Primo Vagone
La metropolitana verde sfrecciava verso Milano con i suoi vagoni di passeggeri, non traboccante come al solito, in una mattina di fine agosto, quando ancora meta' dei provinciali milanesi boccheggiavano al mare o in montagna le loro ultime ferie.
Seduta, il vento caldo in faccia, la testa reclinata all'indietro, mi permettevo quello stato di dormiveglia al quale ci si può abbandonare soltanto quando la fermata è dall'altra parte della città. Gli occhi appisolati, le orecchie perse in una conversazione poco convincente di due vicine, creavo in mente quel vuoto che mi permettesse di prolungare il piccolo riposo notturno.
Non era stata una serata mondana, ma la passione di scrivere era stata particolarmente accecante ed ero rimasta fino a notte inoltrata ad ascoltare i miei personaggi raccontarsi le loro storie, riga dopo riga, su una schermata del computer.
Ogni tanto il collo doleva e così riaprivo gli occhi e guardavo i visi di fronte a me, ne scrutavo le espressioni, sbirciavo i libri che leggevano, li sentivo canticchiare qualche musica. Vite normali o straordinarie, chissà. E mi riaddormentavo un po' subito dopo, senza che nessuna di quelle esistenze avesse sfiorato in modo significativo la mia.
Fu una di quelle volte in cui la testa reclinava in avanti e gli occhi a fatica si aprivano impastati di sonno, che la vidi, insolente e spettinata, lì seduta di fronte a me, la testa reclinata su sua madre, gli occhi che sembravano chiusi in un sonno profondo. Era bella da fare paura. Neanche un metro e cinquanta di bellezza pura, che diventò straordinaria quando i suoi occhioni verde smeraldo brillarono su di me, nel momento esatto in cui lei si svegliò ed io mi alzai per scendere dal metrò.
Fu un attimo. Si precipitò affianco a me, mi prese la mano, la guardò e mi disse: "Potrai fare qualcosa di grande oggi se saprai stare attenta".
Rimasi scioccata, persa nel suo verde sguardo magnetico, mentre le persone mi spintonavano a destra e a sinistra per scendere, finchè mi resi conto che le porte della carrozza si stavano chiudendo e dovevo
scendere. Di corsa, saltai sulla banchina e mi accorsi troppo tardi che in cambio di un pezzo del mio futuro quella zingarella si era presa un braccialetto d'argento che portavo al polso sinistro. "Piccola impertinente" pensai, senza arrabbiarmi troppo, forse più delusa per il ricordo che quel braccialetto rappresentava, che per il suo valore effettivo.
Sorrisi, alla fine, catturata dalla spregiudicatezza e intraprendenza di quegli occhi verdi e salii le scale per andare a lavorare, mentre ricordavo un articolo letto da qualche giorno su uno di quei giornaletti gratuiti del metro, che alla bellezza si perdona tutto più facilmente. Vero, zingarella?
(continua)
Un cappello pieno di ciliege, di Oriana Fallaci
-
Avevo iniziato a leggere questo libro molti anni fa e non ero riuscita a
superare le prime dieci pagine. Adesso, forse complice un’età più avanzata
e un...
3 mesi fa
Nessun commento:
Posta un commento