Mi chiese scusa, balbettando.
Io lo guardai senza dire nulla. Macchè scusa, volevo dirgli. Resta qui!
Ed invece non dissi proprio nulla. Lo guardai girarsi e scendere uno per uno gli scalini. Ferma, immobile nella stanza da letto, lo sguardo si appoggiò sul bicchiere rotto e l’oro sciolto a terra con le sue bollicine. Pensai volesse indietro il suo foglietto lacero prima di andare via e così corsi nello studiolo e cercai a lungo il foglio. Trovai un foglietto con su scritto: “Se trovi Ann, per favore lasciale detto questo:
N E M O M E O N I"
Non so cosa avesse voluto dirmi. Non so cosa avesse voluto lasciarmi. Non sono brava come enigmista, non faccio Rebus nè Anagrammi. Ma so cosa lui mi ha lasciato dentro. Un bellissimo ricordo. Ancora oggi nelle serate invernali, quando fa freddo, io adoro salire in mansarda e accendere il camino. Mi siedo su quella poltrona nella camera degli ospiti, con un bicchiere di champagne che fa le bollicine d’oro e lascio che la musica di Mamikonian mi accompagni. Non ho mai detto nulla a mio marito di quello strano pomeriggio d’estate.
Sergio trova un po’ strana questa mia abitudine di rinchiudermi in mansarda, ma lui è abituato oramai alle mie stranezze, ai momenti nei quali io mi assento, chiudo la porta al mondo e viaggio dentro di me, alla ricerca di una piccola pace per la mia eterna inquietitudine.
Non ho più rivisto Sebastiano. A dire il vero non l’ho nemmeno cercato. Non mi interessa sapere se la sua storia su Sabine fosse vera o falsa. Ci ho creduto e questo mi basta. Non cambierebbe sentirmi più stupida perchè mi ha preso in giro, nè avrei più pietà per lui e per me se scoprissi che la storia era vera.
Di fronte a quel sentimento violento che provavo per la sua assenza capivo di non avere alternative e desideravo che in qualche modo lui potesse sapere cosa provavo per la sua assenza, per quella linfa che mancava, per quel profondo e assoluto dolore che il non averlo intorno m'ingenerava. In alcuni momenti avrei voluto interrompere quel vuoto che cresceva man mano che quelle giornate si allontanavano nel tempo. Sentivo il bisogno fisico incondizionato di ritrovarlo e mi importava sempre meno sapere del dolore che avrei provocato nelle persone intorno a me, perchè ció che era rimasto di me senza di lui non era più nulla.
Ogni giorno lo cercavo tra i volti della gente intorno a me, ma non lo trovavo. Ogni giorno mi voltavo all’improvviso mentre guidavo il motorino e sentivo le sue mani ancora sul mio corpo. Ogni giorno lo cercavo tra la folla quando ero in metro e provavo ad immaginare di vederlo scendere di corsa e stringermi tra le braccia, confessandomi di provare anche lui quell'insensata sensazione di vuoto alla pancia che provo da quando è andato via. Ogni giorno vorrei ignorare di essermi sentita completamente vulnerabile di fronte a lui. Ogni giorno cerco di resistere dal librarmi al di là del tempo e dello spazio per restargli un po' accanto e sognare una fine diversa da quella che la vita ha imposto. Ogni giorno cerco di non sognare di stargli accanto mentre lavora, mentre mangia, mentre legge, mentre risolve i suoi rebus e anagrammi, mentre studia, mentre dorme. Ogni giorno cerco di pensare più razionalmente a quello che è successo, ma c'è qualcosa che non demorde in me e non ce la faccio a ignorare ciò che provo, fingendo che lui non ci sia mai stato, fingendo che tra noi non sia successo nulla. Ogni giorno, la sera, rientro nel mio guscio come una lumachina quando le toccano le antenne, per proteggere ció che è stato, tenendolo chiuso nel mio cuore. Ogni giorno cerco di negare che possa esistere un luogo dove possiamo provare a stare insieme. Ogni giorno provo a dimenticarlo e Dio sa se vorrei riuscire a farlo. Ogni giorno.
Eppure non posso farlo, perchè so che quello che ho provato con lui non potrò provarlo mai più. Ripensavo spesso ad una frase che avevo letto una volta sul sito di una scuola di volo: "Una volta che hai conosciuto il volo, camminerai sulla terra con gli occhi rivolti sempre in alto, perché là sei stato, e là agogni a tornare..." Lo diceva Leonardo da Vinci. Non ho mai sentito più vera questa frase come quando percepivo in me il vuoto lasciato da Sebastiano.
Conservo il suo biglietto nel cassetto della scrivania, insieme ai cocci di quel bicchiere. Forse un giorno mi deciderò a trovare la soluzione per quell’anagramma e sono sicura che essa lo riporterà da me, nel tempo e nel luogo che oggi non mi è dato conoscere.
Ma nel frattempo, voi che leggete qui la mia storia, sì, proprio voi che siete seduti in poltrona tranquilli e vi fate beffe di me, che vi chiedete come abbia potuto io un pomeriggio qualunque portarmi in casa un uomo qualunque con una scusa qualunque, voi che mi state giudicando male, piccola e stupida madre di famiglia che non ha ancora imparato che bisogna sognare solo ciò che è realizzabile, che è spesso diverso da ciò che il cuore desidera...
