martedì 15 novembre 2011

Cinque Pezzi Meno Facili - Sliding Doors - La Rabbia e la Notte - Cap. 9 (Gomez)

La chiamata di Silvia c’era stata eccome, Roberto ne era convinto. Non poteva essersi sbagliato. Lui non sbagliava su cose del genere. Ricordava anche esattamente cos’aveva pensato nel vedere l’avviso di chiamata non risposta. Adesso aspetti anche tu, come a volersi vendicare del suo silenzio di qualche giorno prima.
Non poteva essersi immaginato tutto. Fosse stato nelle condizioni in cui versava Martino solo un paio di giorni addietro, ci poteva anche stare: ma era un sacco di tempo che Roberto non si conciava in quel modo, se pure mai lo aveva fatto. No, la chiamata c’era eccome. E non era stata “una persona” qualsiasi ad entrare nella stanza, a rovistare tra le sue robe, a trovare lo smartphone e a cancellare la chiamata. No, non poteva che essere stato Martino, e la sua pantomima nella stanza… lei non ti meritava… lei si sentiva inferiore… Stronzate. Adesso Roberto aveva la certezza adamantina che Martino gli avesse deliberatamente nascosto la chiamata di Silvia.
Aveva paura di rivelarsi il perché, perciò decise di effettuare l’ultimo, definitivo test.
Selezionò il menù “Impostazioni” del suo smartphone, sfiorò l’icona “Telefono” e quindi fece scorrere la punta tremante dell’indice sull’etichetta “Mostra ID”. La disattivò, quindi tornò sulla schermata principale e iniziò a comporre un numero che ricordava molto bene.
Roberto era così. Aveva i numeri memorizzati nella rubrica del telefono, ma quelli importanti li ricordava a mente. E quello lo aveva composto così tante volte…
Il familiare suono del telefono in attesa accompagnò la comparsa della scritta “Silvia cell.” sul suo display. Il viso di Silvia in quella foto era sorridente, lo sguardo radioso.
Il telefono continuava a suonare a vuoto.
Roberto deglutì piano fino a quando la linea non si interruppe.
Probabilmente Silvia non aveva perso la buona abitudine di non rispondere ai numeri sconosciuti. Ma sì, perché mai avrebbe dovuto alzare la cornetta? Poteva immaginare che si trattasse di Roberto. O magari immaginava che si trattasse di…
Fissò ancora lo schermo dell’iPhone. Sentiva il palmo della mano destra coprirsi di sudore.
Riprovaci. Mariciel può aspettare.
Guardò ancora il display che restituiva il suo sguardo, nero e muto.
Deglutì ancora e schiacciò il tasto che inviava di nuovo la chiamata.
Non risponderà. Sono sicuro che non risponderà.
Uno squillo.
Due squilli.
Tre squilli.
Roberto allontanò di un paio di centimetri il telefono dall’orecchio, il pollice che in automatico stava per scivolare sul tasto “Interrompi chiamata”.
“Pronto? Chi parla? Pronto?”
La voce era quella di Silvia. Non sorprendentemente, dato che l’aveva chiamata sul cellulare.
Aprì la bocca ma prima ancora di impedirsi di pronunciare anche solo una parola si rese conto che sarebbe stato impossibile dal momento che aveva le labbra, la lingua, la gola completamente secche.
“Pronto? Chi parla?”, fece ancora Silvia.
E poi: “Tino, sei tu?”
Qualche tempo dopo, ricordandosi quel momento, Roberto si sarebbe domandato se avesse concesso a se stesso ancora qualche nanosecondo prima di chiudere la chiamata, o se il suo dito fosse scattato come il morso di una tagliola sul “tu” della domanda di Silvia. Si sarebbe domandato se nella sua testa il rumore della conversazione che veniva troncata fosse veramente il clic che si sente nei film o si vede nei fumetti. Si sarebbe domandato se avesse sentito cedere leggermente le gambe come quando da ragazzo a scuola qualcuno gli faceva la vecchia, ossia gli dava un pugno sul quadricipite femorale con l’intento di farlo cadere in ginocchio. Si sarebbe domandato un sacco di cose, ripensando a quel momento.
Ma lì, adesso, Roberto pensava solo a quelle parole: Tino, sei tu?
Cristo.
Tino. Aveva pensato si trattasse di Martino. E perché? Beh, non sembrava volerci un genio. Perché evidentemente avevano qualcosa in sospeso – occhio e croce, qualcosa di più in sospeso con Martino di quante non ne avesse con Roberto.
Chiuse gli occhi e si stropicciò i bulbi dietro le palpebre. Non riusciva a crederci.
Martino e Silvia.
No, ci doveva essere una spiegazione.
Certo, come quella dietro al fatto che Martino abbia cancellato la chiamata di Silvia. Certo, sì, come no.
Ecco spiegato l’imbarazzo di Martino poco prima; ecco spiegato il suo gesto. Loro due avevano una tresca, porco cazzo, e lui non se n’era mai accorto.
Magari anche le menate che gli stava facendo Silvia gli ultimi tempi, magari… Stava cercando di farsi mollare per mettersi con Martino senza passare da troia come nel caso in cui fosse stata lei a scaricarlo (e per farsi il suo migliore amico, per giunta!).
Ex migliore amico. Brutto figlio di puttana.
Roberto infilò il telefono in tasca e si precipitò verso la porta. Afferrò la maniglia con la stessa forza che avrebbe applicato di lì a poco sul collo di Martino. Con un po’ di fortuna, sarebbe riuscito a trovare un taxi per farsi portare al St Trop’. Anche se avesse dovuto sputtanare tutti i soldi che aveva nel portafoglio, sarebbe calato su Martino come il proverbiale angelo vendicatore. E avrebbe avuto la sua vendetta, altroché.

