L'odore del ferro delle rotaie le allargò le narici e le inviò un sapore metallico in bocca. Alessandra assaporò quel sapore di fumo e schioccò la lingua contro il palato.
Ferma davanti al grande scalone della Grand Central Station, si sentiva come in un film. La gente le passava accanto di corsa, uno dopo l'altro uomini e donne lasciavano la loro impressione su di lei. Non si sarebbe più scrollata di dosso quell'immagine che aveva davanti ai suoi occhi, ciascuno con la propria storia chiusa a stento dentro gli occhi, gente che non avrebbe mai potuto incontrare se fosse rimasta nel suo piccolo paese. Si sentiva sperduta, ma era felice e sapeva che a quella sensazione si sarebbe attaccata, per risalire a galla quando si sentiva stanca e triste.
Finalmente le sue gambe smisero di tremare e si avviò verso l'uscita. La borsa stretta nella mano chiusa a pugno, titubante e tesa, passo dopo passo cercava di farsi forza, di trovare in sé un po’ di sicurezza. Lei, la piccola Lessie, così la chiamava suo padre, adesso era sola a New York.
Alessandra veniva da un paesino di provincia, di quelli talmente piccoli che appena incontri qualcuno lo conosci già e se non lo conosci sai che nel giro di un giorno di lui saprai tutto. Non era mai nemmeno stata a Napoli, se non il giorno prima, per prendere l’aereo. Il taxi l’aveva attraversata e con tutto il traffico aveva potuto ammirarla un po’.
Appena uscita, l’ombra dei palazzi si incurvò su di lei. Istintivamente cercò il cielo e con gli occhi risalì su per i grattacieli intorno a sé, fino a scovarne un pezzettino minuscolo. Uno spintone di un barbone ubriaco e l'odore dell'alcool sui suoi vestiti la scossero da quello stupore e il suo sguardo ricadde sulla strada, dove un’auto della Polizia stava passando a sirene spiegate. La colse di nuovo l'impressione netta di essere sul set di un film, un poliziesco precisamente: si guardò intorno ancora e istintivamente strinse a sé la borsa.
Si ricordò che appena uscita dalla stazione avrebbe dovuto girare a destra per incamminarsi verso 5th Avenue. Infilò la mano nella tasca del giubbetto di jeans e estrasse la piantina, già pronta al riquadro dove lei si trovava, con il percorso segnato dall’evidenziatore giallo.
Quando aveva pianificato quel viaggio Alessandra non sapeva bene cosa aspettarsi, perciò aveva cercato di programmare tutto il possibile, per avere il tempo poi di concentrarsi sulle sorprese. E se le aspettava, quelle… Oh sì!
Camminava con il naso all’insù, scrutando gli alti grattacieli che non aveva mai visto, lei, cresciuta nel piccolo paese dove la casa più alta aveva due piani. Aveva dovuto programmare in fretta il viaggio nella Grande Mela, la città dove il suo nonno era approdato nel lontano 1907, uno degli undicimilasettecentosette emigranti arrivati il 17 Aprile di quell’anno a Ellis Island. Faceva quasi paura a dirlo, doveva scandirlo bene per crederci: undici-mila-sette-cento-sette. Quel “sette” era il suo nonno. Arrivato fin lì per costruire il suo impero, con moglie e figlio al seguito e finito miseramente ucciso da una gang esattamente tredici anni dopo. La nonna era tornata indietro al loro piccolo paese insieme a suo padre, un bambinetto di soli due anni. L’altro figlio, Michael, era rimasto in America: era maggiorenne e aveva scelto la sua strada. Nessuno ne aveva più saputo nulla.
Alessandra sapeva che doveva cominciare a cercare da lì, da Ellis Island. Dentro di sé era cosciente che solo con un po' di fortuna sarebbe riuscita a trovare suo cugino, il figlio di Michael, che si era fatto vivo con suo padre qualche anno prima. Lui era l'unico in grado di spiegarle quella misteriosa lettera che suo padre le aveva consegnato solo una settimana prima, all'alba dei suoi venticinque anni.
Si chiamava Dennis e questo era tutto ciò che aveva in mano per incominciare le ricerche.
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