domenica 12 settembre 2010

The Lift

Terza (ed ultima) Parte

Inutile dire che la mia vita cambiò. Cambiò come può cambiare la vita di un rospo dopo che è baciato dalla principessa e diventa principe anche lui. Solo che qui era il principe che aveva dato il bacio e il rospo ero io. Non riuscivo a capacitarmi di quello che era successo, ma soprattutto non mi capacitavo del fatto che lui non si facesse sentire. Mi sembrava di essere tornata adolescente, ferma davanti al telefono muto, mentre lo implora di squillare e quando squilla resta delusa pronunciando le fatidiche parole “Ciao mamma... sì sto bene... tu e papà?”, perchè si sa che i genitori hanno quel sesto senso che li porta sempre a chiamare quando aspetti un’altra telefonata o quando mangi.

In queste situazioni la fantasia si scatena: sarà malato gravemente e non riuscirà ad alzarsi dal letto nemmeno per telefonarmi... sarà rimasto bloccato in ascensore... sarà andato via per lavoro... sarà... Certo, sarà un milione di cose diverse, finchè non lo vedi rientrare con una bella bionda al suo fianco, in pantaloncini bianchi, che mostra due gambe che la loro rotula arriva al tuo ombelico ed un sedere da brasiliana che ti rassicura sul fatto che Dio non è stato giusto con te.

Allora inizi a pensare: ma allora, io? E da lì a un secondo la fantasia riprende a scatenarsi: sarà sua sorella, è bionda come lui! Scopri dopo due giorni dalla portinaia che è sua moglie svedese appena rientrata in città dalle vacanze in patria.

Cosa vuoi dirgli? Nulla... in fondo tra di noi c’era stato solo un bacio e un bacio non è impegnativo...

No! Porca miseria, un bacio è un bacio: un bacio è un apostrofo rosa tra le parole “ti” e “amo”, un bacio è la promessa di un amore, un bacio è lo scambio più bello tra due anime... Non si bacia una qualunque, non si bacia la tua vicina del piano di sotto solo perchè ti fa pena sui suoi pattini con le gambette magre un po’ rachitiche e la pelle che comincia a raggrinzirsi... perchè in fondo ha trentacinque anni la tua vicina, non venticinque come quella bionda là che ti sta accanto.

Non so come abbia fatto a innamorarmi di lui per così poco, se poco è un bacio.

Non lo so. Innamorarmi è una parola grossa, ma come si chiama quel nodo allo stomaco che mi prendeva appena aprivo il portone di casa e speravo di incontrarlo? Come si chiama quella sensazione di vuoto che sentivo dentro di me quando chiudevo la porta di casa e non l’avevo incontrato? Come chiamavo quella frizzante energia che sentivo in me e che mi faceva presagire che sarebbe successo qualcosa e che si spegneva dopo ore quando c’era oramai la certezza che non sarebbe successo nulla? Non so come chiamarla, eppure sentivo tutto ciò nel cuore. Incrociare i suoi occhi quando capitava mi faceva ancora provare un tuffo al cuore. Correvo quando ero per strada e lo vedevo entrare nel portone non faceva solo venire il fiatone, ma mi riempiva di qualche strano borbottio allo stomaco. Passare le ore allo spioncino di casa per vederlo scendere non era normale. Allora cosa ero? Pazza, innamorata?

Mi ero lasciata illudere e non mi restava che leccarmi le ferite. Speravo solo che non sanguinassero troppo, anche se ero conscia che il sangue usciva copioso più per orgoglio che per dolore. E sapevo che ferita dopo ferita in fondo le cicatrici creano una barriera inviolabile persino al più perseverante degli innamorati.

Ora ho cinquanta anni. Il mio principe l’ho trovato una mattina in un bar. Lui era lì che lavorava ed io ero entrata a prendere un caffè, dopo una notte passata in ufficio: anche allora confermai la vecchia abitudine di fare gli incontri importanti della mia vita quando ero paragonabile più a uno straccio che a un fazzoletto di seta. Ho anche due splendidi figli, un maschio ed una femminuccia, che mi ricordano nella loro adolescenza quando forti siano le sensazioni dei primi amori e quanto ti restino dentro, più tu cerchi di cacciarli via.

Non mi manca nulla. Ho una famiglia, un bel lavoro e una discreta situazione economica. Eppure io non ho mai smesso di ripensare a quella domenica mattina, a quel giorno in cui il mio piccolo cuore fu travolto da una passione che era insensata – come tutte le passioni – e sprofondò in un amore che sarebbe stato indelebile, una emozione di quelle che ti entrano dentro e non le distruggi nemmeno violentandoti l’anima, un dolore che sai di non poter mai cancellare, ma solo coprire con garze che ogni tanto devi bagnare perchè si imbevono di sangue che sgorga continuo da quella ferita. Lui per me è stato questo. Non l’ho più visto. Non l’ho più cercato e del resto non avrei mai più osato, dopo che la portiera mi aveva detto che era sposato.

Se solo avessi saputo la verità... se solo avessi saputo allora - e non quindici anni dopo - che in realtà quella bionda mozzafiato era davvero sua sorella, se solo lui avesse osato scendere giù a chiedermi perchè non mi facessi viva, invece di chiamare in continuazione ad un numero di telefono che era sbagliato, perchè la portiera non sapeva leggere e scrivere bene...

Se solo avessimo avuto un po’ più di coraggio entrambi...

Taci. Ovunque tu sia. Lo so. E’ inutile che urli dal profondo che non serve a nulla chiedersi ora << cosa sarebbe successo, “se solo”...>> . Lo so che tutto questo non può cambiare il passato, nè cambiare il futuro.

Eppure, nel presente, questo solo ricordo mi scalda il cuore.

2 commenti:

  1. e come sempre....sei arrivata lì, dove dovevi arrivare: al cuore.
    e come sempre....ho vissuto gli ultimi 20 minuti nella vita di qualcun altro....ma come ci riesci???? lo sai solo tu.
    BRAVA!!

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