venerdì 30 luglio 2010

La porta chiusa - Mezzanotte meno un quarto

Dovevo essermi appisolato per circa mezz’ora. Quando aprii gli occhi il primo istinto fu quello di afferrare il cellulare, vedere se l’email era partita e cercare di fare una telefonata dal fisso o dal mobile. Nulla. Guardai lo schermo del PC soffermandomi sull’icona e vidi che brillava. Come se ci fosse una telecamera puntata sui miei movimenti, si aprì una finestra con un editor e il mio amico tornò alla carica. “Bentornato”. “Non mi hai ancora detto chi sei” scrissi. “Non ti interessa. Adesso segui i miei ordini”. “Tu sei pazzo. Gli ordini qui dentro li do’ io, fammi uscire, poi parliamo”. L’editor si chiuse. Avevo giocato troppo duro forse, pur essendo dalla parte sbagliata.

Iniziai a sentire un odore molto particolare, come di etere. Non capivo da dove giungesse, ma poi mi avvicinai alle bocchette dell’aria e sentii che proveniva da lì ed apparentemente non c’era modo di chiuderle. Mi precipitai verso l’armadio libreria e iniziai a prendere i libri più grossi, ponendoli piano piano sopra le bocchette, in modo tale che non potessero sparare nulla dentro il mio ufficio, o quanto meno in modo tale da impedire che facesse più danni.
Avevo appena finito di chiudere tutte le bocchette quando un beep del cellulare mi fece sobbalzare. Finalmente! Lo presi e aprii l’icona degli sms. Un sms da un numero privato, strano... di solito solo sulle chiamate è possibile nascondere il numero del chiamante. Qui invece su un SMS il numero non appariva. Lessi più e più volte quello che c’era scritto: “L'uomo a cui è dato soffrire più degli altri, è degno di soffrire più degli altri. Gabriele d’Annunzio” Che cosa vuol dire? Ma chi sarà... Istintivamente andai al terminale del mio PC e come mi aspettavo, un editor era aperto: “Hai letto il mio sms?” “Sì, cosa vuoi?” “Rispondi solo a quello che ti chiedo. Non prendere iniziative. Hai letto il mio sms?” “Sì” “Bene, ora siediti. Ti sottoporrò piano piano dei quiz e delle prove che dimostreranno se davvero vali al posto che occupi. Se li supererai, entro le sei di mattina sarai fuori da qui. Se non li supererai, domattina alle otto e mezza la tua bella segretaria sarà disoccupata. Siamo d’accordo?” “Sei tu che decidi” “Come si dice nel nostro ambiente? Deal done, giusto?” “Deal done”. Dunque era qualcuno del mondo della finanza, perchè non sono sicuro che questa espressione sia nota o usata con tale familiarità al di fuori. “Sono pronto” aggiunsi.

Mi si aprì un file, con dentro una serie di fogli di calcolo. Sembrava abbastanza complesso, ma non sapevo cosa farci. Guardai l’editor e il mio interlocutore iniziò a scrivere: “Bene, adesso dovrai spiegarmi come è fatto questo foglio e qual è il suo obiettivo. Il foglio è costruito soltanto su formule, non ci sono macro o altri pezzi programmati. Ammetti che in questo ho avuto pietà di te.” “Grazie. Quanto tempo ho?” “Alle due ci rivediamo su questa finestra. Io nel frattempo proverò a riposare un po’, se non ti dispiace...” “Posso avere da bere?” “No. Mi spiace” . La finestra si chiuse e l’icona smise di brillare.

Un foglio di calcolo. Formule... non doveva essere poi così difficile. In fondo fino ad una decina di anni prima io ci mangiavo a colazione, pranzo e cena con le formule. “Sì,” cercai di convincermi, “sarà uno scherzo!”. Uno scherzo un po’ più complicato del previsto. Iniziai dal primo foglio, ogni colonna era una formula diversa che rinviava a celle di altri fogli, formule che conoscevo bene e formule per le quali dovevo aprire l’HELP per capire di cosa si trattasse, ma alla fine trovai il filo che legava i singoli fogli e l’obiettivo. Era l’una e mezza quando razionalizzai l’ultimo nesso tra formule. Ero pronto a dare una risposta al mio sequestratore. Dovevo solo aspettare che si facesse vivo. Forse avrei potuto anche io dormire un po’, così, sempre lì seduto alla scrivania, chiusi gli occhi e sprofondai in un sogno che incuteva terrore non più della realtà. Quando mi svegliai, guardai l’orologio: le due e mezza e la finestra brillava “Hai perso tempo. Mezz’ora in meno sulla seconda prova. Peccato!” Nemmeno il tempo e l’opportunità di scrivere cosa avevo scoperto. Non gli interessava che fosse giusto o sbagliato. Voleva solo farmi perdere tempo... o forse mi aveva seguito passo passo? Non ricordavo se l’icona del collegamento remoto avesse ripreso a brillare oppure no... La gola arsa reclamava un po’ d’acqua e mi concessi un goccio di quella brodaglia che giaceva in bottiglia sulla mia scrivania.

(continua)

Nessun commento:

Posta un commento