venerdì 3 settembre 2010

Un pareo azzurro cielo

Non so da quanto tempo stia dormendo, ma adesso sono al caldo.
Sotto i miei piedi sento la sabbia finissima che si insinua tra loro e le mie infradito, ed il rumore del mare culla le mie orecchie stanche.
La spiaggia è quasi bianca: il mare invece è azzurro, calmo, con alcuni riflessi verde acqua qui e là. Non c’è nessuno: solo io, due palme inchinate a rendere omaggio alle piccole onde di quest’isola, ed il sole caldo. E’ molto tempo che non mi sento così bene.


Il mare mi chiama, e la mia pelle desidera il suo contatto dolce e salato: mi accorgo che vesto solo un costume ed ho con me il mio asciugamano da spiaggia.
Decido di ascoltare il richiamo di quel sussurro verde azzurro, e stendo il mio asciugamano giallo come il sole sulla sabbia bianca come la luna, vicino alle due palme omaggianti l’ombra preziosa. Mi rialzo, lascio le infradito e vado verso l’acqua, sentendo il caldo della sabbia sotto i miei piedi. Poi ci ripenso, torno alla mia spugna e mi levo anche il costume: voglio che la mia pelle e l’acqua siano un tutt’uno in questo mare da sogno.
Mi tuffo, e l’acqua aderisce perfettamente ad ogni minima frazione di pelle del mio corpo, come volesse avvolgermi in una calda e fresca carezza. Sento il mare che mi massaggia, e piccoli pesci che si affrettano a baciarmi le gambe. Nuoto lentamente, a rana, senza far rumore. Sono praticamente immobile nel verde dell’azzurro, ed un pesciolino irriverente mi bacia delicatamente la pancia, proprio sotto l’ombelico: mi coglie un brivido, forse di piacere, forse di timore, ed allora esco da questo tiepido guanto liquido.
Torno sulla spiaggia, unico essere mortale ammesso a questo spettacolo divino, e lascio che le gocce d’acqua scivolino lungo la mia pelle lievemente abbronzata. In piedi, allargo le braccia e mi espongo al sole caldo, inarcando lievemente la schiena.
Mi sdraio sull’asciugamano, una gamba stesa e l’altra leggermente flessa, quasi a proteggere il mio ventre dagli sguardi indiscreti delle palme lì accanto: appoggio la testa e chiudo gli occhi, lasciando che le mie braccia si abbandonino lungo i fianchi, con le palme delle mani rivolte verso il cielo.
Sento chiaramente nel silenzio del lieve sciabordio il sole, con il suo calore così giallo da essere assordante.
La mia pelle si scalda, e posso percepire ogni singolo raggio raggiungere una gocciolina ancora deposta su di me. Li sento contrattare fitti, la pelle ed il raggio, sulla sorte della gocciolina: la mia pelle non vorrebbe lasciarla andare via, ma il sole la vuole con sé. Vince sempre il raggio, ma nel momento del distacco ogni gocciolina lascia alla pelle un granello di sale, quale pegno d’amore per un’indimenticabile unione che non si è mai consumata.
Mi sollevo un po’, appoggiandomi ai gomiti e lasciando scivolare il mio capo all’indietro, come offrendo il mio collo all’abbronzatura tropicale. Il silenzio rimbomba intorno a me, ovattato dalla risacca.
Apro gli occhi con circospezione, nel timore di trovarmi al cospetto di una luce troppo invadente: guardo dalla mia posizione privilegiata il mio corpo nudo disteso su questa lingua di terra baciata con molta benevolenza dalla natura. Mi piaccio: se io non fossi io mi troverei sexy. E me ne rallegro: era tanto che non mi sentivo questo corpo così bello e desiderabile.
