martedì 24 maggio 2011

L'appuntamento - Cap. 2

Ascanio voltò la testa di scatto. Aveva sentito il boato dietro di sé, ma non riusciva a vedere nulla, né il fumo di uno scoppio, né altro di anomalo che potesse fargli capire cosa fosse successo al di là della collina sulla quale si trovava. Mancava ancora del tempo all’incontro con Sabrina e decise di rimettersi in macchina e ripercorrere la strada indietro verso il torrente.

Entrò nella sua Ferrari grigio antracite. Accese il motore e dopo una breve retromarcia partì velocemente lungo la strada di campagna. Non aveva nemmeno guidato per cinque minuti quando fu costretto ad inchiodare. Quello che i suoi occhi riuscivano a vedere era solo l’azzurro del fiume misto al grigio del cemento ed un vuoto spaventoso dove prima c’era il ponte, il ponte sul torrente San Marino. Ricordava una diatriba di qualche tempo prima sul rischio dei crolli di quel ponte, ma mai avrebbe immaginato che sarebbe stato l’unico spettatore di quell’incubo.

Il suo pensiero immediato non si volse alla gente che poteva essere deceduta, alle macerie che potevano nascondere corpi o all’acqua che in alcuni punti tentava di scorrere indifferente a quel disastro. In fondo, quell’area sembrava deserta e forse fortunatamente nessuno si era trovato a passare di lì in quel momento. Il suo pensiero fu per Sabrina. Lei sarebbe probabilmente arrivata per quella strada. Era ancora viva? E se era viva, come avrebbe fatto a raggiungerlo, ammesso che avesse deciso di raggiungerlo? Il suo cuore era in tumulto.

Il loro era un appuntamento che non aveva alternative. «Ci vediamo qui, tra vent’anni, se saremo ancora tutti e due liberi. Alle cinque e mezza in punto.». In realtà, pensò ripetendosi tra le labbra quelle parole, non era nemmeno sicuro che lei arrivasse. Magari era sposata, era a casa sua in quel momento, a curare suo marito ed i suoi figli … Adesso non avrebbe mai saputo se Sabrina aveva scelto deliberatamente di non andare o se era rimasta bloccata al di là della riva di quel maledetto ponte.

Si sedette su un masso a vedere le macerie che avevano sommerso in parte il torrente. L’acqua pian piano stava trovando la sua strada per scorrere verso il mare. Magari anche Sabrina avrebbe trovato un’altra strada, sì, era così… doveva essere così…

Ascanio aguzzò gli occhi per scorgere qualche dettaglio in più, qualche segno particolare, ma l’aria era immobile. Sembrava davvero che nessuno nel raggio di chilometri fosse presente. Allora si mise a ripensare alla sua vita: quante amanti aveva avuto? Non ne ricordava nemmeno tutti i volti. Se avesse voluto contarle, probabilmente ne avrebbe perse molte: storie insignificanti di una notte o di una settimana, donne che erano riuscite ad appropriarsi del suo letto, ma non del suo cuore. Nessuna che fosse valsa la pena di un solo pensiero di matrimonio. Nessuna, perché il suo cuore aveva scritto solo un nome. Il suo nome. Sabrina. Lettere che avevano scavato, dolorosamente, un solco profondo che lo aveva tenuto lontano dalla vita, in attesa di un giorno, di vent’anni dopo, quando forse, l’avrebbe rivista.

Era assopito nei pensieri, con il sole che gli accaldava il viso. Gli occhiali scuri gli nascondevano lo sguardo che vagava sulle dolci colline. Quelle stesse colline dove era corso durante la sua infanzia e la sua adolescenza. Dov’erano tutti i suoi amici? Si era perso nel tempo e credeva di avere perduto tutti i ricordi, ma ora riconosceva quei profili, riconosceva alcune case, notava il vuoto di fattorie che non c’erano più e odiava il cemento che aveva occupato i prati liberi dove avevano giocato tutti insieme, dove avevano conosciuto l’amore, la gelosia, la rabbia: Manlio, Ennio, Sabina, Gilda e lei, Sabrina. Le fotografie dei loro volti gli si costruivano davanti agli occhi, lentamente, uno dopo l’altra, con un misto di caratteri dei loro visi di bambini e adolescenti.

All’improvviso il filo dei pensieri si interruppe. Si infilò la mano nel taschino della giacca ed estrasse il vecchio orologio d’oro a cipolla che gli aveva regalato Sabrina per il suo diciottesimo compleanno. Erano le cinque e trentasei. Ora poteva iniziare a preoccuparsi davvero. O a disperarsi

















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