martedì 3 agosto 2010

La Luna lo sa - Domenica sera

Parte 5

Domenica sera, Lui

Mancavano una manciata di minuti alla partenza del convoglio, abbastanza per non doversi affrettare eccessivamente, ma sufficientemente pochi per non dover prolungare troppo il commiato.
Phil trainava con la sinistra il trolley, mentre la donna si reggeva al suo braccio destro con entrambe le mani, in una posizione che sembrava volerlo trattenere a sé.
“A che ora parte il treno per Milano?”
“Là c'è il tabellone: guardiamo.”
“22.15. Binario 3”
“E' là. Vieni.”
Raggiunsero in silenzio il binario, e cercarono la carrozza. Poi Phil aprì la porta e caricò senza sforzo il trolley, quindi aiutò la donna a salire in vettura, e salì subito dopo anche lui.
Il posto prenotato recava il nome stampigliato del passeggero, e incredibilmente la prenotazione era
stata rispettata. Phil sistemò i bagagli nell'apposito spazio, poi si rivolse alla donna.
“Amore, è stato un bellissimo weekend!”
La donna lo guardò, serena, con il sorriso di chi aveva già capito tutto.
“Anche per me. Sono stata bene, e ti ringrazio per tutto quello che hai fatto.”
“Anch'io sono stato bene, con te. E ti devo ringraziare per la tua pazienza.”
La donna raccolse i suoi lunghi capelli biondi in una grossa coda, legandoli con movimenti esperti; poi posò le mani sulle spalle di Phil e lo baciò sulle guance, tre volte alternativamente.
“Ciao, caro. Ho letto che bisogna darsi sempre tre baci sulla guancia, perchè portano bene. Spero davvero che sia così per entrambi.”
Phil sorrise a sua volta, e la abbracciò stretta.
“Sei una gran donna, sai?”
“Riguardati, amico mio. Voglio ritrovarti in forma quando ci rivedremo!”
“Certo, cara. Allora, fai buon viaggio.”
La donna si staccò dall'abbraccio, e gli fece un'ultima carezza sul viso:
“Spero proprio di rivederti presto!”
Ma in cuor suo sapeva che non era vero.
Phil le diede un ultimo bacio, poi scese dal vagone e si portò sotto il suo finestrino; lei era seduta, e lo guardava.
Da lontano risuonò il fischio del capotreno, ed il convoglio iniziò a muoversi.
Phil mosse la mano in un breve ultimo saluto: “Ci sentiamo!” ma lei già non poteva più sentirlo.
E mentre il treno si muoveva lento verso la sua destra, Phil sentì un piccola lacrima salata scorrergli lenta lungo la guancia.

 ***

Domenica sera, Lei
Mancavano una manciata di minuti alla partenza del convoglio, abbastanza per non doversi affrettare eccessivamente, ma sufficientemente pochi per non dover prolungare troppo il commiato.
L'uomo trainava con la sinistra il trolley, mentre Raffaella si reggeva al suo braccio destro con entrambe le mani, in una posizione che sembrava volerlo trattenere a sé.
“A che ora parte il treno per Milano?”
“Là c'è il tabellone: guardiamo.”
“22.15. Binario 3”
“E' là. Vieni.”
Raggiunsero in silenzio il binario, e cercarono la carrozza. Poi l'uomo aprì la porta e caricò senza sforzo il trolley, quindi aiutò Raffaella a salire in vettura, e salì subito dopo anche lui.
Il posto prenotato recava il nome stampigliato del passeggero, e incredibilmente la prenotazione era
stata rispettata. L'uomo sistemò i bagagli nell'apposito spazio, poi si rivolse alla donna.
“Amore, è stato un bellissimo weekend!”
Raffaella lo guardò, serena, con il sorriso di chi aveva deciso
“Anche per me. Sono stata bene, e ti ringrazio per tutto quello che hai fatto.”
“Anch'io sono stato bene, con te. E ti devo ringraziare per la tua pazienza.”
Raffaella si guardò intorno nella carrozza, cercando di soffocare il groppo che le stava salendo in gola; poi posò le mani sulle spalle dell'uomo e lo baciò sulle guance, tre volte alternativamente.
“Ciao, caro. Ho letto che bisogna darsi sempre tre baci sulla guancia, perchè portano bene. Spero davvero che sia così per entrambi.”
Lui le sorrise a sua volta, e la abbracciò stretta.
“Sei una gran donna, sai?”
“Riguardati, amico mio. Voglio ritrovarti in forma quando ci rivedremo!”
“Certo, cara. Sta tranquilla, e grazie anche per il nominativo dell'avvocato: lo chiamo subito domattina dall'aereoporto, prima di partire per Parigi.”
“Allora, fai buon viaggio, Serge. Salutami Parigi appena ci arrivi.”
L'uomo si staccò dall'abbraccio, e le fece un'ultima carezza sul viso:
“Spero proprio di rivederti presto!”
Ma in cuor suo sapeva che non era vero.
Raffaella gli diede un ultimo bacio, poi scese dal vagone e si portò sotto il suo finestrino; lui era in piedi davanti al finestrino, e la guardava.
Da lontano risuonò il fischio del capotreno, ed il convoglio iniziò a muoversi.
Raffaella mosse la mano in un breve ultimo saluto: “Ci sentiamo!” mimò con la bocca, e lui annuì con il capo.
E mentre il treno si muoveva lento verso la sua sinistra, Raffaella sentì un boccone amaro in gola.