Un alito di aria calda mi accarezza delicatamente: richiudo gli occhi, e lascio di nuovo scivolare all’indietro il capo: sono nuovamente vulnerabile al collo, il predatore si faccia avanti.
Ed è in questo momento che ne percepisco la presenza: un rumore, un movimento, un profumo, un pensiero. Non so, ma so che è qui, vicino.
Apro gli occhi, e cerco di abituarli ai riflessi feroci della sabbia troppo chiara tutta intorno: ora ne vedo la sagoma, ad una ventina di metri da me.
Non è più una ragazza: vedo chiaramente dal suo incedere deciso che lei è già una donna. Penso donna perché sembra averne il corpo, pur velato da un pareo.
Ora che è più vicino lo vedo meglio: è davvero un pareo, azzurro come il cielo. Lo tiene annodato dietro al collo, e più che nasconderle il corpo, direi che le sottolinea la morbidezza delle curve. Non riesco a vederla in viso, perché ha il sole alle spalle, e lui le tratteggia la sagoma attraverso la seta azzurra: ha qualcosa in mano, ma non capisco cosa è.
D’un tratto mi rendo conto di non aver nulla addosso, e con un movimento rapido ed elegante faccio ricadere un pudico lembo giallo sole sulla parte bassa del mio ventre. Lei si avvicina, ora posso vedere il sorriso dolce e rasserenante che ha disegnato in volto, subito sotto al naso piccolo e lievemente all’insù. Gli occhi no, non glieli vedo: li ha nascosti dietro un grande paio di lenti scure; però certamente mi sta guardando.
E con interesse.
Malcelato.
Le sorrido, e lei si inginocchia di fianco a me, offrendomi quello che tiene in mano. Ora lo vedo bene, è un grande bicchiere da cocktail: dentro c’è un liquido dai mille colori, ma forse è solo un effetto della colorazione del vetro. Dal bordo sporgono due lunghe cannucce, di quelle che hanno le estremità piegate verso l’esterno: sono entrambe bianche, la prima più ampia e decorata con fili azzurri stampati sottili e paralleli, lungo tutta la sua lunghezza; e l’altra più stretta, con un unico nastro rosso, stampato più spesso, che corre a spirale dall’alto fino in fondo, come in alcuni dolciumi natalizi. Lei mi offre da bere, invitante, ed a giudicare dall’aspetto rugiadoso del vetro, la bevanda sembrerebbe fresca.
Improvvisamente ho sete, una sete infinita ancestrale inestinguibile: ho bisogno che lei mi dia da bere, non ne posso fare più a meno.
Lei sceglie per prima, e beve dalla cannuccia azzurra: a me resta la rossa, la più piccina, e mentre beviamo insieme le nostre teste si toccano. Prima ancora di sentire il contatto del fresco liquido in gola, apprezzo il contatto della sua fronte fresca contro la mia: è un attimo, ma è un brivido profondo.
Poi mi porge il grande bicchiere, ed io lo prendo, assaporando la sua freschezza sulle mie mani.
Ora si siede al mio fianco, e con la sua mano calda mi accarezza il lato del mento, e poi la spalla, seguendone lentamente la rotondità: è una carezza languida, da amante, ed io non sono pronta per questo.
O almeno, penso di non esserlo.
Di non esserlo ancora.
Perché lei è donna.
E anch’io sono donna.
Almeno penso di esserlo, prima lo ero: ma qui, su quest’isola, sotto questo sole che stordisce, io…
