venerdì 15 ottobre 2010

Il Barista - Tris (prima parte)

Io sono un barista.
Il mio bar è un bel bar, neanche troppo piccolo, un po' in periferia di una cittadina di provincia.
Nel mio bar c'è molta gente il sabato e la domenica, ed anche a pranzo è piuttosto frequentato.
Ma durante il giorno, specie in quelli feriali, ci sono pochi avventori.

Mi piace osservare i miei clienti: leggo le loro vite, e vedo le loro passioni dipinte sui loro volti, nei loro gesti, nel loro posizionare il corpo. In un certo senso sono un voyeur, anche se non manifesto tutte le connotazioni morbose che la definizione normalmente comporta.


Il mio bar ha il bancone, ma i tavolini sono sistemati tutti intorno alla sala, in tanti piccoli separè. Le luci sono soffuse, e le stoffe a colori tenui, tutte diverse l'una dalle altre: ogni separè ha un suo divanetto tondo, ed è caratterizzato da un suo specifico colore.
Per raggiungere il mio bar, una persona dove volerci venire: il locale non è lungo una via di grande comunicazione, ma si trova in una via discreta, con un parcheggio sotto le piante, all'ombra e un po' nascosto alla vista.
I miei clienti adorano questi particolari.

Alla mattina i miei clienti sono per lo più ragazzi: motorini e caschi colorati, borsaccie piene di libri inutilmente portati a fare una passeggiata fuori casa, perchè a scuola quella mattina loro non ci dovevano proprio andare. Sono i ragazzi che utilizzano la sala con il biliardo che ho nel retro: lunghe partite a stecca o a carambola, parlando fitto di ragazze e di prof, di genitori e di bigiate. Sono allegri, cuori sempre in allarme quando entra qualche sparuto avventore, non sia mai che un conoscente dei genitori capiti qui e li sgami mentre hanno fatto sega a scuola... Bevono bibite, rari caffè, qualche bottiglietta di birra (io gliela sconsiglio, ma si sa...) e pagano sempre facendo la colletta, e con grandi manciate di monete, tuttalpiù quanche pezzo da cinque.
Poi, immancabilmente, poco prima della fine delle ore di scuola, sciamano via veloci e felici, in sella ai loro piccoli bolidi rumorosi e colorati, a raccontare bugie ai loro genitori per mascherare quell'assenza dalle aule che non era programmata.
Mi sono simpatici i ragazzetti che frequentano il mio bar: io sono loro complice, lo ammetto. Spesso faccio loro anche qualche sconto che non dovrei, ma... in loro mi ci rivedo, proprio come ero io alla loro età, e questo mi fa sentire ancora in quei tempi là, più giovane, più spensierato, più...

Nel pomeriggio, dopo il periodo del pranzo, la mia clientela cambia.
Adesso, per esempio, sto asciugando bicchieri e tazzine, piattini e posate, e li sto allineando sullo scaffale dietro a me, pronti per una nuova ordinazione.
Fuori è una giornata tiepida, di primo autunno: fino a ieri pioveva, e stamattina è stata una giornata tranquilla; i ragazzi non hanno programmato bigiate fino al mio baretto per timore della pioggia, ed hanno affrontato il loro destino fatto di interrogazioni e di verifiche a sorpresa. Ma i clienti del pomeriggio, quelli invece arrivano, sempre e comunque.

