Mi misi istintivamente le mani in tasca, come se la soluzione di quel pasticcio fosse tutta lì, in una tasca del pantalone dove senza pensarci avevo potuto buttare le chiavi della porta una volta chiusa. Quando avrei dovuto averla chiusa, se non mi ero mosso dalla scrivania praticamente dalle cinque e l’ultima persona che aveva chiuso la porta era stata Daphne, prima di andare via, quando mi aveva portato l’acqua?
No, era assurdo... – pensavo mentre camminavo impaziente per la stanza - non poteva essere vero. Doveva essersi incastrata la serratura o qualcosa del genere, perchè a mia memoria nessuno, me compreso, aveva chiuso la porta a chiave. Tornai verso la porta, riappoggiai la mia mano sulla maniglia e poi con decisione la rispinsi verso l’esterno, quasi come se la porta dovesse ora aprirsi per la sola volontà che avevo io di farlo. Nulla. Le tirai un calcio ed il vetro tremò.
Mi sedetti un attimo sul divanetto per raccogliere le idee e decidere cosa fare. E’ vero che di solito la chiave della porta era proprio all’esterno dell’ufficio, perchè così era semplice per Daphne chiudere tutto per sicurezza. Ma stasera non era andata così... Dopo l’uscita di Daphne non era salito nessuno, perchè non avevo sentito rumori fuori dalla porta. Solo l’ascensore era continuato a andare e venire per i piani, come al solito. E allora perchè non riuscivo a mettere il naso fuori da quella maledetta stanza dove la temperatura stava inspiegabilmente salendo?
Mi fiondai alla scrivania e alzai la cornetta per chiamare la reception. Qualcuno doveva pur esserci. Mi stavo convincendo che Daphne uscendo dalla stanza avesse chiuso la porta a chiave semplicemente per abitudine. Magari era un po’ preoccupata per il figlio. Forse il figlio era davvero ammalato e lei aveva la testa da qualche altra parte, così quando si era tirata la porta dietro le era venuto assolutamente naturale dare le due mandate di sicurezza e mettere la chiave al solito posto dove ci eravamo accordati di lasciarla: nel folder dei suoi documenti personali. No, non stava in piedi. Avrei fatto caso al rumore di mandate se fosse stata Daphne. Ma porca miseria! Avrei fatto caso al rumore di mandate per chiunque fosse stato. Oppure ero talmente intento nel mioo lavoro che non vi avevo prestato attenzione.
“Maledizione. Speriamo ci sia qualcuno alla reception!” Lo squillo mi entrava nella testa e mi bucava il cervello. “Dai rispondi.... forza, che stai facendo? Proprio adesso dovevi allontanarti... Accidenti! E’ vero... la reception dopo le sei chiude... Beh però alla guardiola ci deve essere qualcuno, lì la sicurezza è sempre presente, me lo ha detto Giovanni l’altro giorno quando gli ho chiesto se dovevo avvisare qualcuno per il fatto che avrei lavorato tutto il weekend fino a tardi. Lui è responsabile dei Servizi Generali, lo sa... E il numero? Porca miseria, ho spento il PC...” e pigiai il bottone dell’accensione del PC e dei video, mentre il caldo si faceva sempre più pesante: era arrivato il momento di togliermi la cravatta.
Mentre il PC partiva decisi di chiamare mia moglie per avvisarla del contrattempo. Presi il cellulare, composi il numero e attesi. Attesi invano perchè il cellulare era muto. Guardai il display e vidi che non c’era connessione. “Che tempestività!” mi venne da pensare e scaraventai il cellulare sulla scrivania. Inserii la mia utenza e la mia password ed attesi il completamento della procedura di registrazione. Fremevo sulla sedia, mi giravo un po’ a destra e un po’ a sinistra dondolandomi sulle cinque razze a norma di legge e sorridevo di un sorriso nervoso, mentre copiose gocce di sudore imperlavano il viso e scendevano verso il collo della camicia, oramai quasi del tutto bagnato. Aprii la Intranet e cercai sulla rubrica “Reception”: c’era il numero che avevo appena chiamato al quale non aveva risposto nessuno. Cercai ancora e alla fine trovai il numero sotto “Guardiola esterna”. 2-7579. Composi l’interno e mi rasserenai quando lo sentii squillare. Squillava. Squillava. Continuava a squillare ma nessuno rispondeva.
Composi il numero di casa. Se il blackberry era fuori come cellulare, dal fisso sarei riuscito a fare qualcosa. Squillava. Squillava. Ma dove sei Christine? Ti ho parlato due minuti fa... Cazzo non ne va dritta nemmeno una..”. Cercai il numero di Giovanni sul cellulare e provai a comporlo dal telefono fisso. Squillava. Squillava. Nessuno. Ero isolato dal mondo, pur apparentemente collegato da tutte le tecnologie. “E ora che faccio?” – pensai, ed alla fine decisi di mandare una email a Giovanni: visto che ne avevo appena ricevuta una, forse quello era l’unico modo per comunicare. Giovanni mi avrebbe detto cosa fare... magari sarebbe venuto lui ad aprirmi, visto che abitava a dieci minuti dall’ufficio.