Ebbene voi, se vedete un uomo alto, sperduto, dall'atteggiamento nobile e lo sguardo irriverente, un uomo che vi ricorda il matto di Shakespeare, che tiene le sue bottiglie di champagne in bella mostra con scritte le occasioni nelle quali le ha aperte, un uomo che balla la Polonnaise di Chopin... vi prego, dategli questo: IRA MALATA
N E M O M E O N I"
Non so cosa avesse voluto dirmi. Non so cosa avesse voluto lasciarmi. Non sono brava come enigmista, non faccio Rebus nè Anagrammi. Ma so cosa lui mi ha lasciato dentro. Un bellissimo ricordo. Ancora oggi nelle serate invernali, quando fa freddo, io adoro salire in mansarda e accendere il camino. Mi siedo su quella poltrona nella camera degli ospiti, con un bicchiere di champagne che fa le bollicine d’oro e lascio che la musica di Mamikonian mi accompagni. Non ho mai detto nulla a mio marito di quello strano pomeriggio d’estate.
Sergio trova un po’ strana questa mia abitudine di rinchiudermi in mansarda, ma lui è abituato oramai alle mie stranezze, ai momenti nei quali io mi assento, chiudo la porta al mondo e viaggio dentro di me, alla ricerca di una piccola pace per la mia eterna inquietitudine.
Non ho più rivisto Sebastiano. A dire il vero non l’ho nemmeno cercato. Non mi interessa sapere se la sua storia su Sabine fosse vera o falsa. Ci ho creduto e questo mi basta. Non cambierebbe sentirmi più stupida perchè mi ha preso in giro, nè avrei più pietà per lui e per me se scoprissi che la storia era vera.
Di fronte a quel sentimento violento che provavo per la sua assenza capivo di non avere alternative e desideravo che in qualche modo lui potesse sapere cosa provavo per la sua assenza, per quella linfa che mancava, per quel profondo e assoluto dolore che il non averlo intorno m'ingenerava. In alcuni momenti avrei voluto interrompere quel vuoto che cresceva man mano che quelle giornate si allontanavano nel tempo. Sentivo il bisogno fisico incondizionato di ritrovarlo e mi importava sempre meno sapere del dolore che avrei provocato nelle persone intorno a me, perchè ció che era rimasto di me senza di lui non era più nulla.
Ogni giorno lo cercavo tra i volti della gente intorno a me, ma non lo trovavo. Ogni giorno mi voltavo all’improvviso mentre guidavo il motorino e sentivo le sue mani ancora sul mio corpo. Ogni giorno lo cercavo tra la folla quando ero in metro e provavo ad immaginare di vederlo scendere di corsa e stringermi tra le braccia, confessandomi di provare anche lui quell'insensata sensazione di vuoto alla pancia che provo da quando è andato via. Ogni giorno vorrei ignorare di essermi sentita completamente vulnerabile di fronte a lui. Ogni giorno cerco di resistere dal librarmi al di là del tempo e dello spazio per restargli un po' accanto e sognare una fine diversa da quella che la vita ha imposto. Ogni giorno cerco di non sognare di stargli accanto mentre lavora, mentre mangia, mentre legge, mentre risolve i suoi rebus e anagrammi, mentre studia, mentre dorme. Ogni giorno cerco di pensare più razionalmente a quello che è successo, ma c'è qualcosa che non demorde in me e non ce la faccio a ignorare ciò che provo, fingendo che lui non ci sia mai stato, fingendo che tra noi non sia successo nulla. Ogni giorno, la sera, rientro nel mio guscio come una lumachina quando le toccano le antenne, per proteggere ció che è stato, tenendolo chiuso nel mio cuore. Ogni giorno cerco di negare che possa esistere un luogo dove possiamo provare a stare insieme. Ogni giorno provo a dimenticarlo e Dio sa se vorrei riuscire a farlo. Ogni giorno.
Eppure non posso farlo, perchè so che quello che ho provato con lui non potrò provarlo mai più. Ripensavo spesso ad una frase che avevo letto una volta sul sito di una scuola di volo: "Una volta che hai conosciuto il volo, camminerai sulla terra con gli occhi rivolti sempre in alto, perché là sei stato, e là agogni a tornare..." Lo diceva Leonardo da Vinci. Non ho mai sentito più vera questa frase come quando percepivo in me il vuoto lasciato da Sebastiano.
Conservo il suo biglietto nel cassetto della scrivania, insieme ai cocci di quel bicchiere. Forse un giorno mi deciderò a trovare la soluzione per quell’anagramma e sono sicura che essa lo riporterà da me, nel tempo e nel luogo che oggi non mi è dato conoscere.
Ma nel frattempo, voi che leggete qui la mia storia, sì, proprio voi che siete seduti in poltrona tranquilli e vi fate beffe di me, che vi chiedete come abbia potuto io un pomeriggio qualunque portarmi in casa un uomo qualunque con una scusa qualunque, voi che mi state giudicando male, piccola e stupida madre di famiglia che non ha ancora imparato che bisogna sognare solo ciò che è realizzabile, che è spesso diverso da ciò che il cuore desidera...
Ebbene voi, se vedete un uomo alto, sperduto, dall'atteggiamento nobile e lo sguardo irriverente, un uomo che vi ricorda il matto di Shakespeare, che tiene le sue bottiglie di champagne in bella mostra con scritte le occasioni nelle quali le ha aperte, un uomo che balla la Polonnaise di Chopin... vi prego, dategli questo: IRA MALATA
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