martedì 8 giugno 2010

La Zingara - Secondo Vagone

Secondo Vagone


Per essere fine agosto il caldo era ancora soffocante. Alle tre, finito di lavorare, poichè ero a Milano senza i ragazzi, decisi di fare un giro in centro e infilarmi in qualche negozio a prendere un po’ di fresco, invece di tornare a casa.


Attraversai velocemente i vicoli stretti tra Cadorna e via Dante, mi fermai a comprare un gelato e leggermente rinfrescata mi diressi verso la Rinascente. Era un po’ di tempo che non ci andavo ed ero curiosa di scoprire quanto fosse cambiata rispetto a come la ricordavo.


Girai tutto il pomeriggio, quando verso le sei e mezza, annoiata e appiccicaticcia di sudore, auspicai che un genio uscisse dal mio accendino per chiedergli di esaudire il desiderio di teletrasportarmi a casa, senza dovermi infilare nel metro, che a quell’ora mi aspettavo caldo come un forno e umido come il respiro di migliaia di persone ferme ad aspettarlo.
Non era così, forse perchè la gente ancora in ferie era molta più di quello che pensassi e il treno che ero riuscita a prendere era uno di quelli nuovi con l’aria condizionata. Rossa, fermata Duomo fino a Loreto. Scendo e mi infilo nei sotterranei più profondi. Verde. Direzione Cologno ... aspetto... Direzione Gobba... aspetto... Direzione Gobba (ancora). Era appena scivolato in galleria l’ultimo vagone, che girai lo sguardo a sinistra verso il collegamento tra la linea Verde e la linea Rossa, quando la vidi scendere le scale sorridente e fiera, sola, con quei due fanali verdi al posto degli occhi. Era arrivata in fondo alle scale quando mi vide e non fece in tempo a voltarsi, che le avevo già afferrato il polso dove faceva bella mostra di sè il mio braccialetto.


“Carino questo braccialetto.... mm, non credo di sapere il tuo nome?” le dissi. Mi guardò con gli occhi verdi che si trasformarono in due pugnali dal manico pieno di smeraldi e mi colpirono forte.
“Airis” rispose “e tu ce l’hai un nome?”
“Certo, quello non potevi portarmelo via stamattina”
“Cos’è, lo rivuoi indietro il tuo braccialetto? Guarda che non vale nulla. L’ho preso soltanto perchè mi piaceva!”
“Come facevi a sapere che non vale nulla? E poi per me un valore ce l’ha, sentimentale”
“Che ne sai tu dei sentimenti? Hai il cuore duro. L’ho letto nella tua mano stamattina”
“Airis... ma quanti anni hai?”
“Dieci e tu?”
“Quaranta... proprio oggi”
“Devo andare ora. Lo rivuoi il tuo bracciale?”
“Dove vai?”
“Giroingiro”
“Posso accompagnarti?”
“Se vuoi” disse facendo le spallucce. Si scrollò di dosso la mia presenza e iniziò a camminare sulla banchina guardandosi alle spalle con la coda dell’occhio per spiare se la seguivo. Vedendo che stavo ferma, parlò ad alta voce dicendo “Allora, non vieni come-ti-chiami-tu?”, indifferente alle persone che, testimoni della scena precedente, avevano puntato su di lei uno sguardo interrogativo, per poi girarlo verso di me, come per chiedermi “Allora, non vai?”


Sorrisi e iniziai a seguirla, curiosa di dove avrebbe potuto portarmi. Ero felice di non dover per forza tornare a casa quel pomeriggio.

(continua)

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