Sono una persona normale, con un lavoro normale, una famiglia normale.
Eppure non è vero che la normalità appiattisce i sogni. Basta saper cogliere nella normalità lo straordinario, quando accade.
Capitolo 1 – Quello strano punto verde sul viola del tramonto
L’aereo si apprestava al decollo, fermo sulla pista con i motori roboanti.
Il mio naso era schiacciato contro il finestrino. E’ incredibile quanto fascino abbia per me l’aereo, ogni volta che lo prendo. L’idea che basti abbassare una piccola leva per volare mi tiene attaccata a quel piccolo pezzo di vetro posto tra me ed il cielo, per inquadrare nella mia memoria l’istante in cui qualche non precisato comandante abbassa la cloche (o la alza?) e si impenna verso il cielo.
Domenica scorsa ero in aereo. L’aereo viaggiava già tra le nuvole ed io non riuscivo a staccare gli occhi dal paesaggio che si figurava fuori. Un mare tempestoso di nuvole, in movimento con le sue onde fatte di piccole gocce d’acqua e a partire da un punto lontano nell’orizzonte i sette colori dell’arcobaleno partivano verso il blu dell’universo, uno dopo l’altro, come la citazione di un dizionario che spiega cosa sia davvero un arcobaleno: rosso, arancione, giallo, verde, azzurro, indaco e violetto. E poi il blu profondo della notte. Non avevo mai visto tramonto più bello di quello e la mia mente si fondeva nei vari colori, associando un pensiero a ciascuno di essi.
«Rosso». La passione. Quanti amori vissuti, quanti amori sognati, quanti amori persi.
«Arancione». La cartella della scuola elementare. Quella rettangolare con il bordo arrotondato verso il manico, le cinghie dietro per portarla a spalla.
«Giallo». La luce. Le mattine d’estate che si colorano presto di una immensa luminosità che regala calore e gioia. Le passeggiate in pineta, con i raggi che iniziano a riscaldarti la pelle per poi bruciarti a mezzogiorno.
«Verde». I prati. I prati inglesi, con le immense distese sulle quali correre a perdifiato finchè non ce la fai più.
«Azzurro». Il cielo sopra il mare, il cielo sopra le montagne innevate. L’acqua perfetta che ti scivola sulla pelle regalandoti un brivido intenso.
«Indaco». Il mondo oltre i cinque sensi. L’essenza del pensiero, della immaginazione, della fantasia. Il voler volare senza paura di cadere.
«Viola». L’inizio dei colori. La fine dei colori. Tutto ciò che si trasforma, cresce, ti avvolge e ti trascina via.
«Verde»? Cosa ci fa un punto verde sul viola?
Cercai di aprire gli occhi per vedere meglio quel piccolo punto verde che sfrecciava sullo sfondo dell’arcobaleno? “Un momento, sto sognando?”
L’assistente di volo mi interruppe in quel momento: «Vuole qualcosa da bere?». La guardai senza rispondere e voltai di nuovo lo sguardo verso il cielo. Stavo per dire qualcosa quando di nuovo la mia attenzione fu attratta all’interno dell’aereo: «Vuole qualcosa da bere?». Sì... ho visto qualcosa fuori... «Sì. Un po’ di acqua frizzante, grazie.» «Salatini o biscotti?» «Salatini, grazie.»
Quando girai lo sguardo ancora verso l’esterno, l’arcobaleno era sparito nel blu della notte. Una soffice strada di nuvole che sembrava una pista da sci galleggiava nel cielo e sotto luci di qualche paese lontano migliaia di chilometri più sotto. Doveva essere stato uno scherzo di luce o un riflesso dall’interno. Provai a guardare i miei compagni di viaggio, ma nessuno vestiva di verde... Ah! Che sciocca... Ma sì, doveva essere stato il riflesso del vestito della hostess...
«Il comandante informa che stiamo iniziando la discesa verso Londra. La temperatura al suolo è di 14°C ed il tempo è leggermente nuvoloso. Alitalia ringrazia per averci scelto e si augura di avervi di nuovo a bordo».
Tornai con lo sguardo fuori. Potevo intuire dall’alto le classiche case inglesi, tanti piccoli cubi uno affianco all’altro, con tanto giardino intorno. Man mano che ci avvicinavamo alla città i cubi diventavano sempre più stretti l’uno all’altro e sempre meno verde intorno. Da quanto tempo mancavo da Londra? Almeno quindici anni, pensai, dall’ultima volta: avevo il pancione! E almeno trent’anni dalla penultima: la migliore gioventù.
Un tunnel lungo e passaggi mobili mi condussero attraverso vari controlli all’esterno dell’aeroporto. Mi infilai in un taxi e cominciò la corsa verso Londra e la rincorsa nella memoria. Che belle quelle case strette l’una accanto all’altra, con i portici bianchi con tre o quattro scalini davanti, le scalette per andare giù in cantina, le finestre a quadretti bianchi, gli ampi spazi delle sale, le cabine telefoniche rosse, gli autobus a due piani, i taxi neri con i quattro sedili dietro – posti due rivolti nel senso di marcia e due verso il senso opposto, i rondò all’incontrario, i marciapiedi contornati da «Look Left» e «Look Right» per avvisare i turisti distratti, i poliziotti con la divisa nera ed il manganello, le bombette in testa a qualche sperduto inglese d’altri tempi, i visi dai lineamenti sottili e la pelle pallida, contornati da capelli biondissimi e fini.
W l’Inghilterra. 50 pound. Scendo dal taxi, sbrigo le pratiche del check-in in albergo e mi fiondo in camera stanca.
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