le istituzioni, nonostante lo shock, ma non basta. Vedete – tutti quanti – un’azienda è fatta di persone e le persone hanno emozioni, pensieri, interessi, ideali, principii. Le persone intessono relazioni che non riescono ad essere solo di lavoro. C’è empatia... una persona non riesce ad essere completamente distaccata, o almeno non sempre... ed è inevitabile che si arrivi a scontri, lì dove sono toccati nel profondo i valori sulla base dei quali una persona ha costruito la sua esistenza. Il dottor Ferrari era un uomo che aveva dei valori molto radicati di onestà, giustizia e correttezza. Il suo curriculum personale stilato dai suoi precedenti responsabili negli ultimi dieci anni lo dipingono così. Era, insomma, quello che si chiama un uomo tutto d’un pezzo... ed un uomo tutto d’un pezzo ha due soli motivi per arrivare ad un suicidio: un amore stravolgente finito male o un senso di colpa mostruoso che il suo io non regge. Ebbene signori... Io voglio capire quale delle due motivazioni sta dietro il suicidio del dottor Ferrari. Per un semplice motivo: perchè nel caso in cui non sia una storia d’amore ad averlo spinto verso un gesto così inumano, allora è dentro quest’azienda che quel qualcosa di inumano va trovato e sradicato. Ed è mio compito, in qualità di amministratore delegato, capire se questa è un’azienda sana o è un’azienda marcia.
Vi starete chiedendo come farò, giusto? Vi chiamerò personalmente. Con ciascuno di voi nei prossimi giorni fisserò un colloquio di mezz’ora al massimo, nell’ambito del quale dovrete parlarmi del dottor Ferrari, dei vostri rapporti con lui, dei suoi rapporti con gli altri colleghi e dei suoi aspetti personali che conoscete, se li conoscete. Non ammetto rinvii ingiustificati. Annullate ogni impegno e passate da Clara entro domattina a fissare la vostra sessione o lasciate detto di chiamarvi appena sono libero... Potete andare, se non ci sono domande...
Nessuno parlò... Erano tutti con le mani sui braccioli delle sedie e le unghie puntate nella dura stoffa, le gambe dondolanti avanti e indietro per il nervosismo. Alfredo si alzò ed uscì dalla stanza e piano piano si levò un mormorio nel quale si leggeva delusione, paura e diffidenza. Ciascuno pensava ai propri torti e immaginava gli altri colleghi pronti a metterli in piazza davanti all’amministratore delegato, per fare bella mostra di sé.
Anita si guardò un po’ in giro e poi sgaiattolò fuori verso la scrivania di Clara, chiedendo il suo appuntamento quel pomeriggio stesso, se fosse stato possibile. Quindi prese l’ascensore e se ne tornò in ufficio.
Cap. 3
Clara accolse Anita con un sorriso. Quella ragazza le ricordava sua figlia e l’adorava fin da quando era stata assunta. Se la ricordava perchè all’epoca lei lavorava al Personale, che ora si chiamava le Risorse Umane. La invitò ad entrare nell’ufficio dell’amministratore delegato.
Anita varcò l’ingresso timorosa. Era la prima volta che entrava nell’ufficio dell’amministratore delegato, una grande stanza dai colori freddi bianco – acciaio e vetri dappertutto. Sicuramente da lì la vista era spettacolare su Milano, ma non aveva il tempo di concentrarsi sul panorama.
- Salve – salutò timidamente Anita.
- Salve. Prego si accomodi. Prende un caffè?
- No grazie.
- Bene... si è un po’ ripresa?
- Beh, ecco... non è facile... a parte la scoperta in sé.. insomma, non te lo aspetti... avevo il colloquio di valutazione quindi pensavo fosse lì dentro, pensavo di trovarlo alla scrivania, come al solito...e invece era lì, quello sguardo...
- Lasci perdere non voglio scatenarle ricordi poco piacevoli..