Martino stava brancicando “mocassini” (che scoprì chiamarsi Liliana) nella penombra del cesso di servizio, quando avvertì di nuovo e per l’ennesima volta una fastidiosa vibrazione provenire dalla tasca dei jeans che stavano pericolosamente scendendo verso le caviglie dopo che la sua compagna occasionale aveva ritenuto di sbottonarglieli. Un’ottima idea, incidentalmente.
Si domandò chi cazzo fosse e soprattutto perché lo stessero chiamando lì, in quel momento.
Non c’era nemmeno un po’ di rispetto, santo Dio? Continuò a far scorrere le mani sulla pelle liscia di Liliana, seguendo con le labbra le tracce lasciate dalle labbra sempre meno umide di saliva.
Il telefono riprese a vibrare.
Dovette tirarsi indietro, ansimando. “Scusami, è che…”, disse infilandosi la mano nella tasca ormai all’altezza del ginocchio.
Liliana abbassò lo sguardo e replicò stupita: “Ma no, non mi pare che…”
Martino soffocò una risata. “No, ma che hai capito… No, lui è ok… E’ che c’è qualche stronzo che continua a chiamarmi…”
Liliana contrasse i lineamenti in una smorfia di fastidio. “Fai pure. Magari è la tua fidanzatina che ti cerca.”
Tino le prese il viso tra le mani. “Ma no, tesoro, che dici? E’ il mio amico… ho un amico qui che… lui ha dei problemi e non vorrei che…”
“Seeee vabbe’”, disse Liliana sistemandosi la camicetta. “Dai, controlla e fai in fretta”
Ottenuto il “semaforo verde” Martino si scusò con un bacio ed estrasse il Nokia dalla tasca.
Cinque chiamate. Cinque. CINQUE!!!
E… Cazzo.
Silvia.
Che cosa cazzo voleva quella stronza?
Mentre formulava il pensiero il Nokia ricominciò a vibrare. Fissò per un istante lo schermo, inspirò profondamente e dopo aver preso la comunicazione con voce glaciale disse: “Ehi, non è questo il momento, ok?”
Dall’altra parte, proprio nello stesso istante, sovrastando le parole di Tino e la musica house del St Trop, la voce di Silvia stava dicendo: “Oh Tino, finalmente… Mi hai chiamato tu prima?”
A Tino si seccò improvvisamente la gola, mentre con gli occhi incontrò lo sguardo di Liliana.
“Io non… Non ti ho chiamato…”
“Non sei stato tu?”, disse Silvia. “Oh, Cristo…”
“Chi? Chi? Chi ti ha chiamato?”, esplose Martino mentre Liliana iniziava a ritrarsi e ad assumere un’espressione terrorizzata. Cazzo, pensava Liliana, ecco un altro matto… tutti io li rimorchio…
In quel momento la porta del bagno si aprì di scatto, e la persona che comparve improvvisamente sulla scena dovette soffocare ben più di una risata di fronte allo spettacolo di Martino con i jeans malamente arrotolati ormai intorno alle caviglie, la virilità che contemplava ormai depressa e rattrappita il pavimento, mentre la donna seminuda si copriva con le braccia seni e pudenda in una versione low pop della Venere del Botticelli.
“Sono stato io, Tinello”, disse Roberto. La sua voce era priva di qualsiasi tono ed emozione. “Io, quando te ne sei uscito.”
Martino fece cadere il Nokia sul pavimento come un criminale che fa cadere la pistola davanti al poliziotto.
A Roberto venne in mente una delle scene della serie dell’Ispettore Callaghan. E se avesse avuto una 44 magnum, difficilmente avrebbe resistito alla tentazione di sparare ai coglioni di Martino.
“No aspetta… Io…”
Roberto avanzò verso di lui. “Lo so, mi puoi spiegare. Non l’hai fatto apposta a scoparti la mia ragazza”
“Ex. Ex ragazza, Robi. Vi eravate mollati. Vi eravate…”
Roberto lo prese per il collo, allontanandolo dalla donna che iniziò a squittire. In un secondo si rivestì alla bell’e meglio e uscì dallo stanzino, lasciando i due pazzi a lottare malamente appoggiati al lavandino arrugginito.

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