venerdì 30 luglio 2010

La porta chiusa - Le undici

- Allora D’Antonio, cosa hai scoperto?

- Ti presento Pisacane, il nostro Commissario Montalbano.
- Salve. Allora ha scoperto qualcosa?
- Dottore, non c’è stato nulla di anomalo nella rete e sui nostri server stanotte.
- Come cazzo è possibile? State dicendo che mi sono sognato tutto?

- Dottore, abbiamo analizzato tutto il traffico di rete, gli accessi al suo PC, i file temporanei ed altre amenità tecniche che non le racconto. Il suo PC non è stato acceduto da remoto. Vede, era praticamente impossibile perchè il filo della rete qui nell’hub di piano era addirittura staccato e l’armadio dell’hub è chiuso a chiave dalle quattro di ieri pomeriggio. I tecnici della rete vanno via alle cinque circa e lasciano di solito le chiavi depositate giù in guardiola: ho controllato e Antonio ha detto che sono sempre state lì. Quindi non era proprio possibile che al suo PC si collegasse qualcuno, non ha nemmeno il wireless...
- Stai dicendo che me lo sono sognato... stanotte sono rimasto qui e ho avuto degli incubi, uno dietro l’altro... e le telefonate? Il blackberry?
- Il blackberry ha continuato a funzionare per tutto il tempo dottore. Abbiamo il report della società telefonica che ci ha mandato il log di stanotte. Il suo cellulare è rimasto reperibile nella stessa cella tutta notte. Non ha fatto telefonate, ma ha inviato un sms, al numero 335 5678..
- Sì, chiaro, l’sms che mia moglie dice di avere ricevuto... e i telefoni interni?
- La centrale telefonica non ha registrato anomalie. Dal suo telefono non sono partite telefonate stanotte dottore.
- Andatevene... andatevene, cosa fate ancora qui? E se vi azzardate a dire in giro questa storia vi mando in filiale a caricare i bancomat, d’accordo?


Non poteva essere stato un sogno. Io avevo davvero vissuto quell’incubo e il mio sequestratore aveva fatto di tutto per nascondere le sue tracce. Era in gamba, sì... quasi da assumere al posto di quel... come si chiama? Pisacane? della sicurezza... Va bene, devo arrendermi all’evidenza...


In quell’istante, in quel breve istante che l’occhio si abbassò verso la scrivania vidi l’icona brillare ed una dopo l’altra si composero le lettere sullo schermo: “H O V I N T O. T O R N E R O’ ” . Stavo giusto per richiamare Pisacane quando e nemmeno dopo due secondi, il tempo di leggerle, la finestra si chiuse e l’icona smise di brillare. Che fare? Richiamare quei due barbagianni che mi avrebbero preso in giro con tutta la società? L’Amministratore Delegato ha le visioni notturne... me li vedo già i sorrisetti ironici della gente mentre passo, le donne che pensano “Poveretto, e pensare che è un bell’uomo, intelligente ed ha una bella famiglia... Pensa alla moglie!” e gli uomini che ridacchiano tra di loro dicendo “Se per essere un Amministratore Delegato devi avere visioni notturne allora anche io lo posso fare”... No basta così... Mi alzai, presi la mia roba e mi diressi verso Daphne.


- Daphne vado a casa. Sono stanco. Mi scusi per prima. Non ci sono per nessuno. Ci vediamo domattina
- Certo Dottore. Le annullo tutti gli appuntamenti.
- Brava. E vai a casa prima...
- Sì, tornerò...
- Come hai detto, scusa?
- Sì, tornerò a casa prima.
- Certo, certo. Brava. Scusa per prima... Arrivederci.
- Arrivederci Dottore. Mi saluti la signora.


Salii sulla moto e cercai più volte di accendere il motore. Non funzionava e non avevo voglia di mettermi a fare il meccanico. Mi recai alla guardiola e chiesi a Antonio di chiamarmi un taxi.


- Roma 6 in cinque minuti Dottò. Bravo, ha deciso di andarsene a casa... Bella idea, così si riposa... Ecco, guardi Dottò è già arrivato il taxi. Prego...


Aprii la portiera e mi sedetti nel Mercedes. Non vedevo il volto del mio autista, ma non importava. Gli comunicai il mio indirizzo e lui partì. Fu solo dopo circa dieci minuti che mi accorsi che non mi stava portando a casa e lo apostrofai:


- Ma lei conosce Milano? Non si va di qui per...
- Lo so. Ma non può lasciarmi così dopo una notte passata insieme, vero dottore?
- Come? Scusi? – biascicai – una notte passata insieme?


Una risata diabolica. Questa è l’unica cosa che ricordavo al mio risveglio in ospedale. Mia moglie mi era seduta accanto, con un fazzoletto evidentemente fradicio di lacrime. Mi chiese se ricordavo qualcosa dell’incidente in moto e io dissi che non avevo preso la moto, stavo andando in taxi, Roma 6, quello che mi aveva chiamato Antonio dalla guardiola. Mia moglie mi guardò e scoppiò a piangere. Poi guardò il medico, si alzò ed uscì dalla stanza.


Mi piazzarono una serie di elettrodi sulla testa e li tennero lì a lungo. Poi arrivò un altro medico e i due si consultarono. Sentii termini come schizofrenia, epilessia... non capivo. Io non avevo sognato, non mi stavo inventando tutto, ma lì loro rappresentavano il potere e nei loro camici bianchi emisero una sentenza di morte.



Ora sono qui. La mia camera è bellissima. Non vedo più l’ago di Cadorna, ma ho un bellissimo parco di fronte a me, con il Naviglio che scorre. Nelle belle giornate in primavera o in estate vedo molta gente che si attarda in bici o a piedi a fare lunghe passeggiate. Io no, preferisco stare qui, nella mia stanza, davanti al mio computer. Aspetto. Aspetto che torni. Da quel giorno non si è più fatto vivo, ma io so che tornerà. Dal giorno in cui è entrato nel mio computer in ufficio mi ha relegato nel fondo delle mie paure, mi ha isolato dalla mia vita, dalla mia casa, dalla mia famiglia, dal mio lavoro. Ma io non me lo sono inventato come quegli stupidi camici bianchi hanno insinuato, come mia moglie ha creduto, guardandomi con quello sguardo di commiserazione misto a pietà che non dimenticherò mai. Lui c’è, da qualche parte, lo sento. Vive dei miei pensieri, li cattura mentre li penso, se ne appropria, li fa vivere e se ne ciba. Io lo aspetto. Sono qui apposta per parlargli, per chiedergli solo “perchè”, perchè a me, perchè ora. Ero amministratore delegato di un’importante società. Alla mia età, trentasei anni, era una bella conquista, maturata certo per le mie capacità, delle quali tuttavia non amavo vantarmi se non quando ero davanti allo specchio, nelle occasioni in cui avevo qualcosa da festeggiare. Ora non lo sono più, non ho più uno specchio nè occasioni da festeggiare. Non ho più famiglia, nè lavoro, ma solo gente strana che mi gira intorno, ognuna chiusa nel suo mondo. Non sono pazzo, anche se qui tutti lo pensano e anche se tutto lo fa supporre. Ma resto qui, in attesa di dimostrarlo al mondo, per riappropriarmi della mia vita. Io lo aspetto... so che tornerà e allora nell’attesa non posso fare altro che guardare il mio computer, sbirciando lì in basso a destra, quella piccola icona rossa e verde. Prima o poi, lo so, brillerà.

1 commento:

  1. Pavone Bianco, di tutti i finali, questo è il più inaspettato. Ho avuto un brivido quando il tassista ha parlato: aveva una voce di donna....

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