- Sì, ma vede non è solo questo. In realtà è proprio l’idea di non aver capito cosa gli passasse per la testa che mi sta frullando da allora. Insomma, alla fine io passavo molto tempo con lui. Non so se lo sa, ma stavamo progettando un nuovo sistema di controllo dei costi, diciamo che era quasi pronto... ecco, mancava l’ultima taratura e poi glielo avremmo presentato...
- Mm... di cosa si tratta?
- Vede... fino ad oggi tutte le fatture sono controllate da una singola unità centrale presso l’amministrazione, che verifica semplicemente che i contratti siano in essere formalmente, quindi che siano validi, e poi paga l’importo a contratto. Ci sono dei contratti a consumo ove sono definiti invece soltanto i costi dei servizi e l’amministrazione semplicemente verifica che i calcoli siano corretti, non potendo entrare nel merito dei servizi.
- Mi scusi, ma di quali servizi stiamo parlando?
- Stiamo parlando dei materiali necessari alla produzione dei giochi: la plastica, la stoffa...
- Ma scusi, non è certificato quanto materiale serve?
- Dipende dal ramo di produzione. Come sa c’è un ramo, che è quello dei giocattoli artigianali, che sono fatti di legno a mano da artigiani fuori dalla nostra fabbrica, che richiedono il materiale da lavoro: stoffa, legno, chiodi , insomma tutto ciò che serve per produrre i giocattoli che poi noi vendiamo.
- E dunque?
- Ebbene, abbiamo verificato che ci sono delle sacche di inefficienza e potenziale abuso nella erogazione di questo materiale e organizzandosi in modo diverso si può arrivare ad un risparmio di oltre un milione di euro.
- Cosa?
- Sì, non ci credevo nemmeno io. Ma vede, il modello è semplice: parte dalla media di materiale che è stata utilizzata negli ultimi dieci anni dagli artigiani e raffronta questo dato con la quantità richiesta dai singoli artigiani. In questo modo siamo in grado di lasciare a casa o correggere quelli più spreconi, oltre che di verificare partite difettose dei materiali, che possiamo rispedire indietro ai fornitori.
- Mi sembra un concetto banale... perchè non è mai venuto fuori prima?
- Perchè prima era una la capogruppo a gestire la fornitura del materiale ai nostri artigiani e non sapevano nulla dei nostri processi! Pagavano e basta... Adesso invece vogliamo spostare il controllo delle fatture ed il pagamento presso di noi, con personale interno posto a presidio del processo produttivo, quello industriale, intendo. E’ personale comunque competente, che può contestare agli artigiani i loro metodi di lavoro.
- Complimenti...
- Grazie. E’ quasi ultimato. Mancava la raccolta delle statistiche dell’ultimo anno e poi glielo avremmo proposto...
- Ma perchè me lo racconta? Ha a che fare con il suicidio?
- Non so... il fatto è che ho sentito spesso litigare il dottor Ferrari con il dottor Pasquini ed il dottor Riboldi su questo argomento. Il dottor Riboldi sosteneva che il modello avesse delle falle e non fosse in grado di cogliere correttamente i dati. Pasquini e Ferrari sostenevano il contrario...
- E secondo lei?
- Io sono sicura che il modello sia corretto e così sono andata avanti per conto mio.
- Non sa dirmi di più sulla relazione con Pasquini e Riboldi?
- No, mi spiace. Si sono sempre guardati in cagnesco con Riboldi, da che lo conosco, ma ultimamente le scenate erano peggiorate...
- Lei che ne pensa?
- Io? Penso che abbiano tutti un po’ paura adesso... sa... se dovesse emergere qualcosa di strano...
- Perchè parla di qualcosa di strano?
- E’ una sensazione... non riesco a qualificarla, ma penso come lei che qualcuno non abbia la coscienza pulita...
- Ah... e dal punto di vista personale?
- Era un gentiluomo. Non credo di poter dire altro, mi spiace.
- Va bene... mi riservo di richiamarla se sarà necessario.
- Sono a sua disposizione dottore.
- Grazie... ah! Finisca il suo modello, voglio studiarlo.
- Sì – sorrise Anita – ci conti!
(continua)
Nessun commento:
Posta un commento