Lei ha deciso che a me serve indubbiamente della crema solare, e le sue mani stanno già avvolgendo il mio corpo con un unguento profumato e rinfrescante: io sono molto incerta, titubante…
Però la mia pelle è tesa e tonica; lei sembra essere felice di ricevere le carezze di questa donna, mentre io continuo a pensare che quella è un’altra donna…come me… sono confusa…
Ormai la sento molto prossima, ho gli occhi chiusi ma immagino la sua bocca pronta a posarsi in qualsiasi momento su una parte di me: ordino allarmata alle mie braccia di allontanarla da me, o almeno di allontanare me da lei, ma il mio corpo non mi ubbidisce più. Loro vogliono restare con lei; hanno bisogno di lei e delle sue coccole; loro hanno più bisogno di lei che di me; ed io non capisco più niente.
Sento la mia stessa mano che ha deciso di accarezzare la pelle del mio fianco, quello che non è coperto dal pudico lembo giallo; non mi spiego come, ma gliene sono stranamente grata.
Mentre il mare gonfia un po’ di più una piccola onda, e mi schizza di acqua azzurra i piedi, lei raggiunge con la mano il bordo della spugna che ancora difende il mio ventre: dentro di me scongiuro il baluardo di reggere, ma spero che non possa ascoltare le mie invocazioni: la mia testa sta girando.
All’improvviso qualcosa scoppia dentro di me: una diga cede, e tutte le altre la seguono, ridendo liete.
Adesso stringo gli occhi, perché non voglio vedere. Però spero che lei capisca, che ho bisogno di quest’abbraccio caldo che lei promette.
Lei stacca le mani dal mio corpo, improvvisamente smette di spalmare l’unguento miracoloso, ed io sono già orfana ed abbandonata.
Apro furtivamente gli occhi, ma appena un po’. La vedo: si è di nuovo inginocchiata, ora è di fronte a me, appena a fianco delle mie gambe stese; mi guarda e sorride.
Io mi alzo un po’ di più, appoggiandomi non più sui gomiti ma sulle mani. Mentre stendo le braccia, mi accorgo con trepidazione che il lembo giallo sta scivolando giù, verso il lato, scoprendo il suo segreto.
Non voglio che mi veda nuda.
Voglio che mi veda nuda subito, adesso.
Adesso non mi importa più: voglio che lei mi faccia capire quanto sono bella, desiderabile, interessante per un altro essere umano; è troppo tempo che non succede, adesso non riesco più ad aspettare.
La vedo che si porta le mani al nodo del pareo. Anch’io ho un nodo alla gola.
Non voglio che se lo levi.
Voglio che se lo levi subito, adesso.
Sento un peso al centro del petto, dove il mio cuore sta incrementando le sue pulsazioni, inesorabile.
Voglio sentire su di me il suo desiderio, voglio avere il suo sguardo languido posato addosso alla mia pelle.
Sento che anche il suo respiro, come il mio, sta accelerando.
Il mio ventre reagisce: ha piccole continue contrazioni, rapidi brividi e infiniti sciami di farfalle che si muovono incessanti da un lato all’altro dentro di lui.
Ad occhi chiusi sento che il suo pareo si posa sulle mie spalle nude, e poi si tende attraendomi a lei. Percepisco la sua vicinanza, il suo profumo… il mio cuore raggiunge pulsazioni dimenticate da tempo … sento il suo alito fresco, so che le sue labbra sono vicine…
Adesso il cuore mi salterà fuori dal petto…
Sento la lieve risacca del mare…
Chissà dove mi vuole baciare…
Il sole è caldissimo sopra di noi…
Non ce la faccio più ad aspettare…
Un alito di vento fresco mi increspa la pelle…
Eccola….

