giovedì 14 ottobre 2010

Il cappio - Prima Parte


Prologo


Erano circa le sei di pomeriggio e Anita era di fretta. Come al solito si era lasciata prendere con entusiasmo dalle formule matematiche e si era dimenticata del tempo. In quei momenti per lei non esistevano nè lancette nè quadranti e l’unico tic tac che sentiva era quello delle sue dita sulla tastiera del computer e sui tasti del mouse. Il memo di Outlook lo aveva già posposto due volte e sapeva di essere in ritardo per l’appuntamento con il suo capo: aveva l’intervista nella quale si aspettava la promozione, come anticipazione per tutti i risparmi che avrebbe fatto conseguire all’azienda con il suo nuovo modello di controllo dei costi. Decise che non poteva entrare in riunione senza prima essersi fermata in bagno, visto che era rimasta inchiodata alla scrivania dalla mattina, per tentare di chiudere la nuova versione del suo modello, quella che le sarebbe valsa la menzione nei documenti ufficiali che venivano portati settimanalmente al nuovo Amministratore Delegato.

Uscita dal bagno fece un ampio respiro e si incamminò a passi svelti e lunghi verso l’ufficio del capo. Massimiliano, così si chiamava, era un uomo che stimava. Non era il classico arrivista che farebbe di tutto – compresa la scontata vendita della madre – pur di fare carriera. E nei due anni che avevano lavorato insieme si era instaurata una sorta di complicità tra i due, retta dalla stima reciproca e dal fatto che Anita stava dando con il suo lavoro una grossa spinta verso l’alto al suo capo.

Bussò ma non ottenne risposta. Ribussò dopo aver portato l’orecchio alla porta, per sentire se per caso Massimiliano fosse immerso in una telefonata fiume delle sue e non ottenendo ancora risposta appoggiò la mano sulla maniglia e la abbassò leggermente, con l’effetto di creare qualche millimetro di spazio ove buttare un occhio per capire se il capo era dentro o no. Nulla e nessuno.

A quel punto tornò alla sua scrivania un po’ arrabbiata, prese il suo Blackberry, mando un messaggio istantaneo al suo capo “DOVE SEI?” e sentì poco distante un beep. Ebbe un flash, tornò indietro e spalancò la porta dell’ufficio di Massimiliano.

Il corpo pendeva senza vita dal soffitto. Un cappio di corda robusta era avvolto intorno al collo dell’uomo e gli spingeva la testa penzolante verso la spalla destra. Gli occhi erano aperti e all’infuori. La bocca era anch’essa aperta, come nell’estremo tentativo di rubare l’aria intorno per spingerla giù nei polmoni. Era vestito nel suo completo grigio scuro, la camicia bianca e la cravatta verde, come aveva visto usare dai suoi dirigenti diretti e di capogruppo. Le gambe penzolavano sulla scrivania, rigorosamente nei pantaloni con le pence e la piega in basso. I piedi ciondolavano nelle scarpe nere di Herring. Appena distante dalla scrivania sopra la quale si trovava il corpo dell’uomo, giaceva sottosopra una sedia, probabilmente usata da Massimiliano per arrivare al cappio e spinta alla fine per completare il suo terribile disegno.

La scrivania era pulita, ordinata e nessun messaggio era stato apparentemente scritto per spiegare il gesto, nè qualcosa mostrava che Massimiliano avesse alcuna intenzione di ricevere Anita quel pomeriggio. La motivazione restava ignota, ma che fosse morte per suicidio era inequivocabile.

Cap.1

Alfredo era arrivato da poco a capo di quella azienda. Un’azienda di giocattoli. Un’azienda come molte altre, da poco tempo reduce da una fusione e con pesanti ristrutturazioni ancora da effettuare. Lui era abituato dopo tutto ad essere l’uomo delle “ottimizzazioni”, nonostante avesse soltanto trentacinque anni. Tutto nella sua formazione aveva contribuito a quel momento: gli studi, gli stage, le prime esperienze presso studi di consulenza ad alto livello.

Era stato ripescato dall’amministratore delegato della capogruppo tra un gruppo di consulenti che aveva lavorato alla fusione: gli era piaciuto non appena avevano incominciato a lavorare insieme, forse perchè Alfredo gli ricordava molto suo figlio, che invece si perdeva tra giochi d’azzardo e nottate al casinò da una parte e festini a base di coca e sesso dall’altra.

Era arrivato da qualche mese e aveva sentito puzza di marcio non appena aveva messo piede in quell’azienda. Non aveva ancora compreso quali fossero i giochi, chi fosse dalla sua parte e chi no, chi era degno di fiducia e chi doveva essere messo alla porta, ma era intenzionato a farlo quanto prima.

Era nel suo ufficio. Erano le sette. La sua segretaria, Clara, entrò trafelata senza neanche bussare, il che lo spiazzò non poco, visto che era intento a leggere della documentazione con le gambe appoggiate al tavolo, mentre fumava.

