mercoledì 2 giugno 2010

Risvegli - Quarto Risveglio

Quarto Risveglio

Mio figlio. E’ lui che vedo appena apro gli occhi per la quarta volta da quando sono in questo stato indefinibile di vuoto, sospeso tra la vita, quella vera, e l’anticamera della morte. Mio figlio, che per uno strano gioco del destino mi guarda con lo stesso sguardo con cui lo guardavo io quando era piccolo, senza comprendere cosa ci sia al di là degli occhi che vede.

Ricordo quando sei nato. Ricordo come i nostri occhi si incrociavano ed io mi perdevo le ore a guardarli, a cercare di capire cosa ci fosse in quello sguardo un po’ assente i primi mesi, se vedevi qualcosa, se percepivi il mondo intorno e se vedevi me e come. Immagino ora tu ti stia chiedendo le stesse cose, vedendo uno sguardo assente, un’ombra che vela i miei occhi... la vedi anche tu quella nebbia? Come ti senti di fronte a questo corpo che non reagisce, a questi occhi che sono abbastanza fissi e vuoti, tu che non sai che dietro io sto continuando a pensare?

Non riesco a vedere bene il tuo viso. Sto facendo progressi, sai? Dalla prima volta che ero puro spirito, ora sono Spirito-Che-Vede. Puoi chiamarmi così, se vuoi. Giochiamo agli indiani, come quando eri piccolo e mi legavi all’albero e mi tenevi prigioniera fino a quando non ti camuffavi da cow-boy e venivi a salvarmi. Mi chiamavi la piccola Squaw. Ora la tua piccola grande Squaw non puoi salvarla vestendoti da indiano. Forse neanche vestendoti da medico.

Non so quanto tempo sia passato dalla prima volta che mi sono svegliata. Non saprei dirlo. Qui nel vuoto il tempo non esiste. Ogni volta che torno allo stato vigile sembra essere passato un attimo da quando mi ero assentata. Cosa faccio nel frattempo non lo so. Dove vado non riesco ad immaginarlo. E’ come addormentarsi all’improvviso e svegliarsi subito dopo, ma senza sognare. Questo alternarsi di veglia e incoscienza è senza tempo per me. Non ho nessun riferimento. Il tempo è solo umano e sappiamo tutti come corre quando ci divertiamo e come si ferma quasi quando la noia o l’attesa circondano il nostro cuore. Qui esiste solo il nostro pensiero, qualche ricordo che affiora, ma nemmeno tutti. Non saprei dirti cosa sia successo appena prima di ritrovarmi qui.

Vedo che mi sei accanto, in piedi e ogni tanto ti avvicini. Sono fermi i miei occhi? Che strano, io li percepisco in movimento, vispi giramondo intorno a quel poco che vedono. Ma tu non credo percepisca nulla da lì fuori. Ogni tanto guardi sopra di me, cosa? Forse un monitor? Cosa c’è di così interessante?

Nasce in me un desiderio forte, quello di chiamarti, di parlarti, di dirti “Guardami, sono qui tesoro”. Provo a spingere tutto il mio pensiero verso la mia bocca, immaginando che possa compiere lo stesso miracolo che compì con le palpebre, ma mi ritiro stanca dopo aver fallito. Che orrore il pensiero di rimanere chiusa qui senza poter comunicare con te! Mi sembra di battere contro una porta chiusa di acciaio oltre la quale sento che c’è qualcuno che può salvarmi, ma mi si rompono le mani prima di riuscire a fare percepire un misero battito a quel qualcuno là fuori. Sono in una bara che qualcuno sta per chiudere e vedo il coperchio pronto a coprirmi il volto e nessuno può ascoltare il mio grido.

(continua)

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