Eccone due, un uomo ed una donna.
Entrano e si guardano circospetti intorno, quasi a capire se ci sono pericoli in agguato. Mi indirizzano un saluto veloce ("..'Giorno..."), poi lei sceglie un separè, quello che la cela di più da sguardi importuni e inopportuni provenienti dall'esterno, e lì si siedono. Ha scelto quello rosa.
Sono tesi: si capisce che è una delle prime volte per loro.
Io continuo ad asciugare i miei bicchieri (prima o poi li consumo, a furia di lucidarli) e fingo di non guardarli; però li osservo di sottecchi, perchè sono un curioso dell'umanità.
Questi due sono evidentemente entrambi sposati, ovviamente ciascuno per conto proprio, ma nessuno dei due ostenta simboli matrimoniali: in questo tipo di clientela mai una fede, una ghieretta, un anello... Mostrano collane, spille, braccialetti ed orologi come piovesse, ma fedi e fedine, mai.
Io però ormai li conosco, li capisco a fiuto, intuisco immediatamente il loro status. Sono troppo esperto, vengono sempre qui da me proprio perchè questo mio bar è così: bello e perduto, romantico e solitario, appartato e tranquillo. Si passano l'indirizzo tra loro, sottobanco. Un fogliettino scritto di fretta, l'amico all'amico, l'amica all'amica, come una password per un rifugio sicuro. A me sta bene così, questa è l'altra mia clientela, quella del pomeriggio.
Sono belli questi due. Lei avrà una quarantina d'anni, portati benino: abito leggero, forse un po' troppo leggero per la giornata di oggi, ma ha pensato che tanto di freddo non ne patirà di certo; capelli corti, viso molto femminile, scollo impertinente senza essere volgare, calza velata e tacco appena un po' importante.
Ma quello che più mi fa sorridere è l'espressione che ha. E' sparuta, sembra una bimba che avrebbe voglia di ridere felice, ma non riesce a superare la sua preoccupazione, quella di non essere giusta nel posto giusto con il compagno giusto.
La chiamerò Clara: mi piace dare nomi ai miei clienti.
Lui invece è seduto con ostentata naturalezza: ha stampato sul viso un sorriso aperto e tranquillo, nella sua camicia a piccoli quadretti azzurri, portata slacciata senza cravatta sotto un blazer blu indossato aperto. Il viso abbronzato evidenzia qualche ruga d'espressione che tradisce qualche anno in più di quello che vorrebbe dichiarare. I capelli invece sono ancora biondi, portati un po' lunghi, come di certo lui faceva qualche anno fa. Ha appoggiato il suo telefonino sul tavolo, defilato ma in vista ("Sai, l'ufficio..."): lo ha silenziato, ma non può permettersi di perdere una eventuale chiamata della moglie.
Lui mi sembra più un Michele: sì, Michele gli sta bene.
Si guardano, un po' impacciati; poi mi convocano, per le ordinazioni.
Mi avvicino, e sento subito che per loro è una prima volta: ormai sono troppo esperto.
Lui la guarda. "Cosa prendi?" Lei sembra risvegliarsi improvvisamente da un sogno. "Ah, ma che scema. Non ho nemmeno guardato..." Lui allora prende in mano la situazione, studia la carta con attenzione, poi finalmente partorisce la sua scelta, che è poi la solita scelta di tutti quanti loro: "Mah, a me adesso a quest'ora va solo un caffè!". Qualcuno aggiunge, spavaldo: "Ma buono, eh?" Io sorrido ed annuisco, poi mi volto verso di lei ed attendo che lei decida di ordinarmi un thè. "Io prenderei un the. Ce l'ha il the verde?". Ce l'ho, Clara, ce l'ho. Me lo chiedete tutte, ed ho dovuto imparare a tenerlo....
Mentre me ne vado, loro si rilassano un momento: li vedo con la coda dell'occhio, appoggiarsi al tavolino e sporgersi lievemente l'uno verso l'altra; li sento con un orecchio solo mormorare: lui "Allora?" e lei: "Carino qui. Come l'hai scoperto?". E poi la conversazione si abbassa di tono, parlano di ogni cosa che gli venga in mente, la prima che arriva e che non interessa a nessuno dei due; soprattutto non si decidono a fare la sola cosa che dovrebbero.
Cioè baciarsi.
Porto le consumazioni, servo galantemente prima lei e poi lui, entrambi mi ringraziano con un cenno della testa ed un sorriso: forzato lei, con gli occhi spalancati, e più sbrigativo lui; così, discreto, me ne ritorno dietro al bancone del bar.
Riprendo ad asciugare bicchieri, mentre loro iniziano finalmente a parlare fitto fitto, e lui le prende una mano tra le sue, mano che lei guarda stupita, quasi neanche ricordasse come sia finita proprio lì, invereconda tra le sue due. Io intanto asciugo e guardo di sottecchi: ho milioni di bicchieri da asciugare e lucidare.
Ad un tratto lei si alza: "Scusi, ha un bagno?". Glielo indico e intanto penso che devo decidermi a scrivere le istruzioni per raggiungere il bagno sulle tazze del the verde; risparmierei quintali di fiato. Non appena lei varca la soglia della toilette, Michele lancia uno sguardo indagatore in strada, poi si appoggia alla spalliera del divanetto rosa, e scorre i messaggi del suo cellulare.