 ***

Domenica sera, Loro
Il convoglio usciva lento dalla stazione, diretto verso Milano.
Raffaella vedeva allontanarsi Serge, e ripensava a lui ed al fatto che probabilmente non si sarebbero più rivisti: lui aveva capito.
Nel suo cuore sapeva di aver fatto la scelta giusta: non era corretto tenere in essere un rapporto quando sapeva quali erano i suoi esatti sentimenti. Però la tristezza per la conclusione di quel rapporto si stava facendo largo prepotentemente dentro di lei: Serge avrebbe sofferto per quella scelta? Lei lo avrebbe fatto soffrire, per aver scelto di non farlo soffrire?
Mentre si arrovellava in queste elucubrazioni da fine di un amore, sentì le lacrime tracimare tutte le barriere che fino ad allora lei le aveva faticosamente imposto. E finalmente, lontano da Serge, le lasciò scorrere liberatorie.

Phil guardava il convoglio pian piano svanire in lontananza, fermo immobile ancora con il braccio destro alzato in segno di saluto. Era immobile, e pensava alla bionda Helen, la sua compagna, che su quel treno si allontanava. Se la immaginava, mentre si riassettava civettuola i capelli, conversare amabilmente con il viaggiatore seduto nella poltrona di fronte. Lentamente scosse la testa: no, anche se lui fosse capitato un'altra volta a Sanpietroburgo, non avrebbe avuto il coraggio di chiamarla. E così probabilmente non l'avrebbe più rivista...
Mentre faceva questi pensieri, ancora con la mano tesa in alto in un ultimo saluto al treno, i suoi occhi notarono una figura di donna, sulla banchina dall'altro lato del binario, avanti una trentina di metri rispetto a lui. Anche lei stava guardando il convoglio allontanarsi, e sembrava stesse asciugandosi con un fazzolettino le lacrime di un addio.
Piano piano abbassò il braccio, sempre senza togliere gli occhi dalla figura, e pensò che aveva qualcosa di familiare...
“Beh, tutte le italiane si assomigliano un po'...” pensò, mentre si metteva lentamente le mani in tasca.
Ma quando fece per avviarsi, la donna si avviò a sua volta verso l'uscita, e girandosi mostrò il suo volto; Phil ebbe in quel momento un tuffò al cuore che lo impietrì.

Raffaella si girò, ed incominciò a camminare verso l'uscita. Con il fazzoletto stava ancora asciugandosi le ultime lacrime, e guardò verso l'alto, verso la notte che ormai era scesa su Venezia: il buio restava confinato proprio sopra i coni di luce che le lampade della stazione proiettavano sulle pensiline. La luna non era ancora sorta, quasi volesse sottolineare con l'oscurità la sua solidarietà  con Raffaella per quel momento triste.
Mentre camminava abbassò lo sguardo sulle poche figure che erano rimaste sulla banchina dopo la partenza del treno per Milano: pensò che tutti più o meno avevano appena vissuto il loro attimo di separazione, anche se per qualcuno era un arrivederci e per qualcun altro un addio.
Pensò che in quell'istante, su quella banchina, tutti quegli amanti stavano rientrando mesti verso le loro abitazioni, accomunati da uno stesso cuore pesante. Vedeva tutte quelle ombre che lentamente si erano voltate, e adesso camminavano insieme a lei verso l'uscita della stazione. Solo una di queste, un po' più avanti di lei sulla banchina dall'altro lato del binario, ancora si attardava a guardare la sagoma del treno che rimpiccioliva in lontananza: sembrava immobile come una statua.
Era in ombra, tra due coni di luce formati da due lampioni vicini: un uomo, forse; sì, un uomo imponente, probabilmente di quasi due metri, con le mani appena appoggiate all'imboccatura delle tasche dei pantaloni. Sembrava in trance, non muoveva un muscolo...
Mentre camminava nella sua direzione, lo vide un po' meglio. Quell'uomo non stava guardando il treno, ma guardava lei: Raffaella si sentì percorrere da un brivido lungo la schiena. Quello sconosciuto la guardava dall'altro lato dei binari, insistentemente.
Decise di non considerarlo, ed allungò il passo per raggiungere le altre persone che già stavano guadagnando l'uscita. Ma poi la colse un'intuizione: fu come se avesse percepito la presenza di qualcuno a lei più che familiare, e di colpo si fermò, rigida: poi, con un movimento che sembrò durare un'eternità, ruotò la testa verso la figura ancora immobile sull'altra banchina, fino a che i loro occhi non si incontrarono.