Ripresi il blackberry dal tavolo dove lo avevo scaraventato, aprii l’icona della posta e selezionai “Componi e-mail”. A: Giovanni D’Antonio giovanni.dantonio@it.fundnet.com Subject: urgente – come esco di qui? Testo: sono chiuso a chiave nel mio ufficio. La chiave deve essere fuori. Forse Daphne mi ha chiuso dentro. La reception e la guardiola esterna non rispondono. Dal cellulare non riesco a chiamare. Dal fisso qualunque numero compongo squilla a vuoto. Fammi uscire di qui o ti salta il bonus di quest’anno! Invia.. “forza, dai manda... manda... manda... mi sa che stanotte la passo qui e me ne fregherebbe relativamente se solo non facesse così caldo... ‘fanculo!”. Se non fosse che le finestre di vetro erano sigillate e il blackberry rimaneva uno dei potenziali strumenti per comunicare con l’esterno, lo avrei già catapultato dal settimo piano.
Mi sedetti alla scrivania. Scivolai lentamente sulla sedia. Guardai la bottiglia di acqua: era l’unica cosa che poteva servirmi, pur nel suo bollore. Dovevo averne la massima considerazione visto che faceva molto caldo e avrei dovuto passare tutta la notte lì dentro. Era a più della metà, tre o quattro bicchieri in tutto. Oramai erano le dieci e un quarto e avevo circa dieci ore o poco meno da passare lì dentro. Un bicchiere ogni tre ore. Nulla di più... Lo sguardo si alzò sul video. C’era una strana finestra sul terminale. Io avevo aperto solo la rubrica, ma ora appariva un editor di testi. Che strano, forse lo avevo aperto involontariamente. Afferrai il mouse e cercai il puntatore, ma impiegai circa cinque secondi a realizzare che esso non stava seguendo i movimenti che io facevo con il mouse, come se ci fosse qualcun altro che lo stesse manovrando in modo del tutto diverso rispetto a me. Chi poteva essere? L’occhio rullò verso il basso a destra del terminale, dove c’era un’icona in particolare che brillava, la stessa che avevo visto una volta aprirsi quando avevo avuto un problema ed era intervenuto il supporto tecnico. Era un meccanismo diabolico per il quale da non so quale remota postazione qualcuno poteva collegarsi al mio computer e dirigerlo come se fosse alla mia scrivania, sulla mia tastiera, con il mio mouse. Era qualcosa di simile che stava accadendo. Qualcuno aveva preso il controllo del mio PC, aveva aperto l’editor e proprio ora che io avevo gli occhi incollati sullo schermo aveva iniziato a scrivere: “SEI SOLO!”
Afferrai il mouse e lo portai sull’editor dove scrissi “Chi sei?” e come in una seduta spiritica dove lettera per lettera il fantasma ti svela i suoi segreti ed i segreti dell’altromondo, lessi “Non ti interessa nè chi sono, nè perchè sono qui. Ti interessa solo sapere che sei solo”. Non potevo accettare di essere trattato così. Non io. Scrissi con la baldanza di un eroe pronto a sfidare il cattivo: “Ci sei tu, mi sembra! Ma sei talmente vigliacco che non esci fuori. Mi hai chiuso tu qui dentro?”. L’unica risposta fu: “Ti serve a poco questo coraggio. Tieni le tue forze per dopo. Ne avrai bisogno”. Non ebbi nemmeno letto la fine del messaggio che la finestra dell’editor si chiuse e l’icona smise di brillare. “Dove sei, figlio di puttana? Vieni fuori” urlai ai muri, con la rabbia dell’impotenza che mi esplodeva dentro. Afferrai nuovamente il telefono e cercai di chiamare casa. Squilli a vuoto. Presi il blackberry e realizzai che l’email inviata a Giovanni non era stata inviata. Tornai verso la porta e la spinsi con la forza della disperazione, ma senza successo. Mi accasciai sul divano, con lo sguardo fisso al soffitto, cercando di pensare ad un’alternativa per non morire lessato in quella gabbia di vetro.
(continua)
Un cappello pieno di ciliege, di Oriana Fallaci
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Avevo iniziato a leggere questo libro molti anni fa e non ero riuscita a
superare le prime dieci pagine. Adesso, forse complice un’età più avanzata
e un...
3 mesi fa
Ma che bello!!!
RispondiEliminaMi sa che non devi trovare le alternative che dicevi: secondo me piacerebbe anche a 'Lui'.
Aspetto ansioso!