Gli sorrisi, ma dentro di me avevo paura. Avevo paura più di me che di lui. Sentivo che non mi avrebbe fatto nulla che io non avessi voluto, eppure era questo il problema. Io cosa volevo? Perchè avevo accettato di aiutarlo? Uno sconosciuto. Una persona che in altre occasioni non avrei nemmeno osato avvicinare. Ed ora era lì. A casa mia. Ed io avevo paura. Gli passai accanto ben attenta a non sfiorarlo, visto che lo spazio tra il tavolo della cucina e la parete attrezzata era ingombrato dalla sua presenza e gli dissi di seguirmi. Salimmo le scale che andavano in mansarda e mi scoprii a muovermi un po’ seducente mentre le gambe si attardavano su ogni singolo gradino. Aprii la porta dello studio e mi diressi dritta verso lo stereo, aprendo un mobiletto e tirando fuori gli Studi di Chopin Opera 10 e 25 di Vardan Mamikonian. “Vuoi fargli buona impressione?” mi chiesi sorridendo. Poi mentre le note del pianoforte iniziavano ad echeggiare nella mansarda, andai alla scrivania ed accesi il PC.
- Non ha un po’ di champagne?
- Champagne? – lo guardai sorpreso
- Sì... con questa bella musica... così festeggiamo se troviamo qualcosa!
- Non so... io non bevo quasi mai. Lo champagne mi da’ alla testa...
- Allora no... deve essere sobria per potermi aiutare....
- Ecco... le inserisco la password e poi è tutto suo
- Ma lei non andrà via...
- No? – mi stava chiedendo di restare lì. Era lì per cercare la sua donna che la mattina prima gli aveva lasciato solo quel nome e se n’era andata dalla sua vita e lui mi chiedeva di stare con lui. Forse semplicemente aveva paura e fu credo per questo che senza dire altro afferrai la sedia di fronte alla scrivania e la portai dietro di essa, affianco a lui e lui mi fece posto e ponendo il suo dito indice sul mio mento e sollevandolo un po’ mi disse:
- Grazie per quello che sta facendo.
Digitò il nome di Ann O’Pitioum sulla schermata principale di Google e gli unici due riferimenti che comparvero erano relativi a “Pentium”, il famoso processore. Sotto le due voci troneggiava la scritta
Risultati per: Ann O’Pitioum
La ricerca di - Ann O’Pitioum - non ha prodotto risultati in nessun documento.
Forse cercavi: Ann O’Pentium
- No, non cerchiamo Ann O’Pentium stupido di un computer – mi arrabbiai mentre lui scoppiò a ridere
- Possiamo provare sulle Pagine Bianche?
- Certo! – e digitai l’URL per poi inserire il nome di quella donna nello spazio appositamente lasciato per le ricerche. Nulla. C’erano un paio di link e mi infilai anche in quelli ma nulla. Internet non conosceva Ann O’Pitioum. Restai un po’ ferma con lo sguardo incollato sulla barra di Explorer quando il logo di Facebook mi fece trasalire. – Facebook, perchè non ci ho pensato?
- Facebook? Cosa è Facebook?
- Come cosa è Facebook? – dissi digitando utenza e password di accesso - Un social network... Non mi dica che non lo conosce... Lei è proprio un adorabile uomo di altri tempi!
- Adorabile?
- Mi scusi... mi è sfuggito... – dissi digitando il nome nella casella di ricerca
- No, lasci stare... è un bel complimento... ma mi spieghi cosa è Facebook?
- E’ questo: un sito dove ciascuno ha una propria pagina, chi vuole, naturalmente e dice quello che fa, che pensa, che gli piace e lo dice a tutto il mondo.
- E mette così in piazza le proprie cose?
- Beh... quello che vuole! Comunque nulla anche qui – commentai delusa
- E lei lo fa?
- Cosa?
- Pubblicare le proprie cose?
- A volte... quelle stupide, non quelle serie! E’ divertente... e poi ho recuperato molte mie amiche di scuola, persino delle elementari e questa estate abbiamo organizzato un incontro tutte insieme, ciascuna con la propria famiglia. E’ stato spettacolare, rivedersi dopo così tanto tempo...
- Ma questo cosa c’entra con il pubblicare i propri pensieri?
- Nulla, però ci si scambia i sentimenti, le sensazioni, le opinioni. Ci sono stati momenti nei quali mi sono sentita quasi aiutata: il condividere con degli amici momenti di tristezza ha contribuito a superarli. Basta a volte una parola, un sorriso...
- Lei è triste, fondamentalmente?
- Cosa glielo fa pensare?
- Si vede. Negli occhi.
- Beh – risposi imbarazzata – triste non direi. Ho la mia famiglia, le mie bambine... certo di cose migliori se ne possono desiderare sempre, ma ...
- Non dicevo questo. Lo vedo: è sposata, ha un marito, delle bambine... quante?
- Due
- Due... un marito, due bambine, una bella casa a Milano, immagino un bel lavoro... che lavoro fa?
- Sono ricercatrice all’università.
- Mm... interessante... Beh, però nonostante tutto lei ha qualcosa in sé che mi trasmette un senso come di... non so spiegarlo, ecco! E’ come se lei non fosse appagata da tutto questo, sì ecco... non triste – è una parola grossa – ma non è appagata.
- E cosa glielo fa pensare? Non me lo ha detto...
- I suoi occhi. Il modo in cui guarda le cose, con ingordigia, come se volesse attingere a tutto ciò che la circonda per succhiarne la linfa vitale. Come se volesse catturare l’anima al mondo intorno a lei per sopravvivere.
- Messo in questo modo quasi le direi di sì...
- Sì? Sì a cosa?
- Sì, che ha ragione... Io sento qualcosa dentro che freme. Una voglia di catturare ogni sensazione del mondo e portarla dentro di me per viverla e senza di essa mi sento spoglia, morta. Ogni tanto mi capita di sentire un vuoto, qui nella pancia... una sensazione che sta per succedere qualcosa... poi a volte non succede nulla e la sensazione di abbandono è tremenda.
- Ne ha mai parlato con nessuno?
- No. Prima che lei mi spiegasse cosa è quello che provo io non sapevo nemmeno cosa fosse.
- Potremmo chiamarlo “Spleen”
- “Spleen”, come quello di Charles Baudelaire?
- Già... i “Fiori del male”!
- Li ha letti?
- Qualcosa... al liceo quando studiavo letteratura... – mi interruppi, perchè nel frattempo lui si era girato verso di me, ruotando la sedia alla quale era seduto ed aveva adagiato le spalle sullo schienale, lasciando che il suo viso sfiorasse il mio ed i suoi occhi mi penetrassero nell’anima. Sentivo qualcosa di tremendamente attraente in lui, che mi spingeva a ricambiare quello sguardo per entrargli nell’anima, ma la paura fu più forte e così mi alzai di scatto tirando indietro la mia sedia e mi alzai per aprire la finestra, mormorando imbarazzata un banalissimo – C’è caldo qui dentro, non trova?
(continua)
Mi è piaciuto molto questo "crescendo" di intimità... Molto intrigante!
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