Mi sveglio d’improvviso con i miei abiti notturni completamente fradici di sudore, il cuore che batte a mille all’ora e il respiro affannatissimo.
Mi siedo nel letto, senza accorgermi di aver svegliato la mia metà.
“Che c’hai?” mi chiede.
“Nulla, un  coso…lì… come si chiama …”
“Un incubo?”
“No!.. Cioè, sì, ecco un coso così…Dormi, fa niente. Sta già passando…”
“Uhu…’notte…”
Respiro profondamente, e sento che mi sto calmando.
Però non sono a posto, non può finire così, desidero sapere come va a finire, questa notte tutto può accedere, sia pure in sogno, ed io voglio viverlo.
Il cuore è tornato a battere regolare, il respiro si sta normalizzando.
Mi stendo di nuovo, mi metto a pancia sotto, abbraccio il cuscino…
Riprendo sonno; voglio riprendere sonno; voglio riprendere il sogno; quel sogno; da dove l’ho lasciato.
Voglio sapere come va a finire.
Voglio di nuovo provare quell’ebbrezza, quel desiderio.

La spiaggia è sempre bianca, il sole continua implacabile ad essere giallo, ed il mare continua il suo incessante massaggio alla battigia.
Vedo il mio telo mare, disteso sulla spiaggia, giallo al sole.
Vuoto. E un po’ raggrinzito.
Mi guardo attorno, la cerco, ma il riflesso della luce sulla sabbia mi impedisce di vedere bene.
Socchiudo un po’ gli occhi.
Sparita.
Una solitudine immensa mi pervade, mi trafigge, mi deprime.
Però, aspetta…
Noto che qualcosa si muove.
Qualcosa è là, sotto le due palme, nell’ombra.
Non riesco a vedere bene.
Potrebbe essere lei.
Mi avvicino, con circospezione.
Ora riesco a distinguere una sagoma. Sembra un corpo, avvolto in un telo azzurro; un pareo.
Si muove molto lentamente, come un animale intento a compiere una antica danza ritmata dalla saggezza della natura.
Mi avvicino ancora un po’.
Forse è lei, vedo anche il grosso bicchiere da cocktail, la bevanda ormai è quasi del tutto consumata, e le due cannucce lì, abbandonate, affiancate sullo stesso lato.
Dalla sagoma indistinta si alza una testa: è la sua, la riconosco.
E’ sdraiata a pancia in giù sotto l’ombra delle palme, come se fosse coricata sopra un’asse da surf; e continua in quella danza cadenzata, ritmata, lenta, inesorabile.
Voglio andarle più vicino, voglio dirle che sono ancora qui, voglio che…
Improvvisamente lei alza il busto sulle braccia tese, inarca la schiena all’indietro, butta la testa verso il cielo e spalanca la bocca in un lungo urlo muto.
Improvvisamente vedo che non è distesa su una tavola…
Improvvisamente mi accorgo di quale danza primordiale esattamente si stesse trattando…
Improvvisamente il sole diventa troppo caldo per me…
… e penso che l’ombra delle palme adesso dovrebbe essere troppo insostenibile per me, ma...
Ma qualcosa mi chiama là, più vicino a lei.
Guardo l’uomo che giace con lei: è un uomo non più giovane, però ha gli occhi che risplendono all’ombra delle piante tropicali che sono state sue testimoni e sue complici.
La donna ha tolto gli occhiali, e anche i suoi occhi sembrano emanare felicità. Ora prende il grande bicchiere, e glielo porge: si dividono la bevanda  rimasta, bevendo lei con la cannuccia rossa, e lui con quella azzurra.
Mi sento strano, ho un senso di appagamento diffuso in tutte le membra, e non ne capisco la ragione. Mentre li vedo bere, mi disseto. 
Adesso si sono sdraiati, l’una di fianco all’altro, e guardano il cielo insieme.
Anch’io vedo il cielo, azzurro, e mi sembra bellissimo.
Mi avvicino ancora un po’ di più, voglio vederla ancora, voglio capire.
Ma soprattutto voglio…
Sono ormai con il viso sopra loro, e loro non mi vedono, neanche io fossi trasparente.
La guardo: è bellissima, con quel sorriso unico, e quegli occhi scuri ma luminosi.
Adesso stanno guardando il mare, dietro di me, attraverso di me, e sognano.
Forse sì, sono trasparente.
Guardo lui, che ha appena appoggiato il grande bicchiere da cocktail ormai vuoto sulla sabbia di fianco a loro.
Che strana sensazione.
Mi pare di averlo già visto.
L’ho già visto.
Lo conosco benissimo.
Come meglio non conosco nessun altro.
Adesso capisco. Anzi, no.
Forse…
Sì.
Sono io.

La sveglia mi strappa crudelmente dal sogno, e mentre i miei sensi sono ancora sintonizzati sull’isola felice, i miei occhi cercano di convincere le palpebre riluttanti a sollevarsi.
Che sogno incredibile: ancora non so capacitarmi di essere stato prima donna e poi uomo, in una notte sola.
E lei? La donna con il pareo azzurro?
Chi era? Mi pareva di conoscerla, almeno di vista….
Forse dentro un altro sogno, uno di quelli che non si sono ancora avverati?

Senza accendere l’abat-jour per rispetto verso i miei occhi appena attivi, metto i piedi per terra, e mi alzo.
Inciampo.
C’era qualcosa, lì di fianco al letto. Dal rumore, qualcosa di vetro; abbastanza grosso.
Apro un persiana, e faccio filtrare un po’ di luce, poi vado a vedere cosa ho urtato.
Sussulto.
Ora lo vedo bene, è un grande bicchiere da cocktail: dal bordo sporgono due lunghe cannucce, di quelle che hanno le estremità piegate verso l’esterno: sono entrambe bianche, la prima più ampia e decorata con fili azzurri stampati sottili e paralleli, lungo tutta la sua lunghezza; e l’altra più stretta, con un unico nastro rosso, stampato più spesso, che corre a spirale dall’alto fino in fondo, come in alcuni dolciumi natalizi.
Dentro è rimasto ancora un residuo di bibita: sembra un liquido dai mille colori, ma forse è solo un effetto della colorazione del vetro.

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