Arriano altri due clienti del pomeriggio: lei è una vecchia conoscenza. Carnagione chiara e occhi azzurri, con i lunghi capelli a boccoli biondi, entra e mi sorride complice. Veste un tailleur beige, sopra una camicetta di seta. Il tailleur non è certo nuovo, ma le sta sempre d'incanto. Ha un sorriso beato, che tranquillizza: è per questo che l'ho soprannominata Beata.
Lui invece la segue circospetto. Sembra non essere a suo agio, mi fa solo un cenno con il capo, l'espressione tirata, e poi squadra Michele, l'uomo seduto al separè rosa.
E' sui 45, veste giacca e cravatta, ed ha i capelli sale e pepe, tagliati corti, con una leggera tonsura sulla nuca. Gli occhi, scuri e incorniciati da grandi sopracciglia, hanno anche vistose borse di stanchezza. Se dovessi indovinare, lo chiamerei Franco,
Beata sceglie per loro il divanetto panna, quello proprio a destra dell'altra coppia; Franco si accomoda diligente e composto, dando la schiena all'altro uomo.
Beata è più disinvolta, e chiacchera in continuazione; Franco invece si limita ad annuire, con un sorriso pallido e tirato.
Prendo le loro ordinazioni: un the verde e un caffè. In questo caso non importa se sia buono o meno: Franco non era dell'umore abbastanza spavaldo da raccomandarmelo.
Mentre sto creando l'ennesimo infuso di foglioline orientali, Clara esce dal bagno, vede Beata e si blocca: fiuta il pericolo, come una leonessa nella savana, questo ormai l'ho capito.
Ora è impacciata, scruta la nuova arrivata (Beata è un nome che adesso anche Clara troverebbe azzeccato) seduta nel separè a fianco al loro, ma non riesce a vedere Franco, seduto di schiena e nascosto dalla alta spalliera. Poi incrocia lo sguardo di Michele, che con un rapido movimento di bocca e di testa le indica che non c'è da temere: "Sono due come noi..." le sillaba a fil di labbra. Allora Clara, più rilassata, torna e abbozzando un sorriso stanco di tensione si siede di fronte a lui.

Passa ancora qualche minuto, e le due coppie, nel riparo dei loro separè, iniziano a sciogliersi: parlano sottovoce ma fitto, di opportunità e di orari, si lamentano dei rispettivi partner, fanno piccoli progetti per il futuro, inventano credibili storielle per non essere sorpresi, si scambiano timidi sorrisi, languide carezze e qualche piccolo bacio.
Io continuo ad asciugare i miei bicchieri: meno male che li hanno inventati, altrimenti come farei ad osservare di soppiatto i miei clienti preferiti?

Decido di avvicinarmi: sono un barista, guadagno sulle consumazioni, ed un singolo caffè non mi può bastare. Devo proporre loro qualcosa, è una legge di marketing, qualcosa tipo la domanda e l'offerta...
Mentre sono davanti al separè rosa, ecco che entra nel locale una terza coppia: lui con una certa spavalderia, nuovamente da cliente abituale, e lei con un incedere frettoloso, quasi volesse volare subito subito dietro a un separè. Lui sceglie l'azzurro, quello proprio all'altro lato del rosa, e la fa accomodare, galante.
Anche io mi giro verso di loro, coprendo involontariamente (involontariamente? Ma se sono un professionista!) i clienti del rosa: "Buongiorno signori!".
Questa nuova coppia mi intriga di più.
Lui è particolare: ha dei capelli neri, a ricci larghi, ed un viso regolare. Avrà 40 anni, ed è perfettamente in forma, alto slanciato ed atletico. Un bell'uomo, con gli occhi penetranti ed un sorriso di chi ti legge dentro. Il suo abito è panna, d'altri tempi, e porta un bel cappello in tinta, a larghe falde, che si è levato appena messo piede nel locale. Lo trovo molto elegante, e poi ha un viso con lineamenti così dolci che mi sento di battezzarlo Angelo.
Lei invece è al suo 'debutto': nervosa, con gli occhi spaventati, è una bella donna, con lunghi capelli castani e forme prosperose, tipicamente mediterranee. Porta pochissimo trucco, ed è piuttosto giovane per il tipo di clienti che ospito io: non avrà più di 35-38 anni. Arriva dritta dall'ufficio, in tailleur grigio e camicetta di seta bianca: si vede che ha preso un paio d'ore di permesso, perchè continua a guardare compulsivamente l'orologio, ogni tre minuti. Una perfetta Manuela, direi.
Lui posa la sua mano su quella di lei, e la tranquillizza, sorridendole dolcemente: devo ammettere che ha un che di angelico nei suoi movimenti...

(segue)

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