- Eh.. Clara, che c’è? Non si bussa?
- Mi scusi dottore. E’ successo un fatto gravissimo.
- Cosa è successo, avanti... il solito dipendente rimasto chiuso in ascensore? Sarà la quinta volta da quando sono qui...
- Dottore. Ha presente il dottor Ferrari?
- Massimiliano Ferrari? Il capo del Finance?
- Sì, lui.
- Sì, ho presente... e quindi?
- E’ morto.
- Oh mio Dio... come è morto? Come lo ha saputo?
- E’... è... si è... c’è la polizia che vuole parlarle... ecco... sono proprio qui...
- La polizia? E perchè di grazia? Come è morto?

Clara non riuscì a parlare perchè fu scostata dal Commissario Polesel, che entrò con fare arrogante nell’ufficio.

- Commissario Polesel. Lei è l’amministratore delegato di questa azienda?
- Mi può spiegare cosa sta succedendo?
- Siamo stati chiamati... – iniziò il Commissario, ma fu interrotto subito da Clara: Anita Cenci, dottore, sa quella ragazza carina e brava che lavorava con il dottor Ferrari...? Li ha chiamati lei...
- Che cavolo è successo? Qualcuno me lo vuole spiegare? – urlò impaziente Alfredo.
- Signora, la prego... – disse il Commissario a Clara, che non voleva perdersi un attimo di quel colloquio e si sentiva in dovere di comunicare lei la notizia al suo responsabile, piuttosto che quell’uomo basso e grasso e anche arrogante con quel nome che risultava un po’ buffo addosso a lui, perchè le ricordava proprio un pollo.
- Clara, la prego, esca e mi lasci con il commissario – disse Alfredo a Clara, che con notevole disappunto borbottò un “Come desidera” e si avviò lentamente verso la porta, attardandosi a chiuderla come a voler allontanare il momento in cui sarebbe stata definitivamente fuori dalla portata di quelle chiacchiere. Quando fu fuori, Alfredo proseguì – mi scusi Commissario. Prego, mi dica.
- Un suo dipendente, Massimiliano Ferrari, si è suicidato nel suo ufficio al quinto piano di questo palazzo circa due ore fa. Il cadavere è stato scoperto da una sua collaboratrice, Anita Cenci, che ci ha indicato di essere entrata nel suo ufficio per un colloquio di valutazione con lui.
- Ah... e cos’altro ha detto? Possibile che non abbia sentito nulla?
- Non ha detto proprio nulla, se per questo... quello che le ho raccontato lei ce lo ha mostrato a gesti a suo modo.. è sconvolta.. sembra impazzita.. continua a fare avanti e indietro con la sua valutazione in mano e fuma una sigaretta dopo un’altra. Abbiamo chiamato uno psicologo che dovrebbe arrivare entro un’ora, così la porta a casa e la segue. Dovrebbero arrivare anche i suoi parenti..
- Ma è certo che è un suicidio?
- Non abbiamo riscontrato nulla fino ad ora che dimostri che non lo è, mi spiace. Sembra abbastanza evidente, ma dobbiamo aspettare che la scientifica finisca il suo lavoro prima di confermare che si tratta di suicidio. Sono qui per questo. Dovrò interrogare i suoi colleghi e collaboratori nei prossimi giorni per verificare ogni ipotesi e trovare, se possibile, una qualche giustificazione al gesto.
- Non ha lasciato nulla... di scritto intendo?
- No. Inoltre ho bisogno di poter accedere ai vostri archivi del personale per comunicarlo alla famiglia. Immagino abbiate i riferimenti...
- Mm.. sì – quindi tese un braccio verso il telefono interno e disse – Clara, per favore chiami Stefani al personale e gli chieda i riferimenti privati e di lavoro del dottor Ferrari. Subito grazie – e rivolto verso il commissario – mi spiace, come posso aiutarvi?
- Lei non ha sentito nulla? Lo conosceva bene? Ha qualche idea?
- Vede commissario, sono arrivato da poco in questa azienda. Sto lavorando da pochi mesi con queste persone e sinceramente non le conosco tutte a fondo. Certo, ho già percepito antipatie, simpatie, mi sono già fatto idea delle coalizioni che è inevitabile ci siano ad un certo livello ma... no, non credo che le faiducce di lavoro fossero di tale rilievo da portare ad un suicidio.
- Bene. Ho bisogno di lei
- Sono a sua disposizione...
- In questi casi – ne ho passati tanti, mi creda! – è prassi interrogare i colleghi e quello che ne viene fuori è il classico quadretto rosa dell’impiegatuccio modello che non farebbe e non ha fatto male ad una mosca. Io non ne ho bisogno, anche se lo devo fare perchè mi è richiesto. Quello di cui ho bisogno è che venga fuori quel sottobosco di chiacchiericcio e pettegolezzi tipico di una azienda, quello da macchinetta del caffè, che sia roba di lavoro o personale, non mi interessa, purchè mi porti a capire perchè un uomo che si può considerare in apparenza “arrivato” decide da un momento all’altro di togliersi la vita.
- Come faccio? Sa bene che...
- Non mi interessa come farà. E’ lei l’amministratore delegato di questa azienda. Trovi il modo... – disse il commissario, mentre si alzava e si dirigeva verso la porta. Quasi si scontrò con Clara che entrava con il biglietto ove erano riportati in bella calligrafia il telefono di casa ed il cellulare personale e aziendale del dottor Ferrari. Polesel le sottrasse di mano il biglietto, la ringraziò tra i denti e uscì.

(continua)

Nessun commento:

Posta un commento