Phil vide la donna muoversi verso di lui. 
La notte aveva preso il sopravvento su tutto, ed i pochi lampioni della stazione creavano tante isole di luce immerse in un grande mare scuro e buio: adesso la donna era quasi davanti a lui, illuminata dalla fioca luce di uno di quei  lampioni. Phil si sentì raggelare, ed il cuore aveva iniziato a rullargli nel petto senza posa. Incredibile, era proprio lei, lì, alla stazione, davanti a lui.
Si vide sorridere impacciato, e percepì il suo braccio sinistro che si alzava in un impercettibile gesto di saluto verso Raffaella.
La donna intanto si era fermata di colpo, e lentamente si era girata verso di lui, ed ora lo guardava negli occhi, con un'espressione incredula dipinta sul viso.
“Non ci posso credere...” fu l'unica cosa che Phil riuscì a mormorare tra sé.

Raffaella non aveva ancora riconosciuto Phil nell'uomo che aveva davanti a sé, ma già si sentiva pervadere da una sensazione di calore che dalla bocca dello stomaco si stava irradiando per tutto il resto del corpo. Ancora esterrefatta, si ascoltò mentre diceva: “Ma, tu... sei...?”
“Sì, Raffaella. Sono Phil!”
“Phil! Phil! No, sei proprio qui?!?” esclamò incredula la donna.
E come fossero sincronizzati da una identica coreografia, i loro cuori evaporarono d'incanto i plumbei sentimenti appena vissuti, dando spazio a due garrule sorgenti di fresca felicità; i loro occhi si spalancarono stupefatti come quelli dei bimbi la mattina di natale, e le loro labbra si aprirono inesorabili nel più grande dei sorrisi possibili.
Senza staccarsi gli occhi uno da quelli dell'altra, iniziarono a camminare lungo il binario crudele che ancora osava separarli, ciascuno sul proprio lato, verso l'uscita della stazione. Dapprima lentamente, poi sempre più velocemente, finchè non si videro correre insieme, uno di fianco all'altra, verso il  fondo, incapaci di attendere un secondo di più il momento in cui si sarebbero abbracciati.
Lei volò con le sue braccia al collo di lui, che la prese alla vita e la sollevò dolcemente verso di sé: le labbra di lei cercarono avidamente quelle di lui, e si saldarono in un lungo bacio, mentre i due corpi abbracciati stretti stretti ruotavano lentamente sul piazzaletto della stazione in una danza felice.

“Non ci posso credere! Quanto mi sei mancata, Raffaella!” sussurrò lui, aperto in un enorme sorriso mentre la depositava dolcemente a terra.
“Phil, Phil, non ho fatto altro che pensarti, in tutto questo tempo! Che sogno, incontrarti qui a Venezia!” disse la donna, con gli occhi ancora pieni di lacrime per la gioia.
“Anch'io ti ho desiderato molto! Che bello poterti abbracciare, amore!”
Phil si rese conto della portata della sua frase solo un secondo dopo averla pronunciata, e divenne tutto rosso in viso. Si chiese immediatamente se anche lei...
Ma Raffaella lo prevenne, e sorridendo rispose “Mi piace come mi chiami 'amore'! Ti prego: fallo ancora!”
In quel momento un abile regista avrebbe illuminato a giorno la scena: e la Luna, per non essere da meno, scelse proprio quel preciso istante per mostrarsi in tutto il suo argenteo splendore, e suggellare quell'incontro con la luce più romantica che due innamorati possano desiderare.
Phil guardò negli occhi Raffaella: “Sei bellissima, amore!”
Lei sorrise e disse speranzosa:
“Sai, io ho ancora qualche ora da passare qui a Venezia. E tu?”
“Io invece ne ho pochissime...” rispese Phil.
E continuò “...pochissime da dedicare a Venezia: preferisco infatti dedicarle tutte a stare con te.”
Detto questo la attirò di nuovo a sé, e si unirono in un nuovo lungo bacio appassionato, sotto gli occhi degli ultimi viaggiatori che stavano lasciando lesti la stazione.
Ed anche sotto lo sguardo avvolgente della Luna: una Luna che conosceva da sempre i segreti dei loro cuori.
Perchè è proprio così: la Luna lo sa.

(fine, ma loro continuano. Oh sì che continuano!)


1 commento:

  1. Devo dire che la conclusione giunge piacevolmente inattesa. Accolgo con orgoglio la citazione all'Avvocato Silvani e a Melissa: almeno servono a qualcosa :-)

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